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Rapiti nel Delta del Niger altri due tecnici italiani

Mentre i due dipendenti dell'Agip Francesco Arena e Cosma Russo sono ancora nelle mani del Mend...

24 febbraio 2007

La liberazione (avvenuta mercoledì scorso) di Imad Saliba, il dipendente libanese del catering che gestisce la mensa dell'impianto dell'Agip, rapito il 7 dicembre scorso dal Mend insieme ai tecnici italiani dell'Eni, Francesco Arena, Cosma Russo e Roberto Dieghi (quest'ultimo liberato a gennaio per motivi di salute), aveva rinvigorito la speranza, prima di tutto dei familiari degli ostaggi, dell'Eni e della Farnesina di un vicino rilascio dei nostri due connazionali (leggi).
Una speranza vanificata dall'e-mail ricevuta dall'agenzia di stampa Apcom, nella quale il portavoce del Mend (Movimento per l'emancipazione del Delta del Niger) Jomo Gbomo, ha scritto che Saliba non sarebbe stato liberato da loro ma fuggito in un'operazione orchestrata dal governo dello Stato di Bayelsa e ''in parte finanziata dall'Agip''. Secondo il portavoce, l'operazione avrebbe dovuto liberare anche i due ostaggi italiani intorno a cui però la sicurezza del Mend era troppo serrata. L'emai si concludeva con la seguente minaccia: ''Gli italiani e le compagnie petrolifere vedranno presto la nostra risposta a questo affronto''.
Minaccia che sembra essersi concretizzata con quello che è successo ieri, sempre nel Delta del Niger, a circa 45 chilometri da Port Harcourt: un gruppo armato ha infatti sequestrato altri due tecnici italiani, questi impiegati nell'impresa milanese di costruzioni Impregilo.
Durante un conflitto a fuoco, altri concittadini, tre a quanto sembra, sono riusciti a fuggire, ma Lucio Moro e Luciano Passarin, entrambi di origine friulana, sono stati trascinati via.

Il sequestro è stato confermato dal viceministro degli esteri Franco Danieli nel corso di un'intervista telefonica con il direttore di Rai International Piero Badoloni. L'Unità di crisi della Farnesina si è immediatamente attivata attraverso la nostra ambasciata ad Abuja al fine di ottenere ulteriori elementi sulla matrice e la natura del sequestro.
L'azione, comunque, non è stata ancora rivendicata, il modo con cui è stata compiuta però fa subito pensare a una nuova iniziativa del ''Mend'', pur se la zona in cui è avvenuta è abbastanza lontana dal terminale petrolifero di Brass, dove il 7 dicembre erano stati rapiti i quattro tecnici Agip.
Nella zona poi quella di ieri è stata una giornata particolarmente sanguinosa, sette persone fra cui un ingegnere libanese sono rimaste uccise in una serie di agguati che in parte erano forse tentativi di sequestro e in parte erano collegabili a uno scontro tribale fra le comunità Mogho e Bodo, nello Stato meridionale del Rivers. Di certo in vista delle elezioni del prossima primavera la situazione nigeriana va facendosi sempre più tesa.
''Il ministero degli Esteri - ha detto Elisabetta Belloni, capo dell'Unità di crisi - ha consigliato alle aziende che operano in quella zona della Nigeria ad elevato rischio di sequestri, di evacuare i connazionali''. ''Nel Delta del Niger attualmente si trovano 627 nostri connazionali che lavorano per 24 diverse società - ha aggiunto il vice ministro Danieli - e ci auguriamo che il nostro invito venga accolto, anche se non sempre gli avvertimenti vengono recepiti con la dovuta tempestività''.

I nuovi prigionieri - Si chiamano Lucio Moro, di Porpetto (Udine), nella bassa friulana, 47 anni, e Luciano Passarin, di Tolmezzo (Udine), in Carnia, 49 anni; è sposato e ha un figlio. Entrambi dipendenti della Rivivo, una società di costruzioni collegata all'Impregilo, una delle principali società italiane del settore. Moro e Passarin sono impegnati nella realizzazione di una strada e alcuni ponti a Ogoni, un villaggio a una quarantina di chilometri ad est di Port Harcourt.
Lucio Moro, il ragioniere della società, e Luciano Passarin, direttore dei lavori, stavano svolgendo un'ispezione sui lunghi ponti in costruzione. Un'operazione di routine prevista ogni venerdì per controllare l'andamento dei lavori e predisporre i pagamenti per le maestranze, 560 operai locali. Il sopralluogo sul primo viadotto si è svolto sulla carreggiata perché il manufatto è già terminato. Poi i due tecnici sono scesi su una piccola imbarcazione per attraversare un ramo del fiume e controllare lo stato dei lavori del secondo cavalcavia. E' stato a quel punto che dall'ansa del fiume è sbucato un motoscafo con a bordo una quindicina di miliziani che hanno aperto il fuoco, probabilmente in aria giacché nessuno è stato colpito, con le loro armi automatiche.

''La scena si è svolta sotto gli occhi di una decina di poliziotti e di soldati che dovrebbero provvedere alla nostra sicurezza - ha raccontato Virgilio D'Incà, un altro degli impiegati italiani che si è salvato perché rimasto indietro -. Il fuoribordo degli assalitori si è avvicinato lentamente ha fatto un giro attorno a quella dei nostri colleghi e poi ha dato l'assalto. Che hanno fatto gli agenti e i militari? Nulla. Avrebbero potuto sparare al motore dei banditi o allo scafo della loro imbarcazione per affondarla. Invece sono rimasti lì, fermi e impalati, senza accennare una reazione''. ''I nostri colleghi - ha raccontato ancora D'Incà - sono stati strappati dal loro battello e trasferiti in quello degli assalitori che si sono allontanati indisturbati''.
Il campo di Ogoni, dove i dipendenti della Rivivo e delle altre società impegnate nella costruzione della strada e dei ponti vivevano, sei mesi fa è stato assalito a colpi di armi pesanti. D'allora è considerato poco sicuro e gli espatriati sono stati trasferiti nel più sicuro quartiere della Prodeco, altra società di costruzione e manutenzione di stabili, a Eleme, alla periferia di Port Harcourt. Ogni giorno però devono fare 40 chilometri per raggiungere il loro cantiere, una lunga strada, percorsa con una consistente scorta di poliziotti e di militari, perché non è difficile imbattersi in bande armate.
Il bilancio del raid di ieri avrebbe potuto essere ancora più pesante perché oltre a Virgilio D'Incà nella zona dove è avvenuto l'assalto stavano lavorando altri 5 italiani.

- ''Siamo indifesi, i soldati sono impotenti'', di M. A. Alberizzi (Corriere.it)

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24 febbraio 2007
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