Ritratto di un ménage coniugale tra un uomo debole e pauroso e una donna forte e incontrollabile
Continua il romanzo d'appendice sul pentimento dell'ex boss mafiosa Giusy Vitale
Continua il romanzo d'appendice sul pentimento dell'ex boss mafiosa Giusy Vitale, una storia dove crudeltà, pentimento, corna e amore si intrecciano all'ombra degli ultimi fatti di mafia noti che girano attorno a Totò Riina e Bernardo Provenzano.
Dopo aver lasciato l'amante (Alfio Garozzo) della prima boss in gonnella (Giusy Vitale), sorella dei fratelli ''fardazza'' di Partinico (Vito e Leonardo Vitale), che chiedeva al boss Nitto Santapaola di proteggere i propri figli dalla vendetta dei familiari della Vitale, torniamo a narrare un altro capitolo della vicenda, che vede stavolta come protagonista il marito della pentita Vitale, Angelo Calacea, che racconta come i rapporti fra lui e la moglie si erano incrinati...
''Lei non mi dava confidenza, non c'era feeling tra noi''.
Comincia così il racconto di Angelo Caleca, imputato nel processo per l'omicidio dell'imprenditore Salvatore Riina, assieme a Giusy Vitale e al fratello della collaboratrice Leonardo.
Quello ''cuntato'' (raccontato) dall'elettricista di Partinico, in carcere da oltre due anni con l'accusa di omicidio, è il ritratto di un insolito menage coniugale tra un uomo debole e pauroso e una donna forte e incontrollabile, una capomafia legata alla famiglia di origine, un vero e proprio clan inserito negli alti livelli di Cosa nostra.
Angelo Caleca durante la deposizione non chiama mai la moglie per nome ma solo ''la signora''.
''La signora - ha spiegato - non mi diceva niente dei suoi affari, non mi diceva chi vedeva e chi incontrava, nel campo privato non eravamo in buoni rapporti''.
Costretto a rispondere alle dettagliate domande del pm Francesco Del Bene e poi a quelle del presidente della Corte d'assise Roberto Murgia, l'imputato ha sostenuto di non essersi mai per nulla intromesso nelle scelte criminose della moglie: ''Le dicevo sempre che volevo andarmene da Partinico, che ero stanco di quella vita. Le dicevo: andiamocene oppure ci separiamo. Poi ci hanno arrestati entrambi''.
Il pm gli ha ricordato che Giusy Vitale ha raccontato di aver frequentato latitanti anche di sera tardi nell'ultimo periodo trascorso a Partinico. ''Lei - gli ha chiesto il pm - non sollevava obiezioni a questi incontri serali di sua moglie?''. ''No. La signora non mi faceva confidenze'', ha risposto Caleca. ''Ma stiamo parlando di sua moglie'', ha obiettato il Pm. ''Mi tenevo in disparte - ha ribadito Caleca - per educazione. Non volevo sapere niente. Una volta incontrò suo fratello che era latitante, ma io restai distante, non mi interessavano i loro discorsi''.
Il pm gli ha quindi domandato se la famiglia viveva con il suo stipendio di elettricista o con altri proventi, e Caleca ha risposto: ''Io portavo a casa il mio stipendio. Ogni tanto la signora mi chiedeva dei soldi per comprarsi qualche vestito, e io glieli davo, ma poi non so che ne faceva''.
Neppure dopo l'arresto del fratello boss Vito Vitale, quando la donna avrebbe assunto a Partinico il ruolo di capo clan, il marito fu informato di nulla. ''Non mi disse nulla - ha riferito Caleca - non è che lei mi veniva a dire a me se era reggente, figuriamoci, non avevamo questo feeling''.
Caleca ha poi precisato di non avere intrattenuto rapporti neppure con i cognati Vito e Leonardo Vitale. ''Sapevo che erano brave persone, se poi si sono introdotti in altri campi - ha detto - io non lo so. L'ho letto sui giornali che facevano parte di Cosa nostra''.
Persino sulle relazioni amorose attribuite a Giusy Vitale, l'uomo ha detto di non sapere nulla: ''Non conosco Alfio Garozzo, non sapevo nemmeno che mia moglie avesse un telefonino, se avessi saputo l'avrei abbandonata nel carcere, non l'avrei aspettata per quattro anni e mezzo''.
to be continued...
Le puntate precedenti:
- La morale del male
- Amore, mafia e pentimento
- ...E il convivente della mafiosa pentita scrisse al boss...