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Riina è andato fuori di testa?

Dietro la minaccia ai pm di Palermo, una possibile "chiamata alle armi" o il "capo dei capi" ha perso la ragione?

14 novembre 2013

Un agente della polizia penitenziaria del carcere milanese di Opera avrebbe sentito il boss corleonese Totò Riina sfogarsi ad alta voce con un detenuto. Nello sfogo, urlato dopo aver seguito in video l'ultima udienza del processo sulla trattativa Stato-mafia, che si svolge a Palermo, una chiara minaccia per tutti i magistrati di Palermo: "Di Matteo deve morire. E con lui tutti i pm della trattativa, mi stanno facendo impazzire". "Quelli lì devono morire, fosse l'ultima cosa che faccio", avrebbe aggiunto il boss, minacciando così tutti i rappresentanti dell'accusa al processo: oltre a Di Matteo, l'aggiunto Vittorio Teresi e i pm Francesco Del Bene e Roberto Tartaglia (LEGGI).

Il capo della Procura di Palermo, Francesco Messineo, dopo la pubblicazione su "Repubblica" del presunto sfogo in carcere di Totò Riina, ha detto: "Sulla verità, la fondatezza e la corrispondenza al vero delle minacce propalate da Totò Riina nei confronti del Pm Di Matteo, e pubblicate su un quotidiano, preferisco non fornire alcun elemento. Partendo da questo pressuposto siamo profondamente allarmati da questa pubblicazione perché, ammesso che siano vere, queste minacce sembrano una chiamata alle armi che Riina fa al popolo di Cosa nostra contro i magistrati che rappresentano l'accusa nel processo sulla trattativa Stato-mafia". "Il passato ci ha insegnato qualcosa e, poiché non vogliamo ripetere le esperienze negative del passato, abbiamo ritenuto di esplicitare questo allarme" ha aggiunto Messineo ai giornalisti che chiedevano se l'attuale clima di allarme in procura sia simile alla stagione vissuta da Falcone e Borsellino nel 1992 e culminata con le stragi di Capaci e via D'Amelio, dopo le minacce di morte di Totò Riina contro Di Matteo e i pm del processo sulla trattativa Stato-mafia.

In ogni caso, ha detto infine il procuratore capo, "non verranno aumentate le misure di sicurezza per Di Matteo né il magistrato verrà trasferito in una località segreta con la sua famiglia". "Di Matteo - ha sottolineato ancora Messineo - fruisce di un adeguato servizio di protezione tale da consentirgli di svolgere una vita di relazione e lavorativa normale, quanto può essere normale la vita di un magistrato sotto scorta". "Le misure di sicurezza di cui usufruisce sono già adeguatamente elevate - ha ricordato il procuratore - ma questo potrà essere materia che potrebbe riguardare altri magistrati che si occupano del processo della trattativa".

Secondo Messineo, dunque, quello di Riina potrebbe essere una pericolosa chiamata alla armi. C’è invece chi pensa che, sempre a patto sia vero lo sfogo del boss,  quell’urlo lanciato dalla sua cella di massima sicurezza non si altro che un segnale dell’estremo disagio vissuto. Il grido disperato di un individuo oramai del tutto solo e che sa di non contare più nulla.
Giuseppe Pipitone in un suo articolo pubblicato su Lettera43.it, scrive: "L'ultima esternazione di Riina ci racconta di una perdita di lucidità, di una perdita di equilibrio, una defaillance quasi umana, che mostra in pubblico le deboli sembianze criminali che gli sono proprie. È cambiato l'uomo che dava ordini di morte soltanto con un rapido sguardo, che da dietro le sbarre ha lanciato segnali inquietanti e geometricamente ragionati. Oggi Riina si sente perduto, forse per la prima volta da quando è rinchiuso nella sua cella di tre metri per quattro".

L’articolo di Pipitone continua: "Qualcosa nella psicologia criminale dell'ultraottantenne Riina è cambiata. Il boss ha capito che lo Stato suggeritore di stragi e eccidi lo ha definitivamente abbandonato.    Ha capito, e complice una carenza di lucidità non ha saputo trattenere violente reazioni verbali [...] E l'oggetto della sua minaccia urlata è proprio Di Matteo, che da anni indaga sul patto segreto tra pezzi delle Istituzioni e la mafia [...] Indipendentemente dall'esito del processo, sa da tempo di dover morire mentre le telecamere di sorveglianza lo inquadrano, sa che per lui il fine pena mai corrisponde all'epitaffio funebre. Una condanna in più non gli cambia di certo i programmi.[...] È stato venduto Riina, è stato abbandonato dai suoi stessi luogotenenti, dopo una strategia del tritolo suggerita da fiancheggiatori rimasti ancora oggi a volto coperto, che ha portato solo danni a Cosa Nostra. È per questo che oggi la belva non ci vede più: tutti, anche i picciotti che nei quartieri popolari di Palermo continuano a crescere con il suo mito, adesso sapranno che Totò 'u curtu non è più un capo, è stato venduto dai suoi stessi uomini dopo aver guidato Cosa Nostra all'autodistruzione."

Dunque, Riina ha lanciato un chiaro e urlato segnale ai suoi rimasti fuori, oppure, ormai solo e abbandonato da tutti, rinchiuso al 41 bis ha perso del tutto la trebisonda? Quale che sia la verità, dietro un fatto che ancora nessuno ha provato indiscutibilmente, è difficile da comprendere.
Intanto, Nino Di Matteo, intervistato da Repubblica, dice: "Io ci sono. E continuo a fare il mio lavoro". "Per il momento - assicura - non ho alcuna intenzione di lasciare la mia città, so che nella mia terra tanti semplici cittadini condividono un sogno di giustizia e di verità".
Alla domanda se ritiene che le istituzioni stiano facendo tutto il possibile per la sua protezione, il magistrato replica: "Mi fido delle istituzioni che si stanno prendendo cura della mia sicurezza. Ringrazio soprattutto i carabinieri che curano da tempo la mia scorta".

Mentre sulla proposta di alcuni giovani di istituire una scorta civica per proteggere i magistrati del pool Di Matteo commenta: "Rimango sempre colpito dalla grande voglia di partecipazione che incontro nelle scuole e nelle università: i giovani esprimono con tutta la loro passione civile la stessa voglia di verità che deve sempre animare gli sforzi della magistratura".

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14 novembre 2013
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