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Quella trattativa (ancora presunta) tra Stato e mafia...

L'intervento del Quirinale sulla vicenda delle telefonate dell'ex ministro Mancino al Colle

18 giugno 2012

"Parlare di misteri del Quirinale è soltanto risibile". E' quanto si afferma in una nota del Colle per stroncare - si scrive - "irresponsabili illazioni" sulla vicenda delle telefonate di Nicola Mancino a un consigliere di Napolitano, Loris d'Ambrosio. Vicenda che il capo dello Stato ha gestito "secondo le sue reponsabilità e nei limiti delle sue prerogarive".
Il riferimento è ad alcuni commenti pubblicati sulle chiamate fatte dall'ex ministro dell'Interno a uno dei collaboratori del presidente. Telefonate avvenute dopo un'audizione di Mancino in procura a Palermo. Nelle conversazioni il senatore, tra l'altro, chiedeva un intervento del capo dello Stato sui magistrati che stanno indagando sulla presunta trattativa tra Stato e mafia. Parole che Mancino pronunciò senza sapere di essere intercettato.

"In relazione ad alcuni commenti di stampa sul contenuto di intercettazioni di colloqui telefonici tra il senatore Mancino e uno dei consiglieri del Presidente della Repubblica - si legge nella nota del Colle - si ribadisce che ovvie ragioni di correttezza istituzionale rendono naturale il più rigoroso riserbo, da parte dei consiglieri, circa i loro rapporti con il Capo dello Stato".
"Per stroncare ogni irresponsabile illazione - continua la nota - sul seguito dato dal Capo dello Stato a delle telefonate e ad una lettera del senatore Mancino in merito alle indagini che lo coinvolgono, si rende noto il testo della lettera inviata dal Segretario generale della Presidenza, Donato Marra, al Procuratore generale presso la Corte di Cassazione". Una lettera che inizia così: "Illustre Presidente, per incarico del Presidente della Repubblica trasmetto la lettera con la quale il Senatore Nicola Mancino si duole del fatto che non siano state fin qui adottate forme di coordinamento delle attività svolte da più uffici giudiziari sulla "c.d. trattativa" che si assume intervenuta fra soggetti istituzionali ed esponenti della criminalità organizzata a ridosso delle stragi degli anni 1992-1993".
"Conformemente a quanto da ultimo sostenuto nell'Adunanza plenaria del Csm del 15 febbraio scorso, il capo dello Stato auspica possano essere prontamente adottate iniziative che assicurino la conformità di indirizzo delle procedure ai sensi degli strumenti che il nostro ordinamento prevede, e quindi anche ai sensi delle attribuzioni del procuratore generale della Cassazione fissate dagli artt. 6 D.Lgs. 106/2006 e 104 D.Lgs. 159/2011; e ciò specie al fine di dissipare le perplessità che derivano dalla percezione di gestioni non unitarie delle indagini collegate, i cui esiti possono anche incidere sulla coerenza dei successivi percorsi processuali. Il Presidente Napolitano le sarà grato di ogni consentita notizia e le invia i suoi più cordiali saluti, cui unisco i miei personali".

Ed ecco la conclusione della nota: "Risulta dunque evidente che il Presidente Napolitano ha semplicemente - secondo le sue responsabilità e nei limiti delle sue prerogative - richiamato l'attenzione di un suo alto interlocutore istituzionale su esigenze di coordinamento di diverse iniziative in corso presso varie Procure: esigenze da lui stesso espresse nel tempo, anche in interventi pubblici svolti al Csm per 'evitare l'insorgere di contrasti ed assicurarne il sollecito superamento', proprio ed esclusivamente al fine di pervenire tempestivamente all'accertamento della verità su questioni rilevanti, nel caso specifico ai fini della lotta contro la mafia e di un'obbiettiva ricostruzione della condotta effettivamente tenuta, in tale ambito, da qualsiasi rappresentante dello Stato".

Ad intervenire sulle polemiche sorte attorno alla circostanza, anche il procuratore aggiunto alla procura di Palermo, Antonio Ingroia, intervistato da La Repubblica. "Posso assicurare che la procura di Palermo si è sempre mossa senza condizionamenti o pressioni di sorta, basandosi solo sul convincimento che ci si è fatto sulle prove".
"Purtroppo - spiega Ingroia, che coordina il pool che indaga sulla presunta trattativa - dopo la notizia della telefonata dell’ex ministro dell’Interno, Nicola Mancino, al Quirinale - è ormai una cattiva abitudine molto diffusa quella di cercare scorciatoie per affermare la propria innocenza. L'importante, però, è che non si verifichi alcuna interferenza e il corso delle indagini resti tale".
Ingroia respinge poi l'ipotesi di mancanza di coordinamento tra le procure di Palermo, Caltanissetta e Firenze, che indagavano sui misteri del '92-'93: "Ci si è mossi sempre nel rispetto delle reciproche competenze, senza sovrapposizioni, né interferenze. Trovo per altro le conclusioni dei colleghi di Caltanissetta del tutto convergenti con quelle di Palermo".
Il procuratore difende quindi la scelta delle intercettazioni: "Vi erano fondati sospetti che gli esponenti delle istituzioni che dovevano essere sentiti potessero concordare fra loro la versione da riferire. Ecco perché si è ritenuto di ricorrere a uno strumento di accertamento idoneo". "Noi cerchiamo di fare il nostro sovere - rimarca -, per la parte di competenza che ci spetta. I colleghi di Caltanissetta e di Firenze indagano sulle stragi. C'è poi la commissione antimafia, che sta facendo un ottimo lavoro". "Sono certo - conclude Ingroia - che ci sarà coesione fra tutte le componenti dello Stato, perché sia accertata la verità. Adesso però sarebbe necessario un atto di coscienza da parte di chi, all’interno delle istituzioni, conosce la verità e fino ad oggi ha taciuto".

Sulla stessa vicenda si è espresso anche il procuratore capo di Palermo Francesco Messineo, in un'intervista al 'Corriere della Sera'. "Confermo senz'altro quanto ha detto il consigliere d'Ambrosio, che non mi ha mai telefonato al riguardo, non ha fatto nessun tipo di intervento o interferenza. Lo affermo in modo completo, preciso e assoluto. Lo affermo addirittura in modo perentorio. Insomma tra me e il consigliere D'Ambrosio non c'è stato alcun tipo di interlocuzione sul tema. E ritengo addirittura fuor di logica anche solo l’ipotesi di qualsiasi altro tipo di intervento da parte del Quirinale. Vorrei che questo fosse assolutamente chiaro".
Sull'ipotesi che l'ex ministro Nicola Mancino abbia mai chiesto al procuratore di Palermo di evitargli il confronto con l'ex guardasigilli Claudio Martelli, Messineo sottolinea: "Assolutamente no, non mi ha mai avanzato una simile richiesta. In ogni caso il confronto con Martelli è stato fatto, perché era un atto istruttorio necessario".

"Sulla presunta trattativa Stato-mafia è ora di fare chiarezza" - "Sulla presunta trattativa Stato-mafia non dico una parola. Ci sono indagini in corso eppoi ho già detto tutto nel mio libro 'Pax mafiosa o guerra?' ma credo sia giunto il momento di aprire una riflessione politica nel Paese, per affrontare il problema della presunta trattativa in modo laico, cioè senza pregiudiziali ideologiche e senza fare processi in piazza". Lo dice Vincenzo Scotti, ministro dell'Interno dal 16 ottobre 1990 al 28 giugno 1992, intervistato dal 'Corriere della Sera', in merito alla cosiddetta trattativa Stato-mafia.
L’8 giugno scorso, a Palermo, Scotti è stato sentito in qualità di persona informata sui fatti dal procuratore aggiunto, Antonio Ingroia.
Per Scotti è ora di fare chiarezza, "e questo, a proposito della presunta trattativa, si può ottenere chiarendo, già davanti alla commissione antimafia, che cosa realmente accadde. E perché". "Non faccio nomi - prosegue - ma sicuramente tutti i presidenti del Consiglio, i ministri dell’Interno e della giustizia, tutti i capi delle forze dell’ordine e i responsabili della magistratura dell’epoca, diciamo tra il ’90 e il ’97, con un po’ di coraggio potrebbero certamente contribuire a fare chiarezza. Anche perché la partita con la mafia è ancora aperta".

Ma ci fu o no la trattativa tra lo Stato e Totò Riina per evitare altre stragi? "Non ho elementi per dirlo - replica l'ex titolare del Viminale - di sicuro dopo di me ci fu un cambiamento di linea. Lo ha detto Conso (l’ex Guardasigilli, ndr) pubblicamente: lui non confermò i 41 bis, il carcere duro per i mafiosi". "Certi giudizi appartengono all'analisi storica, ma certamente mi hanno fatto fuori", taglia corto Scotti. E ricorda: "Prima delle stragi del '92 dichiarai in marzo lo stato d’allerta perché mi erano giunte precise informazioni, tra cui un memoriale del noto depistatore Elio Ciolini, depositato al tribinale di Bologna. In questo documento - prosegue Scotti - si faceva chiaramente riferimento alla mafia e a possibili stragi in arrivo. Nessuno mi credette".
Dopo Capaci, Scotti tornò alla carica per rafforzare il 41 bis, senza aspettare l’insediamento del nuovo governo Amato. Ma il 28 giugno '92 si ritrovò ministro degli Esteri. "Per questo - rimarca - dico che il problema non si può lasciare, con tutto il rispetto, alla magistratura. Il problema è politico", ed "è giusto farsi avanti, raccontare tutto quello che accadde, senza la paura di passare per traditori, perché comunque lo Stato la lotta alla mafia negli anni l’ha fatta bene e con ogni mezzo, non solo con la repressione ma anche con una legislazione modello".

Riguardo l'ultima vicenda che ruota intorno al suo successore al Viminale, nel ’92, Nicola Mancino, Scotti ha spiegato: "Non so valutare la sua reazione. Di Mancino nel mio libro si parla bene". Ma "certo tutte queste tensioni non aiutano la chiarificazione nel Paese".
Alla domanda poi se il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, abbia fatto bene o male a intervenire sulla vicenda con la lettera inviata al Pg della Cassazione, l’ex ministro dell’Interno replica: il Capo dello Stato, "per favore, lasciamolo stare. Lasciamolo lavorare tranquillo per il bene del Paese, perché la situazione è grave, c’è la crisi, la patria è in pericolo. Scherziamo con i fanti ma…".

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ign, ANSA, Repubblica.it, Lasiciliaweb.it, Corriere.it]

- La trattativa Stato-mafia divide tutti (Guidasicilia.it, 16/06/12)

 

 

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18 giugno 2012
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