Ricordando il ''L'Ora'' di Palermo. Venduta la storica sede del giornale più ''scomodo'' di Sicilia
Una società immobiliare romana ha rilevato lo storico palazzetto palermitano in piazzetta Francesco Napoli 5
La storica sede del quotidiano siciliano "L'Ora", a Palermo in piazzetta Francesco Napoli 5, è stata venduta alla società romana "Tosinvest" dalla Beta immobiliare. Le chiavi del palazzetto, tre piani con un grande seminterrato dove si trovava la rotativa e gli altri locali tipografici, sono state consegnate ai rappresentanti della società il 9 novembre scorso.
Secondo indiscrezioni la Tosinvest starebbe per rivendere l'edificio ad una società che lo trasformerebbe in un grosso centro commerciale. Durante le trattative di compravendita la discussione prendeva in considerazione un valore dell'immobile di circa 7 miliardi di lire. Il palazzetto, con le sue tipiche vetrate, si trova alla fine di via Mariano Stabile, in una zona ricca di banche, grandi magazzini e uffici, nel centro di Palermo.
Lo storico quotidiano ''d'assalto'' L'Ora, fondato da Ignazio Florio nel 1900, diventato famoso nel mondo per le sue battaglia contro la mafia e il malaffare, chiuse definitivamente il 9 maggio 1992 perché l'editore, la Nuova editrice meridionale, non riusciva a far fronte alla gestione economica. La testata venne poi rieditata da un piccolo imprenditore locale Vinicio Boschetti e il quotidiano tornò in edicola per circa una anno, nel 2000. Boschetti fu poi arrestato per bancarotta fraudolenta.
Nella storica sede di piazzetta Napoli si sono succedute generazioni di giornalisti che si sono sparse nelle testate e di tutta Italia giungendo anche ai massimi vertici giornalistici, diventando direttori o inviati speciali di testate nazionali. Nella tipografia de L'Ora, il 1 ottobre 1958, Cosa nostra fece esplodere una bomba per intimidire i giornalisti che da qualche giorno avevano cominciato una inchiesta sulla mafia. Sulla prima pagina del quotidiano del pomeriggio, in quei giorni, campeggiava una foto del boss corleonese Luciano Liggio con un titolo a nove colonne: "Pericoloso!".
E dalla storica sede la sera del 16 settembre 1970 uscì il giornalista Mauro De Mauro per far ritorno a casa. De Mauro scomparve nel nulla e il caso del suo misterioso rapimento è ancora aperto.
E al quotidiano L'Ora e al suo direttore (per oltre vent'anni) Vittorio Nisticò, la giuria del Premio Mondello ha assegnato un riconoscimento speciale.
Il quotidiano palermitano durante la premiazione che si è tenuta sabato scorso, è stato ricordato come una "straordinaria palestra di giornalismo e un originale modello pioneristico".
"Nisticò - si legge nella motivazione - è stato l'artefice principale di questa visione di quotidiano autenticamente democratico e progressista, aggressivo e non paludato, vicino ai lettori e non al Palazzo; e nello stesso tempo aperto ai contributi delle più prestigiose firme di intellettuali siciliani, italiani ed europei".
Quella esperienza, su cui Nisticò ha scritto il libro ''Accadeva in Sicilia'', si proponeva con le battaglie civili del giornale a formare una ''nuova classe dirigente libera da arroganza e stereotipi''.
Nel ricordare il valore di quel lavoro, la giuria del ''Mondello'' ritiene che Nisticò sia da collocare ''tra i grandi direttore della stampa quotidiana e tra i precursori della moderna informazione''.
L'Ora ebbe fior di collaboratori, scrittori, poeti, pittori, da Luigi Capuana a Luigi Pirandello, da Renato Guttuso a Bruno Caruso, da Leonardo Sciascia a Salvatore Quasimodo. Di seguito riportiamo uno stralcio, tratto dal libro ''Accadeva in Sicilia'' (ed. Sellerio 2001), dove Nisticò parla proprio di uno dei sopracitati eccellenti collaboratori.
Gli anni ruggenti dell'Ora di Palermo
Vittorio Nisticò parla di Leonardo Sciascia
Nel medesimo periodo, cominciava ad affermarsi sulle pagine del giornale una forza che sarebbe divenuta presto un prezioso patrimonio: quella degli scrittori e dei professionisti della cultura. La firma di Leonardo Sciascia appare per la prima volta sulle colonne dell'"Ora" il 24 marzo '55: una nota letteraria su un libro di Vittore Fiore: Era nato sui mari del tonno. In quel momento Sciascia non era ancora noto in Italia (Le parrocchie di Regalpetra sarebbe uscito l'anno dopo). Per conoscerlo e concordare la collaborazione ero andato a trovarlo in una sua casetta di campagna nei pressi di Racalmuto, in compagnia di un comune amico, Gino Cortese, deputato comunista al parlamento siciliano. Era l'inizio di un rapporto che sarebbe durato fino alla sua morte, con alcune centinaia di articoli pubblicati sull'"Ora" nel corso degli anni. Il caso volle che, come il suo esordio giornalistico, anche la sua ultima riflessione pubblica fosse per "L'Ora". La dettò con voce sofferente dal letto alla figlia appena qualche giorno prima di cedere per sempre al suo male. Si trattava della prefazione, concordata da tempo, a un volumetto edito dal giornale con la riproduzione degli articoli che il suo amato G.A. Borgese vi aveva pubblicato agli inizi del secolo. Insomma, una parabola di reciproca fedeltà nel segno del destino.
Pochi mesi dopo Sciascia, iniziava la collaborazione anche Danilo Dolci, intellettuale-apostolo radicalmente diverso da Leonardo, che da illuminista siciliano e antipopulista per vocazione qual era, non ne sopportava né la "filosofia" né la predicazione e i metodi di lotta che trovava del tutto estranei alla Sicilia. Inoltre, per quanto Sciascia era sobrio e riservato, quasi timoroso di infastidire, Dolci era di un attivismo spesso ingombrante, e non solo per le notevoli dimensioni del suo fisico. Poiché la sua collaborazione si protrasse per l'intero periodo della mia direzione, sia pure con lunghe parentesi dovute ai suoi frequenti viaggi all'estero, ebbi occasione di non pochi incontri con lui. Arrivava puntualmente con una grande borsa gonfia di carte, estraeva la sua brava agenda e, punto per punto, sviluppava con veloce eloquio ma dettagliatamente quanto aveva da riferire sul tema che lo interessava e sulle singole puntate che pensava di scrivere. Da seguace di quella sorta di divinità che a quei tempi era la Pianificazione, stella polare dei paesi socialisti, Dolci era un accanito pianificatore anche con se stesso. Sebbene ne avessi stima e rispetto, finì che non riuscivo e non avevo neppure il tempo di seguirlo. Come si accorse lui stesso, e una volta annotò nel suo diario, lo guardavo ma senza ascoltarlo. Alla fine, fu un altro in redazione a tenere i rapporti di lavoro con lui.
A differenza di Dolci, rimasto, nonostante i molti articoli pubblicati, un collaboratore esterno senza alcun contatto con la vita della redazione, Sciascia era per tutti noi - da me al cronista più giovane - uno di casa: sempre pronto a intervenire anche nella cronaca diretta o nel fuoco delle polemiche, con le sue riflessioni stringenti e in più di un caso con le sue ire, e sempre con un rispetto puntiglioso della puntualità. Insomma, facendo alto giornalismo. E questo me lo rendeva, ce lo rendeva particolarmente vicino. "Quando il giornale gli chiedeva un articolo, una nota, un commento -ricorderà Mario Farinella - pur nelle fitte giornate del suo lavoro e dei suoi molteplici impegni, non mancava mai all'appuntamento. Veniva lui stesso, arrivava in redazione quasi di soppiatto e come preoccupato di mostrarsi il meno possibile, di rimpicciolire la sua presenza. Lentamente estraeva dalla tasca il foglio piegato in quattro. 'Non so se va bene, vedete voi': era la sua formula d'uso. 'Grazie, Nanà', gli dicevamo. Nessuno o pochissimi lo chiamavano così. Era il diminutivo del suo nome, da ragazzo". Quando cominciò a scrivere per "L'Ora", negli uffici e negli ambienti prevalentemente sotto controllo democristiano, nei confronti del giornale spirava ancora un'aria di ostracismo. Ma lui non ebbe e non avrebbe avuto mai esitazioni. " "L'Ora" sarà magari un giornale comunista ma è certo che mi dà da esprimere quello che penso con una libertà che difficilmente troverei in altri giornali italiani": è la risposta che darà, nel '65, dalle colonne stesse del nostro giornale all'attacco di un giornalista autorevole dell'"Avanti! ". E aggiungeva: "In quanto al mio essere di sinistra, indubbiamente lo sono: e senza sfumature". Nei mesi successivi un numero crescente di intellettuali e scrittori venne raccogliendosi attorno al giornale: Enzo Sellerio, geniale artista della fotografia, colto e irrequieto, spesso intrattabile, uno dei non molti siciliani dal taglio nordico più che arabo~mediterraneo da me conosciuti; uno scrittore ancora imberbe, Michele Perriera, entrato come "biondino" in cronaca e che da lì a qualche anno sarebbe diventato il nostro migliore organizzatore culturale; Vincenzo Consolo anche lui giovanissimo, che cominciò inviando corrispondenze da Sant'Agata Militello per poi venire per un breve periodo in redazione, prima di emigrare a Milano e da lì collaborare intensamente al giornale, con articoli, inchieste e interviste.E' con questa "formazione" di giornalisti e di uomini di cultura, che "L'Ora" divenne di lì a poco doppiamente protagonista dell'anno più carico di destino dell'intero ventennio: il 1958, l'anno dell'Operazione Milazzo e insieme dell'attentato dinamitardo della mafia contro il giornale.
(Accadeva in Sicilia - Sellerio 2001- vol. I, pp. 44-46)