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Quelli segnati sui ''pizzini''

Colpo al cuore di Cosa Nostra grazie anche alla decrittazione dei ''pizzini'' scritti da Bernardo Provenzano

20 giugno 2006

A tremare dopo l'arresto di Bernardo Provenzano, avvenuto l'11 aprile scorso, sono stati e sono in tanti. Quei tanti a cui il boss dei boss aveva dato un numero o una semplice iniziale, quei tanti ''segnati sui pizzini'' che Provenzano scriveva per comunicare, controllare, comandare, ''aggiustare'', indirizzare, segnalare...
Negli anni i codici, i numeri e le lettere hanno nascosto sempre più insospettabili, politici, imprenditori, ''cittadini al di sopra di ogni sospetto'' che nelle maglie della mafia sono rimasti impigliati, e che spesso hanno contribuito a rinforzare i nodi di queste maglie, sempre più intrecciate con lo stato di diritto.
L'arresto di Provenzano e la scoperta delle centinaia di bigliettini, vergati fitti fitti dalla mano del capo dei capi, ha squarciato il sipario del palcoscenico dove a recitare per troppo tempo sono stati mafia, politica e affari e da questo squarcio, tutti hanno subito capito, sarebbe iniziata una fine.

La maxi operazione che stamane ha colpito per l'ennesima volta Cosa nostra è la prova di quanto detto. I magistrati della Dda di Palermo hanno emesso 52 ordini di arresto per associazione mafiosa ed estorsione. Ne sono stati eseguiti 45, mentre la polizia sta ancora cercando altre sette persone. Un'operazione, chiamata 'Gotha', in cui sono stati impegnati più di 500 poliziotti.
In manette sono finiti anche i capi del ''dopo-Provenzano'', una triade composta dai pregiudicati Nino Rotolo, Antonino Cinà e Franco Bonura.
Dall'indagine condotta dalla squadra mobile è emersa la nuova mappa della mafia che ha messo le mani su Palermo. Gli arresti disposti stamani dai pm hanno ''decapitato gli attuali capi di Cosa nostra'' in contatto con Bernardo Provenzano proprio attraverso i ''pizzini''. Il nuovo organigramma di Cosa nostra stavano progettando attentati e omicidi e ordinavano estorsioni a imprese e grosse attività commerciali.

Alla base dell'inchiesta non c'è stato nessun pentito ma solo migliaia di ore di intercettazioni ambientali, osservazioni e i 'pizzini' recuperati nell'ultimo covo di Provenzano. Un'indagine che ha permesso di scoprire la ''triade'' che stava sotto il ''capo assoluto'' Provenzano. Una sorta di organismo ristretto, quasi commissariale, composta da Nino Rotolo, boss di Pagliarelli, dall'analista Antonino Cinà, ex medico di Provenzano e di Totò Riina, e dal costruttore mafioso dell'Uditore Franco Bonura. Questi tre uomini hanno retto la mafia fino a questa notte dopo l'arresto di Provenzano l'11 aprile.
Gli incontri fra Cinà, Bonura e Rotolo si svolgevano in un box in lamiera, situato a una decina di metri dalla villa in cui Antonino Rotolo, condannato all'ergastolo, trascorreva gli arresti domiciliari. Si trova nei pressi di viale Michelangelo, alla periferia della città. Un posto considerato segreto, ma gli incontri che vi avvenivano sono stati spesso filmati dalla polizia.
Un luogo spartano: otto sedie di plastica attorno ad un piccolo tavolo, dove i vertici di Cosa nostra hanno discusso per due anni delle strategie criminali da attuare.
A nulla però, sono valse le tante precauzioni prese, dalla bonifica prima di ogni incontro alle sentinelle messe di guardia.
I protagonisti di quella che poteva trasformarsi in una nuova faida erano i due gruppi facenti capo al latitante Salvatore Lo Piccolo e ai ''perdenti'' della seconda guerra di mafia degli anni Ottanta, e ad Antonino Rotolo, due boss in lotta già prima dell'arresto di Provenzano per stabilire chi dei due dovesse succedere al capo dei capi di Cosa Nostra.

L'inchiesta, che ha pure portato a decrittare i ''pizzini'' trovati nel covo di Provenzano dopo il suo arresto, e scoprire l'identità di alcuni favoreggiatori, è coordinata dal procuratore aggiunto Giuseppe Pignatone e dai pm Maurizio De Lucia, Michele Prestipino, Roberta Buzzolani, Nino Di Matteo e Domenico Gozzo, e si basa in gran parte su intercettazioni effettuate per due anni nel box in lamiera di viale Michelangelo.
''Sono stati acquisiti elementi significativi sui rapporti degli esponenti di vertice dell'organizzazione, in particolare Antonino Rotolo, Antonino Cinà e Francesco Bonura, con esponenti del mondo politico''. Questo hanno scritto i pm nel provvedimento con il quale è stato disposto stamani il fermo di decine di persone per associazione mafiosa e estorsione.
Ci sono elementi, secondo i magistrati, per provare ''il perseguimento di una strategia'' da parte di Cosa nostra ''volta non solo ad appoggiare nelle competizioni elettorali candidati ritenuti di assoluta fiducia ma ad ottenere anche l'inserimento nelle liste dei candidati di persone ancora più affidabili perché legati agli stessi 'uomini d'onore' da vincoli di parentela o da rapporti ritenuti di uguale valore''.
Sembra inoltre, come riporta l'Ansa, che i boss arrestati avessero già trovato gli uomini da inserire nelle liste elettorali di due partiti che fanno parte della Cdl e che dovranno concorrere per le elezioni amministrative di Palermo del prossimo anno.
Dalle indagini, inoltre, sono venuti fuori numerosi episodi di intimidazione documentati anche con intercettazioni ambientali e riprese video dagli investigatori. I proventi delle estorsioni, secondo quanto emerso, servivano soprattutto per le esigenze dei mafiosi in carcere e per le loro famiglie.
Nel mirino del racket finivano talvolta intere categorie di esercenti: è il caso ad esempio dei commercianti di origine cinese della zona della stazione centrale di Palermo, che furono destinatari di un ''avvertimento'' di massa, quando, in una sola notte, le serrature di tutti i loro negozi vennero messe fuori uso con la colla dagli uomini dei clan.

''Un duro colpo alla mafia''. Così ha definito il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso l'operazione 'Gotha'. ''Sono stati arrestati - ha spiegato Grasso - i reggenti di 13 famiglie mafiose e di sei mandamenti. La caratteristica particolare è che questi capimafia arrestati sono stati in passato quasi tutti condannati per mafia ed hanno già scontato la pena. Una volta pagato il loro debito con la giustizia, sono però ritornati a delinquere, prendendo in mano le redini delle cosche''. ''Grazie alle tecnologie più avanzate è stato possibile acquisire un numero impressionante di conversazioni ambientali che, per il livello degli interlocutori e per gli argomenti trattati, ha pochi precedenti'', ha commentato inoltre Grasso. ''L'indagine conferma ancora il ruolo di vertice di Provenzano, punto di riferimento e di equilibrio in una situazione sempre pronta a esplodere''.

- Ecco chi erano i vertici della ''triade'' sotto Provenzano

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20 giugno 2006
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