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Riforma del lavoro: il governo non cambia linea

Il governo dice no all'incontro collettivo con i sindacati. La Cgil: "Il governo non crei divisioni e complicazioni"

04 gennaio 2012

Il governo Monti non cambia linea. A quanto si è appreso, il ministro del Welfare Elsa Fornero è orientata a confermare il metodo degli incontri bilaterali con i sindacati, anche dopo l'appello della Cgil a un tavolo comune.

"Monti non convochi i sindacati separatamente - è infatti la richiesta arrivata dal sindacato di Corso d'Italia - Gli incontri separati stile Sacconi rendono solo tutto più complicato e più lungo. Quindi no a incontri separati".
Sul tema delle liberalizzazioni, spiega la Cgil su Twitter, "prima di svendere le aziende di servizio pubblico locale al peggior offerente bisogna spingerne la crescita dimensionale". Sul tema del lavoro, "servono progetti su esigenze ed eccellenze Paese, come assetto idrogeologico, energia, trasporti, ambiente, cultura e turismo"; "serve un Piano del lavoro che tamponi la crisi, crei nuovi posti per giovani e donne, dia prospettiva e speranza al Paese". Il Piano del lavoro deve prevedere "assunzioni incentivate giovani e donne con contratto di inserimento formativo sui progetti Paese che riduca la precarietà; difesa posti di lavoro in crisi e ammortizzatori per chi perde il posto, a ogni età e per ogni azienda".
Per quanto riguarda la produttività del sistema, secondo la Cgil, bisogna "agire su trasporto merci, Tpl, banda larga, ricerca, università, logistica, energia, porti. Senza investimenti non si cresce". Per quanto riguarda invece la 'produttività industriale', bisogna puntare ad "investimenti su filiere a maggiore valore aggiunto, conoscenze, saperi, nuove tecnologie di processo e di prodotto". Per la produttività del lavoro, serve un "contratto nazionale regolazione universale, contratti aziendali che regolano organizzazione del lavoro e retribuzioni in rapporto a produttività". Sul tema dei contratti, sottolinea la Cgil, serve "un nuovo sistema contrattuale a due livelli (nazionale e aziendale o territoriale) per tutti, dipendenti privati e pubblici". Per Corso d'Italia bisogna "abolire l'articolo 8, la follia giuridica di Sacconi". Per la Cgil, "i contratti non devono violare le leggi vigenti". Sul tema delle pensioni, infine, sostiene la Cgil, bisogna "riaprire discussione e correggere provvedimenti per chi perderà il lavoro e per chi sta maturando i 40 anni".

Per la Cisl il leader Raffaele Bonanni ha sottolineato che "al di là della forma, conta la sostanza. Se il governo vuole avviare una fase esplorativa propedeutica ad un negoziato vero, la Cisl non si sottrarrà. Non serve a nessuno introdurre elementi polemici di divisione". "Più degli altri, non bisogna avere paura di sé stessi in una trattativa sindacale", ha spiegato Bonanni in una nota rispondendo così sia alle critiche che la Cgil ha riservato al governo, sia all'esecutivo stesso sugli incontri bilaterali. "Non serve a nessuno introdurre nel dibattito elementi polemici di divisione che fanno riferimento all'azione del precedente governo, con il quale, tra l'altro, il sindacato, per quanto ci riguarda, ha sempre dialogato ed ha ottenuto risultati concreti. Lasciamo stare il passato. Il problema è con quale spirito il governo Monti intenda ora muoversi nel rapporto con le parti sociali", ha aggiunto. "Se l'obiettivo della fase due è la crescita, solo attraverso un patto sociale si potranno individuare gli strumenti, le risorse e le responsabilità reciproche per raggiungere questo obiettivo. Sono tante le questioni da affrontare sulle quali è opportuno un confronto aperto e costruttivo tra governo, sindacati ed imprese. La concertazione rimane per la Cisl la strada maestra per rafforzare il ruolo del governo Monti in Europa e per la necessaria coesione sociale così indispensabile in questa fase difficile della vita del nostro paese", ha concluso Bonanni.

"Al di là della forma degli incontri, vogliamo confrontarci con il governo - è l'affermazione del leader Uil, Luigi Angeletti - Ciò che conta è che il governo ascolti e accolga il merito delle proposte sindacali".
Mentre il segretario generale dell'Ugl, Giovanni Centrella, mette in chiaro: "Non saranno le modalità dell'incontro con il governo a farci cambiare idea sulle riforme, in ogni caso non ci discosteremo dal nostro obiettivo principale: tenere uniti i lavoratori italiani, per tenere unito il Paese".

Nel dibattito su riforma del lavoro e coesione sociale è intervenuto anche il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano"C'è una necessità ampiamente riconosciuta da tutti che è quella di ripensare gli ammortizzatori sociali". "Ho affermato - ha sottolinea il Capo dello Stato tornando su concetti già espressi nel suo messaggio agli italiani per Capodanno - il concetto che ciascuno deve fare la sua parte. Un concetto molto generale. Poi in concreto quello che riguarda le questioni che interessano in modo particolare le organizzazioni sindacali, si aprirà molto presto la possibilità di incontro e consultazione". Il capo dello Stato ha fatto dunque riferimento all'appuntamento già annunciato tra il presidente del Consiglio Mario Monti e i rappresentanti delle 4 maggiori organizzazioni sindacali. Poi il presidente della Repubblica ha indicato la "necessità di affrontare i nodi che sono già stati affrontati con l'accordo del 28 giugno", sottoscritto da Confindustria e sindacati per neutralizzare di fatto gli effetti dell'articolo 8 della manovra economica varata dal Governo con cui si prevedeva la possibilità di deroghe nei contratti aziendali rispetto al contratto nazionale.

Le 46 forme contrattuali di lavoro in vigore, possono ridursi a 5 - Attualmente sono 46 le modalità contrattuali che permettono l'accesso al mondo del lavoro: dal lavoro subordinato ai para subordinati, dai rapporti speciali a quelli autonomi. Una flessibilità che non ha pari in altri ordinamenti e che potrebbe invece ridursi a sole 5 tipologie contrattuali differenti. E' uno studio della Cgil a fare così il punto sulla 'giungla' contrattuale in vigore in Italia. Un universo intricato e complicato, quasi delle 'scatole cinesi' che raddoppiano i numeri e moltiplicano gli accessi al mercato ma che relegano all'angolo i rapporti di lavoro stabili.
"Su 100 assunzioni soltanto 18 sono a tempo indeterminato", spiega Claudio Treves, responsabile del dipartimento Mercato del lavoro di Corso d'Italia e curatore dello studio. Scorrendo infatti le 46 forme di contratto, 26 per i rapporti di lavoro subordinato, 4 per i parasubordinati, 5 per i rapporti di lavoro autonomo e 11 per i rapporti speciali, si individuano ad esempio ben 6 rapporti part time. Una tipologia di lavoro, questa, "legittima e ragionevole" ma che funzionerebbe "se volontaria" e dopo un'accurata "razionalizzazione e manutenzione dopo i peggioramenti introdotti dal governo di centro destra". Per non parlare delle due "fonti di precarietà strutturale", come le chiama il sindacato: il lavoro a chiamata, lo staff leasing, e l'impalpabile job sharing, "materia per studiosi più che per le persone in carne ed ossa".
Precarietà, quella del mondo parasubordinato, che spesso fa rima, denuncia ancora la Cgil, con elusione. "In larghissima misura le collaborazioni a progetto, quelle occasionali, le partite Iva, sono trucchi per pagare meno e per avere più flessibilità", spiega, puntando il dito contro 'gli associati in partecipazione', apparentemente lavoratori autonomi, ma in realtà, il più delle volte, veri e propri lavoratori subordinati "costretti spesso a pagare le perdite, come accade nel commercio dove se ne sta facendo largo uso". Per la Cgil, dunque, le tipologie potrebbero essere ridotte drasticamente a non più di cinque: il lavoro a tempo indeterminato, il contratto di inserimento (o di re-inserimento), un tipo di rapporto a termine e il part time. E, quale canale di ingresso sul mercato del lavoro, l'apprendistato che per il sindacato rappresenta la soluzione delle soluzioni in tema di unificazione del lavoro da presentare anche in alternativa a quel contratto prevalente verso cui sembra guardare il governo. "E' l'apprendistato il vero contratto di ingresso al lavoro. Al suo interno c'è uno scambio: costa di meno alle imprese, sia dal punto di vista contributivo che salariale, giustificato dal fatto che il lavoratore sta imparando un mestiere mentre la collettività si fa carico della sua formazione", conclude Treves.

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ign, Corriere.it, Labitalia.com]

 

 

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04 gennaio 2012
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