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Revocato il 41-bis al capomafia di Capaci

Il tribunale di sorveglianza di Roma ha revocato il carecere duro ad Antonino Troia

19 giugno 2012

Il tribunale di sorveglianza di Roma ha revocato il carcere duro al boss Antonino Troia, condannato con sentenza definitiva all'ergastolo per la strage in cui furono assassinati il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta.
Ritenuto il capo della famiglia mafiosa di Capaci, Troia, ora 77enne, ebbe un ruolo sia deliberativo, che esecutivo nella strage del 23 maggio del '92. All'epoca il boss faceva parte della Cupola di Cosa nostra che decise l'attentato e diede poi anche un apporto logistico ai killer, nascondendo l'esplosivo usato per assassinare Falcone e ospitando nel suo territorio il commando.
Troia è al 41 bis dal 1993 e deve scontare, oltre all'ergastolo per l'eccidio di Capaci, quattro condanne al carcere a vita per altrettanti omicidi. La Direzione nazionale antimafia aveva dato parere negativo alla revoca del decreto di 41 bis rinnovato il 30 novembre 2011, dal ministro della Giustizia Paola Severino.

Secondo i giudici di Roma il provvedimento di proroga del 41 bis sarebbe "privo di adeguata motivazione". Per il collegio, infatti, il provvedimento di proroga si limita ad affermare genericamente che Troia ha una posizione di vertice in Cosa nostra e si allegano tre decreti di sequestro a carico di una serie di esponenti mafiosi di diverse 'famiglie'. "Quanto al profilo criminale - scrivono i giudici - Troia è stato giudizialmente riconosciuto capo della famiglia mafiosa di Capaci e in quanto tale responsabile della strage del 23 maggio 1992 e della commissione di altri quattro omicidi consumati a Capaci nel 1991. E' quindi delineato un ruolo sicuramente di rilievo accertato sino al 1992". "La perdurante operatività della famiglia mafiosa (altro requisito a cui la legge subordina la proroga del 41 bis, ndr) - proseguono - non risulta invece comprovata. Nessuna delle vicende riportate nel decreto ministeriale appare riconducibile alla famiglia di Capaci e ancor meno alla persona di Troia. E non emerge alcun indizio di attuale sussistenza dell'interesse dell'organizzazione mafiosa a intessere indebiti collegamenti con Troia".

Insomma i giudici bacchettano la superficialità della motivazione posta alla base del 41 bis e aggiungono: "Nel corso degli ultimi 19 anni non è mai emerso alcun elemento, giudiziario e non, che possa dirsi sintomatico di perdurante esercizio o riconoscimento del ruolo di vertice di Troia". Per il tribunale, quindi, l'unico elemento di valutazione utile del provvedimento è la posizione di spicco del detenuto nel clan fino al 1992.
"Se è vero - concludono - che il decorso del tempo non può da solo costituire elemento decisivo di valutazione, è altrettanto illegittimo fondare il giudizio richiesto dall'art.41 bis esclusivamente sul ruolo esercitato 20 anni fa da persona che oggi, settantenne e malata, e sottoposta da 19 anni a rigorosissimo ed afflittivo regime penitenziario non ha più avuto relazione diretta o indiretta con un'organizzazione che, pur nell'ambito di Cosa nostra, non è noto sei sia localmente attiva e, soprattutto, in qualsiasi modo ancora legata a interessi legati a Troia".

La revoca non sarà comunque da subito operativa: l'esponente mafioso passerà prima per una fase di regime di alta sicurezza e non avrà immediatamente accesso al regime ordinario. Nel frattempo, una volta conosciute tra l'altro le motivazioni del tribunale di Sorveglianza, gli organi deputati, ossia la Procura nazionale Antimafia e la Procura generale presso la Corte d'Appello, potranno presentare eventuale ricorso.

Lumia, Licandro e Sonia Alfano: "Sconcertante e desolante" - "La revoca del 41 bis al boss Antonino Troia è un provvedimento difficile da accettare. Non si capisce come si possa prendere una simile decisione nei confronti di un boss del suo calibro che ha avuto un ruolo nella strage di Capaci in cui persero la vita il giudice Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli uomini della scorta". A dichiararlo è il senatore del Pd Giuseppe Lumia, componente della Commissione antimafia. "Vedere revocato il regime di carcere duro, dopo i tanti sforzi fatti per fare giustizia sulle stragi e arrivare a una condanna, è davvero desolante. Chiederò in Commissione antimafia che sul caso sia fatta chiarezza", ha aggiunto Lumia. "La lotta alla mafia deve essere dura. Per questo da tempo chiedo un'applicazione più rigorosa del 41 bis a cominciare dalla riapertura delle carceri di massima sicurezza di Pianosa e l'Asinara. E' qui che dovrebbero essere detenuti Antonio Troia e tutti i boss di mafia".

Per Orazio Licandro, coordinatore della segreteria nazionale del Pdci, "la revoca lascia sconcertati nel merito perché decisa contro il parere della Direzione nazionale antimafia e moralmente ancor di più perchè decisa nel ventennale della strage di Capaci. Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli agenti della scorta oggi muoiono una seconda volta".

Non ci sta nemmeno il presidente della commissione Antimafia europea, Sonia Alfano: "Riesce veramente difficile credere che la persona che ha custodito l'esplosivo della strage di Capaci, e che per quella strage è stata condannata all'ergastolo con sentenza definitiva, sia oggi un personaggio marginale o addirittura divenuto estraneo a Cosa nostra".

[Informazioni tratte da ANSA, Adnkronos/Ign, Lasiciliaweb.it, Repubblica/Palermo.it]

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19 giugno 2012
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