Quello schifo di Tv. Lo dice anche Soros
Uno studio dell'Open Society Institute (Fondazione Soros)
Ridotto al minimo il giornalismo d'inchiesta - Rai: spezzare il cordone che lega il servizio pubblico al governo e ai partiti politici. No alla privatizzazione.
I paesi europei sono di fronte a una concentrazione del settore audiovisivo che ''minaccia la diversità, il pluralismo e l'indipendenza editoriale''.
Lo afferma un ampio studio sul settore televisivo in Europa pubblicato in questi giorni dall'Open Society Institute (Osi), che fa capo alla Fondazione Geoges Soros.
Il Rapporto - dal titolo ''Televisione attraverso l'Europa: regolamentazione, politica e indipendenza'', condotto in 20 paesi, tra stati membri dell'Unione europea e candidati - denuncia poi la bassa qualità dei programmi televisivi - ''dai quali sembra scomparso o essere ridotto al minimo il giornalismo d'inchiesta'' - e la collusione con la politica.
I grandi gruppi
L'ultimo decennio ha visto le televisioni private cadere ''nelle mani di pochi grandi gruppi'' mentre ormai la maggior parte dell'emittenza nazionale (fino all'80% in Bulgaria, Croazia e Repubblica Ceca) ''si concentra in un numero limitato di catene, in generale non più di tre''.
Vivendi e Bertelsmann/RTL (che è forse il maggior gruppo pan-regionale) sono diventati i due maggiori gruppi europei nell'emittenza commerciale. Seguono il gruppo americano Company central european Media Enterprises (CME) - che raggiunge quasi 80 milioni di telespettatori attraverso nove catene tv in Slovacchia, Romania, Slovenia, Polonia e Ucraina -; lo svedese Modern Times Group (MTG), radicato nei paesi baltici, in Ungheria e presto nella Repubblica ceca; la News Corporation di Rupert Murdoch (che possiede la più grande catena bulgara) e il gruppo europeo SBS Broadcasting, presente in Ungheria e che sta investendo in Romania.
Troppa opacità
In generale gli investimenti, le acquisizioni e i raggruppamenti dell'ultimo decennio sono avvenuti spesso all'insegna di una forte opacità visto che i gruppi sono spesso nascosti dietro società off-shore, rileva il Rapporto, invitando i governi a imporre una maggiore trasparenza. Spesso, inoltre, la concentrazione supera il solo settore audiovisivo per estendersi ad altri media, come in Slovacchia, dove il magnate locale Ivan Kmotrik possiede in parte tre catene televisive ed è nella maggiore società di distribuzione dei giornali del paese.
In diversi ex paesi comunisti, poi, il paesaggio audiovisivo attuale sconta una ''trasformazione caotica'' legata all'assenza di una politica chiara e di un quadro legale, come in Polonia dove si contavano all'inizio degli anni '90 più di 57 emittenti illegali.
Bassa qualità
Per quanto riguarda i contenuti, lo sviluppo delle televisioni commerciali ha condotto, dovunque in Europa - dove i tempi di ascolto continuano ad aumentare (ora la media europea è stimata in tre ore al giorno) -, a un loro forte impoverimento.
La maggior parte delle emittenti private - nota l'Osi - si affidano soprattutto a divertissement di basso livello e su ''trasmissioni sensazionalistiche'' per allargare l'audience, mentre alcuni investitori privati utilizzano le televisioni che controllano per difendere i propri interessi commerciali, specialmente in Romania, Albania, Serbia e Macedonia.
L'anomalia italiana
In Europa occidentale la situazione non è certo migliore, mette in guardia l'Osi citando in particolare il caso del primo ministro italiano Silvio Berlusconi, ''che coniuga un potere senza precedenti sulle televisioni private e pubbliche''.
Riferendosi a quella che definisce l'''anomalia italiana'', lo studio segnala le preoccupazioni per la libertà del sistema informativo ''in un paese caratterizzato dal duopolio pubblico-privato'', da una forte dipendenza del sistema pubblico dal mondo politico e ''dalla presenza di un capo del governo che, nello stesso tempo, è il proprietario del maggior gruppo privato''.
Secondo l'analisi dell'Osi, lo stesso passaggio dall'analogico al digitale, che dovrebbe permettere l'ingresso nel mercato di un numero maggiore di operatori, non dovrebbe rivelarsi molto efficace visto che ''i due maggiori network hanno praticamente monopolizzato le nuove frequenze, perpetuando la loro predominanza''.
Che fare
Nello studio non mancano esortazioni e appelli diretti ai parlamenti, all'Unione europea, al Consiglio d'Europa ed all'Organizzazione per la cooperazione e la sicurezza in Europa (Osce), affinché tutelino la libertà e la pluralità dell'informazione.
Per quanto concerne la Francia, per esempio, sono segnalati problemi nella distribuzione della pubblicità e limitazioni di carattere tecnologico che impediscono agli utenti di accedere a determinati canali, limitandone di fatto certe libertà.
Alla Gran Bretagna viene chiesto di proteggere la neutralità dalla Bbc dalla concorrenza delle tv private e di non abbassare la guardia sulla concentrazione dei media.
Anche alla Germania si propone di non far venire meno il sostegno al servizio pubblico, di tener sotto controllo il processo di concentrazione e di proteggere e rafforzare la trasparenza.
Bloccare il processo di privatizzazione della Rai
Per l'Italia il suggerimento è quello di favorire lo sviluppo delle reti locali a fronte di quelle nazionali, emendare la legge sul conflitto di interesse, introducendo un'esplicita incompatibilità tra il possesso di media e la candidatura al governo del paese e bloccare l'attuale processo di privatizzazione della Rai.
Per quanto riguarda il servizio pubblico, gli analisti propongono di dividere la Rai in due aziende, una di pubblico servizio di proprietà dello stato e l'altra con un profilo più commerciale, privatizzata e allocata sul mercato e, soprattutto, di spezzare il cordone che lega il servizio pubblico al governo e ai partiti politici, promuovendo la totale indipendenza della Rai i cui consiglieri dovrebbero essere eletti con una maggioranza qualificata, con un mandato a termine sfalsato rispetto a quello del governo e incompatibile con cariche politiche o il possesso di mezzi di comunicazione.
Il testo dell'intero Rapporto è su: (clicca qui)
La sezione riguardante l'Italia è curata da due docenti milanesi, Gianpietro Mazzoleni (facoltà di Scienze Politiche della Statale) e Giulio Enea Vigevano (facoltà di Giurisprudenza della Cattolica) ed è consultabile alle pagine 864-954