Quelle bare che sconfortavano gli Stati Uniti
Obama pronto a rivedere la censura imposta da Bush padre sulla visione delle bare dei caduti americani
OBAMA STRAPPA IL VELO SUI CADUTI
di Vittorio Zucconi (Repubblica.it, 18 febbraio 2009)
Torna dal buio il popolo invisibile di coloro che muoiono due volte, i caduti che tornano a casa di nascosto, lontani dagli occhi, come sono lontani dalla vita. Dal 1991, il rimpatrio delle salme dei soldati uccisi in guerra non deve essere visto dal pubblico, per non fiaccare il "morale" della nazione, e se davvero la presidenza Obama toglierà la benda, come sta progettando di ordinare nei prossimi giorni, il rischio di mettere il Paese intero di fronte alla verità, e al prezzo reale delle guerre, per lui è grande.
Fu naturalmente il Vietnam, l'evento spartiacque della coscienza americana assai più della tragedia dell'11 settembre, a cambiare per sempre il rapporto antico fra la società civile e il caduto in guerra, riportato a casa sopra gli scudi dei compagni, accolto con la massima visibilità corale e ufficiale. Fu il timore del ripetersi della "sindrome del Vietnam", a suggerire a Bush il Vecchio nel 1991, poi a Clinton e infine a Bush il Giovane, il black out su quella lunga, quotidiana teoria di casse di metallo avvolte nella bandiera che i cargo militari vomitano ogni giorno negli hangar della base di Dover, il terminale della processione, alla foce del Delaware. Non più vedove in veli neri, orfani sbigottiti, madri di militi ignoti, autorità civili e militari, ma soldati in tuta da fatica, come turnisti di una catena di montaggio, che scaricano, caricano e inoltrano verso esequie private, disperse in una nazione-continente.
Da quando gli eserciti non sono più armate di leva che incidono nella quotidianità di ogni famiglia, ma professioni liberamente scelte, l'oscuramento del ritorno a casa del caduto è diventato possibile. La morte in guerra, dalla metà degli anni Settanta, quando la leva fu abolita da Gerald Ford, è onorata, celebrata, decorata, ma è divenuta affare privato, quasi un terribile, ma implicito infortunio sul lavoro. I 5.214 soldati uccisi finora in Iraq e in Afghanistan dal novembre del 2001, due al giorno, sono passati nell'oscurità della base di Dover, chiusa a giornalisti, telecamere e registratori, per "rispetto verso la famiglie", spiegava Bush. Mentendo, perché quando i morti potevano essere sfruttati dalla propaganda per eccitare gli spettatori, come fu per i marinai uccisi nell'attacco all'incrociatore Cole, telecamere e reporter erano convocati.
La fine della temuta cartolina precetto che mobilitò la gioventù degli anni '60 e la relativa esiguità del numero dei soldati e quindi dei caduti, ancora oggi meno di un decimo dei 58 mila abbattuti in Indocina, hanno reso pensabile e possibile l'oscuramento delle immagini e quindi delle coscienze, illuminato da occasionali foto rubate e trafugate. Era, per i critici, la dimostrazione più straziante dell'ipocrisia bushista, dell'imbarazzo che la tronfia retorica della "guerra al terrore" suscitava anche in chi l'aveva voluta, ma temeva che un pubblico sempre più scettico potesse ribellarsi alla vista delle conseguenze di una guerra mai davvero vista da vicino. Per questo, la promessa Obamista di "cambiare", di aprire la cassaforte delle vergogne, deve essere mantenuta e il sudario sul ritorno del caduto deve essere, almeno in parte, sollevato.
Anche con piccoli gesti simbolici, come le lettere personali che Obama scrive alle famiglie degli uccisi firmandosi soltanto come "Barack".
Ma qui si apre la trappola sotto i piedi del nuovo Presidente. Come ha sempre sostenuto Colin Powell, "il popolo americano tollera i caduti in guerra, purché, e fino a quando, capisca e condivida le ragioni per le quali sono morti". Permettere che siano riprese e mostrare quelle malinconiche catene di montaggio delle bare gli sarebbe utile per accelerare il ritiro dall'Iraq, dove continua, a "vittoria" conclamata, a cadere un soldato Usa ogni 48 ore.
Ma lo stesso Obama ha promesso l'escalation di altri 30 mila soldati in Afghanistan, un incremento che garantisce più bare. Già il numero di soldati che hanno lasciato la vita nelle valli dove si infransero le armate di Alessando, dell'Impero Britannico, dell'Unione Sovietica, è cresciuto drasticamente, con il risorgere della guerriglia Taliban. I 58 caduti del 2004 sono divenuti gli oltre 200 del 2006 e del 2007 e i 294 del 2008, quintuplicati in cinque anni.
L'opinione nazionale è favorevole all'abolizione dell'oscuramento e alla guerra in Afghanistan. Ma anche il Vietnam fu per anni appoggiato dalla maggioranza degli americani e la guerra divenne "sporca" soltanto quando fu chiaro che non si sarebbe potuta vincere. Esiste una vittoria finale, decisiva in Afghanistan che possa riportare il dolore e il lutto alle dimensioni affettuose e accettate del 1945 e ai rituali della "gloriosa morte" sul campo? Questa è la scommessa di Barack Obama, nello strappare al buio il popolo degli invisibili. Se la dovesse perdere, qualcuno avverte che l'Afghanistan potrebbe essere, per troppa trasparenza, il Vietnam di Obama.