Crea gratis la tua vetrina su Guidasicilia

Acquisti in città

Offerte, affari del giorno, imprese e professionisti, tutti della tua città

vai a Shopping
vai a Magazine
 Cookie

Risicata, ma comunque una sconfitta

Alla faccia dell'Unione! Il voto contrario del Senato verso la politica estera ha scardinato definitivamente il governo

22 febbraio 2007

Fin dal suo insediamento l'Unione di governo è sempre e solo stata nominale. Prima o poi sarebbe accaduto, si è sempre detto, e così è stato ieri. Una sorpresa? Per niente, perché quello del governo Prodi è sempre stato un matrimonio imperfetto, di interesse e del quale si aspettava il divorzio.
Il governo Prodi è stato battuto dal voto sulla politica estera, ma se non fosse stato quello di ieri sarebbe stato quello sul rifinanziamento alle truppe in Afghanistan o quello sui ''Dico''.
E' stata anche colpa della manifestazione di sabato che la sinistra radicale ha svolto a Vicenza contro la base militare americana? Non è stato quello il cardine di ciò che è successo, ma sicuramente ha smosso i nervi e ha dato ossigeno a chi, per diverse volte, ha votato a favore del governo turandosi il naso.
Ma è stata la oramai celebre maggioranza risicatissima che l'Unione ha sempre avuto a palazzo Madama il vero motivo della sconfitta del governo, quel filo del rasoio sul quale ogni volta Prodi & Co. hanno dovuto camminare con negli occhi il baratro e quel senso di paura che corre dietro la schiena guardando negli occhi gli ''antichi'' senatori a vita responsabili come non mai con i loro acciacchi e tutto il peso dell'età che grava materialmente sulle loro storiche spalle.
Nell'aula del Senato è stata bocciata la mozione dell'Unione (il quorum era di 160 voti, 158 i favorevoli, 136 i contrari, 24 gli astenuti) in maniera risicata.

Il più nero mercoledì delle ceneri - L'ultimo giorno di Prodi come premier è cominciato ieri mattina quando Massimo D'Alema ha preso la parola al Senato. Il vicepremier ha difeso le scelte di politica estera del governo e ha subito chiarito: ''Non parlerò della base di Vicenza''. Poi ha ribadito le linee di politica estera dell'esecutivo: ''Sono qui per chiedere un forte consenso politico che possa permettere all'Italia di affrontare le prossime delicate e complesse scelte''.
In Aula, nel frattempo, continua la conta dei voti. Un sottile confine tra vittoria e sconfitta, si misura sull'ordine di poche unità. La Cdl, nel frattempo, tenta lo stesso escamotage che aveva tentato con successo in occasione del voto sulla politica della Difesa. Il leghista Roberto Calderoni presenta una mozione che sottolinea ''la continuità della politica estera col precedente governo'' e approva la linea di D'Alema.
Passano i minuti e il sen. De Gregorio (ex Italia dei valori) annuncia: ''Voto contro''. Fino a ieri aveva detto che avrebbe votato a favore. Ma le preoccupazioni più grosse si appuntano sui cosiddetti ''dissidenti'' della sinistra radicale: Fernando Rossi (indipendente nella lista dei Comunisti italiani) e Franco Turigliatto (Rifondazione comunista). Su di loro si appunta il pressing della maggioranza.

Massimo D'Alema prende di nuovo la parola e tornando sui suoi passi parla di Vicenza. Dice che la scelta della base è fatta, ma che il governo è disposto a confrontarsi con i cittadini. Poi ammonisce: ''E' venuto il momento delle assunzioni di responsabilità ed è per noi fondamentale misurare il consenso di quest'aula, condizione preziosa per andare avanti con il lavoro''. Un invito alla ''trasparenza'' rivolto all'Aula e in particolare alla maggioranza. Non prima di aver respinto la mozione della Cdl perché, dice D'Alema, non è vero che c'è continuità con la politica estera di Berlusconi.
Queste ultime parole fanno fare un precipitoso dietrofront al centrodestra. Fini e Berlusconi si sentono al telefono e dettano la linea. Il testo cambia. ''Il Senato - si legge nel nuovo testo - verificate nei fatti la continuità della linea di politica estera e di difesa fino ad ora adottata dall'attuale governo anche in sede di comunità atlantica, udite le relazioni e la replica non le approva''.
Nell'Aula di palazzo madama inizia la tombola. I più ottimisti ipotizzano che la mozione dell'Unione potrebbe passare per un solo voto: 159 a 158. La realtà, però, è esattamente contraria: Rossi e Turigliatto non votano, i senatori a vita Andreotti e Pininfarina si astengono (che al Senato vale come voto contrario).
Il presidente del Senato, Franco Marini, annuncia il risultato. L'Unione è stata sconfitta.
I senatori del centrodestra esultano e chiedono con schiamazzi e urla le dimissioni del governo.

Passano ancora le ore, tre, forse quattro, e il presidente del Consiglio Romano Prodi prende la sua decisione: rassegna le dimissioni nelle mani del presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Che fare adesso? Le consultazioni sono cominciate stamane di buon'ora.
Si smonta tutto e si va subito al voto? Con la legge elettorale vigente, vera causa di tutto quello che è avvenuto per le elezioni trascorse da troppo poco, nemmeno il centrodestra vuole sentire parlare di nuove elezioni (tranne la Lega nord). Un governo tecnico con a capo il presidente Marini? Potrebbe darsi , ma è solo un'ipotesi. Un ''Prodi bis''? Altra ipotesi ma con molte condizioni dettate proprio dal diretto interessato. Il professore è stato subito chiaro: un'eventuale reincarico potrà essere accettato solo se ''avrò carta bianca '', solo sulla base di ''un programma forte e vincolante''. Nessuna scorciatoia.
Quanto a possibili allargamenti della maggioranza, l'unica ipotesi per il momento ''allo studio'' è quella di ''un'apertura di interesse'' verso ''L'Italia di Mezzo'' di Follini e forse verso gli autonomisti siciliani di Raffaele Lombardo. Comunque vada, nessun patto con il diavolo (e l'ipotesi dell'allargamento all'Mpa di Lombardo cosa sarebbe?), nessuno stravolgimento della coalizione uscita dalle urne dell'aprile scorso: ''Non sono un uomo per tutte le stagioni''. ''O così oppure si va al voto!'', ha sottolineato Prodi.

L'ipotesi di allargare non dispiace del tutto nemmeno a Rifondazione comunista. ''A questo punto - ha palesato il suo ragionamento Franco Giordano - Prodi dovrà guadagnarsi qualche consenso in più. Naturalmente senza snaturare il programma di governo''. Certo, Rifondazione privilegerebbe ''un allargamento stretto''. Sta di fatto, che il fronte si è comunque aperto anche dalla parte dei massimalisti, pronti a dare tutta la loro fiducia a Prodi che, aspettando comunque la decisione finale del presidente della Repubblica alla fine di tutte le consultazioni, conclude: ''Se non ci saranno le mie condizioni, allora me ne andrò. Mi dimetterò anche da deputato. Torno a fare il professore a Bologna''.

- Il fattore «C» è svanito nel giorno della sfida (G. A. Stella, Corrirere.it)

- Andreotti e l'ombra della vendetta (S. Messina, Repubblica.it)

Condividi, commenta, parla ai tuoi amici.

22 febbraio 2007
Caricamento commenti in corso...

Ti potrebbero interessare anche

Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia