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Ritratto di un ménage coniugale tra un uomo debole e pauroso e una donna forte e incontrollabile

Continua il romanzo d'appendice sul pentimento dell'ex boss mafiosa Giusy Vitale

13 giugno 2005

Continua il romanzo d'appendice sul pentimento dell'ex boss mafiosa Giusy Vitale, una storia dove crudeltà, pentimento, corna e amore si intrecciano all'ombra degli ultimi fatti di mafia noti che girano attorno a Totò Riina e Bernardo Provenzano.

Dopo aver lasciato l'amante (Alfio Garozzo) della prima boss in gonnella (Giusy Vitale), sorella dei fratelli ''fardazza'' di Partinico (Vito e Leonardo Vitale), che chiedeva al boss Nitto Santapaola di proteggere i propri figli dalla vendetta dei familiari della Vitale, torniamo a narrare un altro capitolo della vicenda, che vede stavolta come protagonista il marito della pentita Vitale, Angelo Calacea, che racconta come i rapporti fra lui e la moglie si erano incrinati...

''Lei non mi dava confidenza, non c'era feeling tra noi''.
Comincia così il racconto di Angelo Caleca, imputato nel processo per l'omicidio dell'imprenditore Salvatore Riina, assieme a Giusy Vitale e al fratello della collaboratrice Leonardo.

Quello ''cuntato'' (raccontato) dall'elettricista di Partinico, in carcere da oltre due anni con l'accusa di omicidio, è il ritratto di un insolito menage coniugale tra un uomo debole e pauroso e una donna forte e incontrollabile, una capomafia legata alla famiglia di origine, un vero e proprio clan inserito negli alti livelli di Cosa nostra.
Angelo Caleca durante la deposizione non chiama mai la moglie per nome ma solo ''la signora''.
''La signora - ha spiegato - non mi diceva niente dei suoi affari, non mi diceva chi vedeva e chi incontrava, nel campo privato non eravamo in buoni rapporti''.
Costretto a rispondere alle dettagliate domande del pm Francesco Del Bene e poi a quelle del presidente della Corte d'assise Roberto Murgia, l'imputato ha sostenuto di non essersi mai per nulla intromesso nelle scelte criminose della moglie: ''Le dicevo sempre che volevo andarmene da Partinico, che ero stanco di quella vita. Le dicevo: andiamocene oppure ci separiamo. Poi ci hanno arrestati entrambi''.

Il pm gli ha ricordato che Giusy Vitale ha raccontato di aver frequentato latitanti anche di sera tardi nell'ultimo periodo trascorso a Partinico. ''Lei - gli ha chiesto il pm - non sollevava obiezioni a questi incontri serali di sua moglie?''. ''No. La signora non mi faceva confidenze'', ha risposto Caleca. ''Ma stiamo parlando di sua moglie'', ha obiettato il Pm. ''Mi tenevo in disparte - ha ribadito Caleca - per educazione. Non volevo sapere niente. Una volta incontrò suo fratello che era latitante, ma io restai distante, non mi interessavano i loro discorsi''.
Il pm gli ha quindi domandato se la famiglia viveva con il suo stipendio di elettricista o con altri proventi, e Caleca ha risposto: ''Io portavo a casa il mio stipendio. Ogni tanto la signora mi chiedeva dei soldi per comprarsi qualche vestito, e io glieli davo, ma poi non so che ne faceva''.
Neppure dopo l'arresto del fratello boss Vito Vitale, quando la donna avrebbe assunto a Partinico il ruolo di capo clan, il marito fu informato di nulla. ''Non mi disse nulla - ha riferito Caleca - non è che lei mi veniva a dire a me se era reggente, figuriamoci, non avevamo questo feeling''.

Caleca ha poi precisato di non avere intrattenuto rapporti neppure con i cognati Vito e Leonardo Vitale. ''Sapevo che erano brave persone, se poi si sono introdotti in altri campi - ha detto - io non lo so. L'ho letto sui giornali che facevano parte di Cosa nostra''.
Persino sulle relazioni amorose attribuite a Giusy Vitale, l'uomo ha detto di non sapere nulla: ''Non conosco Alfio Garozzo, non sapevo nemmeno che mia moglie avesse un telefonino, se avessi saputo l'avrei abbandonata nel carcere, non l'avrei aspettata per quattro anni e mezzo''. 
 
to be continued...

Le puntate precedenti:

- La morale del male

- Amore, mafia e pentimento

- ...E il convivente della mafiosa pentita scrisse al boss...

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13 giugno 2005
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