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Ricordare anche don Masino Buscetta per mantenere viva la Memoria

Il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso: ''Per avere un nuovo Buscetta ci vorrebbe un altro Falcone''

29 marzo 2010

Dieci anni fa, il 2 aprile del 2000, moriva Tommaso Buscetta, 'don Masino', boss di Cosa Nostra e primo 'pentito' di mafia, ben sette anni prima che una legge sui collaboratori di giustizia fosse approvata dal Parlamento.
Le sue rivelazioni, rese al giudice Giovanni Falcone a partire dall'estate del 1984, hanno permesso di sollevare il velo non solo sui delitti di mafia, su esecutori e mandanti, ma sulla sua stessa organizzazione centrale e organigramma, la cosiddetta 'cupola'.

Nato a Palermo il 13 luglio del 1928, ultimo di 17 figli, Buscetta proveniva da una famiglia di modeste origini con il padre vetraio e la madre casalinga. A soli 16 anni si sposa nel 1945 con Melchiorra Cavallaro dalla quale avrà 4 figli: Felicia l'anno dopo il matrimonio, Benedetto, Domenico e Antonio, questi ultimi due scomparsi, vittime della 'lupara bianca'. Ma durante la sua vita, Masino ebbe in tutto tre mogli e otto figli.
Il mercato nero, con lo smercio clandestino delle 'tessere per il pane' distribuite per il razionamento della farina durante il regime fascista e la guerra, fu il campo della sua prima attività illegale, alla quale risale il soprannome di 'don Masino' guadagnato nella sua Palermo. Ed entra nel clan mafioso di Porta Nuova. Finito il secondo conflitto mondiale, emigra in Sud America: prima in Argentina a Buenos Aires, poi in Brasile a Rio de Janeiro, dove apre una vetreira, come il padre, con scarso successo.
Torna così a Palermo, nel 1950 e si lega al clan di La Barbera praticando il contrabbando del tabacco per una dozzina di anni, fino allo scoppio della 'prima guerra di mafia' nel 1963, quando si da' alla latitanza. In Sud America torna per costruire un impero criminale basato sullo spaccio di droga e reinvestendo i proventi in una catena di ristoranti e pizzerie. In Brasile viene arrestato il 2 novembre del 1972, estradato in Italia e rinchiuso nel carcere palermitano dell'Ucciardone.
E' condannato a 10 anni, poi ridotti a 8 in Appello, per traffico di stupefacenti: nel suo covo viene trovata eroina per un valore di mercato pari a 25 miliardi di lire dell'epoca. Trasferito al penitenziario torinese delle Nuove, evade e torna in Brasile, dove si sottopone a un intervento di chirurgia plastica e di modifica del timbro di voce. Intanto in Sicilia, la 'seconda guerra di mafia' vede prevalere i corleonesi di Toto' Riina sui palermitani: la sua famiglia viene sterminata.
Il suo arresto data al 24 ottobre del 1983, con 40 poliziotti che circondano la sua casa a San Paolo. Il tentativo di suicidio ingerendo barbiturici anticipa la decisione di collaborare con la giustizia, convinto dal giudice Giovanni Falcone: le sue rivelazioni fanno luce sull'organigramma mafioso di Cosa Nostra. Quindi, l'estradizione negli Usa, una nuova identità, il regime di libertà vigilata in cambio del suo 'pentimento'. Muore il 2 aprile del 2000, stroncato dal cancro all'età di 72 anni.

"Non ci sarebbe stato il collaboratore di giustizia Buscetta senza il magistrato Falcone. Per avere un nuovo Buscetta, servirebbe un altro Falcone".

Il procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso sottolinea, nell'intervista all'Adnkronos - a dieci anni dalla morte del primo 'pentito' della mafia - il binomio indissolubile tra le rivelazioni del boss di Cosa Nostra e il metodo investigativo del giudice Giovanni Falcone poi assassinato, come il collega Paolo Borsellino, dalla mafia.
"E' stata la fiducia che Buscetta nutriva in Falcone a convincerlo ad aprire lo scrigno dei segreti di Cosa Nostra, dalla sua struttura interna alle fonti di finanziamento; e a dare la conferma dell'esistenza di una 'cupola', di una 'commissione provinciale', dei 'mandamenti', quando persino l'esistenza della mafia stessa, intesa come organizzazione criminale, era messa da tanti ancora in dubbio - osserva Grasso -. Non dimentichiamoci che c'era ancora chi parlava solo di singoli gangster o di realtà romanzesca sullo stile del libro e del film sul 'Padrino', di problema etnico connaturato alla sicilianità o, sul versante opposto, di invenzione per diffamare la Sicilia". Ricorda Grasso: "Persino sul termine 'mafia' Buscetta fece chiarezza. Noi ci interrogavamo sull'origine e sul significato di questo termine. E invece, Buscetta disse 'Voi parlate di mafia, noi non la usiamo affatto questa parola, noi parliamo di Cosa Nostra'. Insomma, con lui si cominciò in senso letterale dall'abc".

L'importanza delle dichiarazioni del 'pentito' Buscetta sono ormai fuori discussione: "Senza di lui, non avremmo potuto riscrivere la storia della mafia e dell'antimafia".
Ma Falcone si fidò subito di lui? "No - risponde il procuratore Grasso - perché lui per definizione non poneva la questione sul piano della fiducia ma su quello dei riscontri concreti, su quello che definiva come 'dare contezza' delle accuse e delle rivelazioni che faceva e che dovevano trovare poi conferme nelle indagini". Così, "la 'macchina da guerra' che si mise in moto consentì di sollevare il velo sui livelli alti dell'organizzazione mafiosa, sui mandanti e non solo sugli esecutori materiali dei delitti".
Ma in Buscetta vi era anche un 'pentimento' interiore o solo un interesse personale, diretto, a parlare? "Sgombriamo subito il campo dal cosiddetto pentitismo - premette Grasso - La parola 'pentito' è un'invenzione giornalistica, nata forse perché il termine 'collaboratore di giustizia' era troppo lungo per entrare nei titoli dei giornali...". Prosegue il procuratore nazionale antimafia: "Il concetto di pentimento riguarda la categoria dell'etica, della morale, della coscienza. Qui si parla più semplicemente di un 'patto', di un 'contratto' in base al quale il reo si obbliga a dire tutto ciò che sa e a consegnare i propri beni di origine criminale e, in cambio, ottiene la protezione dello Stato per sé e i suoi familiari, benefici processuali e sconti di pena. Nulla di più né di diverso".
Buscetta "fu il primo a decidere di collaborare. Lo fece già a partire dall'estate del 1984, mentre la cosiddetta legge sui 'pentiti' è del 1991: dunque - osserva Grasso - ci vollero ben sette anni per avere una norma giuridica e altri dieci per modificarla".
Perché accetto' di collaborare, al di la' della fiducia in Falcone? "Aveva perso tutti i suoi familiari, erano stati uccisi i suoi figli: non aveva nulla e nessuno da perdere e in qualche modo fu il suo modo per vendicarsi, una volta catturato in Brasile".
Potrebbero esserci oggi dei 'Buscetta' anche nel campo della camorra napoletana o della 'ndrangheta calabrese? "Occorre creare le condizioni giuste ed efficaci per ottenere queste collaborazioni - risponde Grasso - Va tenuto conto che la camorra è un'organizzazione criminale molto frammentata, non verticistica come la Cosa nostra siciliana; è parcellizzata sul territorio ma con minore spirito di appartenenza, salvo forse il clan dei Casalesi. Quanto alla 'ndrangheta, l'organizzazione è più a livello familistico, basato sui legami di sangue e dunque più difficile da penetrare. Serve un'azione di repressione continua".

Secondo il senatore dell'Italia dei valori Luigi Li Gotti, "il tempo ha dimostrato tutta l'importanza della collaborazione di Tommaso Buscetta, grazie al quale è stato possibile capire il modello organizzativo di Cosa nostra". Li Gotti, che è stato anche avvocato difensore di 'don Masino', ha raccontato all'Adnkronos: "Non solo ha consentito di individuare livelli di responsabiltà" dell'organizzazione criminale "ma anche di accertare la collusione con la politica e diverse sentenze hanno confermato le sue ricostruzioni". ''Oggi, grazie ai collaboratori - osserva Li Gotti - non esistono fatti di mafia sui quali esista una sorta di buio assoluto. Magari non c'è tutta la verità, ma non c'è nemmeno l'oscurità completa". [Informazioni tratte da Adnkronos/Ing]

- Dieci anni dalla scomparsa di Buscetta. Il senatore Li Gotti ne fa un eroe, ma è davvero così? Pochi sanno che… (SiciliaInformazioni.com)

 

 

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29 marzo 2010
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