Crea gratis la tua vetrina su Guidasicilia

Acquisti in città

Offerte, affari del giorno, imprese e professionisti, tutti della tua città

vai a Shopping
vai a Magazine
 Cookie

Riina, Mancino e Berlusconi

Trattativa tra Stato e mafia. Sulle nuove rivelazioni del pentito Brusca riportate dal settimanale ''L'Espresso''

22 ottobre 2009

Natale 1992. In una casa alla periferia di Palermo Totò Riina, allora reggente incontrastato di Cosa nostra, ha radunato i suoi "colleghi" boss, quelli più fidati, per gli auguri di buone e feste e per fare una comunicazione molto speciale...

Questi il luogo e il tempo nel racconto che il pentito Giovanni Brusca ha fatto al pm di Firenze Gabriele Chelazzi e che Lirio Abbate ha sapientemente riassunto nell'articolo dal titolo 'Tra mafia e Stato' pubblicato oggi dal settimanale L'espresso.
Brusca racconta che quel giorno, era esattamente la vigilia di Natale, fu accolto a quella riunione da un Riina insolitamente euforico ed eccitato, "come se fosse il padrone del mondo", e con un gran sorriso rivelò: "Eh! Finalmente si sono fatti sotto. Ah, ci ho fatto un papello così...", e indicò con le mani un foglio che aveva davanti di grandi dimensioni. Riina aggiunse, racconta ancora Brusca, che in quel pezzo di carta aveva messo, oltre alle richieste sulla legge Gozzini e altri temi di ordine generale, la revisione del maxi processo a Cosa nostra e l'aggiustamento del processo ad alcuni mafiosi fra cui quello a Pippo Calò per la strage del treno 904.
Nodo importante delle parole con le quali il "capo dei capi" introdusse questo discorso del "papello" è la frase: "Si sono fatti sotto. Ho avuto un messaggio. Viene da Mancino".

Dunque, secondo il racconto dell'esecutore materiale della strage di Capaci, sarebbe stato Nicola Mancino, attuale vicepresidente del Csm all'epoca dei fatti ministro dell'Interno, a mandare nel 1992 un segnale alla Mafia per intavolare una trattativa dopo le stragi in cui morirono i giudici Falcone e Borsellino.
Ricostruendo la vicenda davanti al giudice Chelazzi, Giovanni Brusca dice che Riina era "felice che la trattativa, aperta dopo la morte di Falcone, si fosse mossa perché 'Mancino aveva preso questa posizione'.Quella, scrive Abbate nell'articolo, fu l'unica volta che Brusca sentì pronunciare da Riina il nome di Nicola Mancino, che era stato riferito a Riina attraverso Vito Ciancimino. Altri non lo hanno mai indicato, anche se Brusca è sicuro che ne fossero a conoscenza anche alcuni boss, come il latitante Matteo Messina Denaro, il mafioso trapanese Vincenzo Sinacori, Giuseppe Graviano, Leoluca Bagarella e Salvatore Biondino (detenuto dal giorno dell'arresto di Riina). Quest'ultimo nell'incontro del Natale del '92, riferendosi al pentito Gaspare Mutolo, disse: "Ma guarda un pò, quando un bugiardo dice la verità, non gli credono". Il riferimento era al fatto che - scrive ancora Abbate - tra le tante sciocchezze dette in passato, Mutolo aveva però ricordato l'incontro tra Mancino e Borsellino a Roma dicendo che subito dopo il magistrato era molto teso, tanto da fumare contemporaneamente due sigarette.

Perentoria la replica di Nicola Mancino: "Non rispondo a criminali che stanno scontando l'ergastolo. Rilevo un dato cronologico: se Riina nel Natale del 1992 parlava con i suoi complici di un 'messaggio', quel messaggio fu, tre settimane dopo, il suo arresto da me più volte, nei mesi precedenti, pubblicamente sollecitato alle forze dell'ordine".
Infatti, il capo dei "Corleonesi" viene arrestato il 15 gennaio del 1993 mentre, scrive L'Espresso, "insieme a Salvatore Biondino si sta recando alla riunione durante la quale avrebbe voluto informare i suoi fedelissimi di ulteriori retroscena sui contatti con gli uomini delle istituzioni". "Brusca è convinto che in quell'incontro il padrino avrebbe messo a nudo i suoi segreti, per condividerli con gli altri nell'eventualità che a lui fosse accaduto qualcosa. Il nome dell'allora ministro era stato riferito a Riina attraverso Ciancimino. E qui Brusca sottolinea che il problema da porsi - e che lui stesso si era posto fin da quando aveva appreso la vicenda del 'papello' - è se a Riina fosse stata o meno riferita la verità: 'Se le cose stanno così nessun problema per Ciancimino; se invece Ciancimino ha fatto qualche millanteria, ovvero ha bluffato con Riina e questi se ne è reso conto, l'ex sindaco allora si è messo in una situazione di grave pericolo che può estendersi anche ai suoi familiari e che può durare a tempo indeterminato'. In quel periodo c'erano strani movimenti e Brusca apprende che Mancino sta blindando la sua casa romana con porte e finestre antiproiettile: 'Ma perché mai si sta blindando, che motivo ha?'. 'Non hai nulla da temere perché hai stabilito con noi un accordo", commenta Brusca come in un dialogo a distanza con Mancino: 'O se hai da temere ti spaventi perché hai tradito, hai bluffato o hai fatto qualche altra cosa'".

Nell'articolo de L'Espresso Abbate annota che, verso la fine del '93 e l'inizio del '94, la mafia cerca nuovi referenti politici. "Il boss Giuseppe Graviano, secondo il pentito Gaspare Spatuzza, avrebbe allacciato contatti con Marcello Dell'Utri. Ai magistrati Spatuzza dice che la stagione delle bombe non ha portato a nulla di buono per Cosa nostra, tranne il fatto che 'venne agganciato', nella metà degli anni Novanta 'il nuovo referente politico: Forza Italia e quindi Silvio Berlusconi'. Il tentativo di allacciare un contatto con il Cavaliere dopo le stragi era stato fatto anche da Brusca e Bagarella". Rivela Brusca: "Parlando con Leoluca Bagarella quando cercavamo di mandare segnali a Silvio Berlusconi che si accingeva a diventare presidente del Consiglio nel '94, gli mandammo a dire "Guardi che la sinistra o i servizi segreti sanno", non so se rendo l'idea...". Spiega sempre il pentito: "Cioè sanno quanto era successo già nel '92-93, le stragi di Borsellino e Falcone, il proiettile di artiglieria fatto trovare al Giardino di Boboli a Firenze, e gli attentati del '93".
I mafiosi, insomma, intendevano mandare un messaggio al 'nuovo ceto politico', facendo capire che 'Cosa nostra voleva continuare a trattare'.
A spiegare perché la scelta dei boss cadde su Forza Italia è lo stesso Brusca: "Perché c'erano pezzi delle vecchie 'democrazie cristiane' - avrebbe detto il killer di Falcone ai magistrati fiorentini secondo l'articolo de L'espresso -, del partito Socialista, erano tutti pezzi politici un po' conservatori, cioè sempre contro la sinistra per mentalità nostra. Quindi volevamo dare un'arma ai nuovi 'presunti alleati politici', per poi noi trarne un vantaggio, un beneficio".
Oggi due procure stanno già valutando queste dichiarazioni per decidere se riaprire o meno il procedimento contro Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri, archiviato nel 1998.

[Informazioni tratte da Ansa.it, La Siciliaweb.it, il Velino.it]


- "Tra mafia e Stato" di Lirio Abbate (L'espresso)

 

 

Condividi, commenta, parla ai tuoi amici.

22 ottobre 2009
Caricamento commenti in corso...

Ti potrebbero interessare anche

Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia