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Quel Made in Italy... straniero. Quando il prodotto italiano sta sotto l'egidia delle multinazionali straniere

18 febbraio 2006

Formaggi italiani, anzi francesi
A tavola sempre più difficile trovare marchi storici non controllati da multinazionali 

di Nicola Dante Basile (ilSole24ORE, 15 febbraio 2006)

La birra è il caso limite con il 90% della produzione italiana che fa capo a capitali internazionali, ma non sono da meno altri importanti prodotti tipici del territorio e della tavola made in Italy come l'olio di oliva. Che dopo la recente operazione che ha spinto Carapelli-Sasso nelle braccia degli spagnoli e con l'aggiunta di Bertolli-Dante-San Giorgio agli olandesi dell'Unilever, registra il 70% dell'extravergine confezionato da grandi marchi in mani straniere.
Dai dolci all'acqua minerale, dal caffè ai vini, dalla pasta ai prodotti per l'infanzia, ormai molti sono i marchi di prestigio che hanno fatto la storia della gastronomia italiana ad avere alzato sul proprio pennone una bandiera diversa dal tricolore.
È il caso di Invernizzi, Locatelli, Lodovico, cioè i tre grandi nomi che da soli fanno i due terzi del mercato delle mozzarelle e che ormai parlano francese: i primi due marchi appartengono a Lactalis, il gruppo che di recente ha acquisito la Galbani e, prima ancora, di Cademartori; Lodovico invece è saldamente nelle mani di Bongrain, concorrente agguerrito di Lactalis.
Il risultato è che oggi il 50% dei formaggi freschi presenti sulla tavola italiana, in realtà è controllato da mani internazionali. Un fatto che, naturalmente, nulla toglie alla bontà e al buon nome del prodotto stesso.

Problemi di capitali? Certo, ma anche di organizzazione e strategie.
''Piccolo è bello'', recitava uno slogan degli anni Ottanta, prima che il motto ''grande è meglio'' prendesse il sopravvento e arrivasse a fare l'andatura; ma non al punto di dettare la norma, come ben evidenzia ancora la presenza dell'impresa di famiglia a simbolico tutore della tavola made in Italy.
Il passaggio di mano avvenuto ieri (14 febbraio) per 35 milioni di euro di un medio gruppo di acque minerali da una famiglia del Sud alla multinazionale Coca Cola segue di un mese il cambio di casacca per quasi 2 miliardi di euro del più grande marchio lattiero-caseario nazionale, Galbani, ai francesi della Lactalis.
Due operazioni non comparabili tra loro sotto il profilo del business, ma emblematiche di quella filosofia che spinge gruppi esteri a investire nelle eccellenze del made in Italy, alla continua ricerca di nuove opportunità di sviluppo che il prodotto può dare ma che la gestione familiare non è in grado di assicurare a causa della forte concorrenza sul mercato. O semplicemente perché il gruppo acquirente possiede le dimensioni per fare sinergie.
Illuminante in tal senso è l'acquisizione di Carapelli e Sasso da parte degli spagnoli della Sos Cuétara. Benché si tratti di un gruppo familiare, la società iberica - che disponeva già di una struttura efficiente prima dell'acquisizione italiana - con l'arrivo di Carapelli e Sasso ha potuto allargare notevolmente il proprio raggio di azione. E questo soprattutto a beneficio delle esportazioni verso i mercati di consumo come il Nord America, dove Sos Cuétara ora può presentarsi con due fiori all'occhiello di assoluto prestigio. E con l'aura di prodotti che sono espressione pura e semplice della tavola made in Italy.

Il quadro che si ricava facendo semplicemente la lista dei prodotti che è possibile gustare a pranzo o a cena su una qualunque tavola è assai eloquente. Per cui piaccia o no, si comprende come oltre il 90% della birra consumata in Italia di fatto appartenga a gruppi esteri. Che però agiscono sul mercato con grande rispetto dell'italian style, senza per questo tralasciare gli obiettivi strategici che rendono l'investimento proficuo sotto ogni punto di vista.
La birra probabilmente è un caso limite, nel senso che qui la lotta per la sopravvivenza da parte dei gruppi fondatori ha dovuto accelerare il processo aggregante determinato dalla similarità della specialità, ma l'obiettivo di fondo è simile a quello di altri settori produttivi. Appunto come i formaggi, ma si potrebbe dire anche dei panettoni e dei pandori, i classici dolci che allietano le festività natalizie e di cambio d'anno e che per quasi il 30% portano la firma di due grandi marchi italiani. Pardon svizzeri.

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18 febbraio 2006
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