Raffineria di Gela: stop per un anno
L'Eni ha deciso di interrompere per 12 mesi parte dell'attività di Gela. 800 i lavoratori in cassa integrazione a zero ore
AGGIORNAMENTO
Non ci sono stati i temuti blocchi ai cancelli del petrolchimico di Gela, stamani, per protesta contro la decisione dell'Eni di fermare per un anno due linee di produzione e di collocare in cassa integrazione per lo stesso periodo 800 lavoratori (500 del diretto e 300 dell'indotto) a causa del surplus di produzione in Italia. Le maestranze sono entrate regolarmente, mentre i sindacati proseguono i loro contatti con il mondo politico, le amministrazioni e le altre categorie produttive. Il consiglio comunale di Gela, ieri sera, ha trasformato la prevista seduta in tavolo permanente di confronto in municipio sullo stato di crisi del petrolchimico. I consiglieri comunali dicono "no" alla cassa integrazione e hanno rinunciato al gettone di presenza della seduta in segno di solidarietà con i lavoratori.
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La crisi economica internazionale e la drastica riduzione dei consumi di carburante in Italia e in Europa starebbero alla base della scelta dell'Eni di interrompere per un anno parte delle attività di Gela e di collocare 500 dei suoi 1.200 dipendenti in cassa integrazione a zero ore, con il rischio però di mandare in cig anche circa 300 (Rpt. 300) lavoratori dell'indotto, che complessivamente occupa più di 1.100 persone.
Il progetto aziendale di contenimento produttivo ed occupazionale è stato comunicato alle organizzazioni sindacali Cgil, Cisl, Uil e Ugl in due tavoli tecnici contemporanei: uno con le organizzazioni dei chimici, nello stabilimento di Gela, l'altro presso la prefettura di Caltanissetta per affrontare i riflessi sull'attività dell'indotto. Un terzo incontro è avvenuto a Roma, con i sindacati nazionali del settore energia.
La direzione Refining & Marketing di Eni lamenta in Italia un'eccedenza di "raffinato" (benzina e gasolio) pari a 100 milioni di tonnellate, che non si riescono a vendere. Così è stata fermata l'intera Raffineria di Porto Marghera (Venezia) per 6 mesi, col personale in cassa integrazione. Ripartirà, come concordato con i sindacati, il 2 maggio prossimo. Poi toccherebbe a Gela, che sarebbe chiamata a fermare la linea di produzione 1 e la 3, cioè Coking 1 ed FCC, lasciando in marcia il Coking 2 che lavora il greggio locale e i residui pesanti provenienti dall'estero. Già oggi la marcia delle tre linee procede al 60%. Nel frattempo verrebbero effettuate le manutenzioni degli impianti e realizzati gli investimenti annunciati.
Ma nell'indotto si teme che la cassa integrazione riguarderà anche buona parte dei tremila tra edili, metalmeccanici e dipendenti dei servizi che operano nel petrolchimico gelese. L'Eni avrebbe assicurato alle controparti che dopo i 12 mesi di fermata verranno ripristinati i normali livelli produttivi e occupazionali. I sindacati della chimica e dell'energia, avuta la comunicazione, hanno lasciato il tavolo di confronto e hanno convocato d'urgenza il consiglio delle rappresentanze sindacali unitarie (l'ex consiglio di fabbrica).
Il sindaco, Angelo Fasulo (Pd), ha convocato per questa mattina in municipio Cgil Cisl Uil e Ugl e ieri sera ha incontrato i consiglieri comunali. "È una situazione - ha detto il primo cittadino - che va monitorata e che richiede la presenza forte dell'amministrazione e di tutte le forze politiche e sindacali". Venerdì, lo stesso Fasulo incontrerà i deputati eletti nel territorio gelese.
"Insieme - ha aggiunto - valuteremo le azioni da compiere, confrontandoci direttamente con i vertici della raffineria, per ottenere chiarimenti in merito alla loro decisione e soprattutto risposte sul destino dei 500 lavoratori (su un organico di 1200) destinati alla cassa integrazione".
Ma l'Eni ha assicurato che i patti saranno rispettati. "Ai 500 lavoratori del diretto - dice uno dei dirigenti della raffineria di Gela - sarà garantito il 100% del salario, perchè l'azienda coprirà quel 20% non erogato dalla cassa integrazione".
Per i 300 dei 1.100 dipendenti dell'indotto, invece, sarà lo Stato a intervenire. La Regione siciliana, infatti, si sarebbe impegnata a chiedere la dichiarazione dello stato di crisi per l'area di Gela.
Ma il sindacato respinge nettamente il progetto aziendale e ha dichiarato lo stato di agitazione. "È una cura da cavallo quella che si impone alla raffineria di Gela - ha detto un rappresentante sindacale - col rischio però che il paziente muoia". Il timore, per tutti, è che saltino gli investimenti programmati, pari a 500 milioni di euro. E senza investimenti che ne rilancino produttività e ruolo, Gela non ha futuro. Lo stabilimento (per varie ragioni) ha accumulato negli ultimi tre esercizi perdite annue pari a 200 milioni di euro.
C'è chi, pur ammettendo la fondatezza dei motivi della scelta dell'Eni, ha obiettato definendo iniqua la scelta, perchè sui previsti due anni di tagli per rimettere in carreggiata la produzione delle cinque raffinerie dell'Eni, Gela, da sola, ne deve sopportare uno, pagando di fatto metà del costo dell'intera operazione.
Il presidente della commissione regionale antimafia, Calogero Speziale (Pd), ha definito "inaccettabile il comportamento dell'Eni che scarica sui lavoratori e sulla comunità il fallimento delle proprie strategie di politica industriale" e sollecita il presidente della Regione, Raffaele Lombardo, a convocare le parti e a fare in modo che si apra un tavolo di trattative al ministero delle Attività produttive.
In un suo comunicato l'europarlamentare Rosario Crocetta (Pd), già sindaco di Gela, afferma: "Non si può non essere profondamente preoccupati per le indiscrezioni che trapelano negli ambienti dell’Eni, che annunciano per il petrolchimico di Gela tagli e cassa integrazione per alcune centinaia di lavoratori e soprattutto non si può non reagire". "La crisi siciliana dell’Eni non è la crisi dello stabilimento di Gela, ma piuttosto la crisi dell'intero gruppo Eni che rispetto ai cambiamenti epocali che ci sono in corso in materia energetica, non si è dato una strategia senza l’utilizzo del petrolio e del pet-coke". "Sono tre anni che a Gela - continua Crocetta nel suo comunicato - l’Eni produce in deficit. Si potrebbe dire che le annate buone, che sono state tante e nelle quali si sono prodotti grandi profitti, sono state legate solamente alle quotazioni del petrolio e quindi, era facilmente prevedibile la necessità di cercare un’alternativa al modo attuale di produrre energia e di raffinare. L’Eni deve cambiare fortemente la sua strategia, puntando in territori come Gela alla produzione di energie rinnovabili ed ecosostenibili che determinano nuovi posti di lavoro, non inquinano e usufruiscono di grandi incentivazioni. L’Eni non può chiudere il rapporto con Gela dicendo 'siccome ci va male chiudiamo', ma ha un dovere politico, economico e morale rispetto a un territorio di cui ha condizionato lo sviluppo, un territorio devastato sul piano ambientale. Ritengo che sia veramente necessario ed indispensabile che l’azienda ascolti i lavoratori, le forze sociali del territorio, gli enti locali e affronti le questioni legate allo sviluppo che devono avere le città che gravitano attorno al Petrolchimico. Non si può dire, infatti, 'abbiamo sbagliato tutto e adesso chiudiamo', ma si devono indicare progetti chiari di sviluppo di altre produzioni e di recupero di un patrimonio ambientale e naturale – conclude l’eurodeputato del PD - che era tra i più belli del mondo ed è stato profondamente deturpato".
[Informazioni tratte da ANSA, Lasiciliaweb.it, Adnkronos/Ign, www.rosariocrocetta.com]