Sanzioni agli imprenditori che non denunciano il pizzo
Nel ''pacchetto sicurezza'' linea dura contro le infiltrazioni mafiose
Il Governo depositerà oggi alle commissioni Giustizia ed Affari Costituzionali una serie di emendamenti al "pacchetto sicurezza", tra i quali nuove norme sul sistema di scioglimento delle Amministrazioni comunali per infiltrazioni mafiose e nuove regole antiracket per l'imprenditoria.
Ad annunciarlo è stato ieri il sottosegretario all'Interno, Alfredo Mantovano, durante un convegno sul racket che si è tenuto a Palermo.
Per quanto riguarda il primo scenario citato, gli emendamenti prevedono, tra l'altro, l'estensione della responsabilità, in caso di infiltrazioni, anche alla fascia burocratica dell'amministrazione. In concreto il Governo propone l'introduzione della risoluzione del rapporto di lavoro, della sospensione dall'incarico o della destinazione ad altre mansioni di figure quali quella del segretario comunale, ad esempio, in caso di scioglimento del Comune.
Analogo provvedimento per l'imprenditore che si è aggiudicato un appalto pubblico e non denuncia di avere subito un'estorsione o un tentativo di estorsione.
Certo, non è la previsione codificata dell'obbligo di denuncia per le vittime del pizzo, invocata dalla Federazione Italiana Antiracket, nei mesi scorsi, ma il contenuto delle nuove norme vi si avvicina molto. Il Governo, infatti, propone l'introduzione di sanzioni nei confronti dell'imprenditore che gestisce appalti pubblici e non segnala alle forze dell'ordine la pressione delle cosche. La sanzione pensata dall'esecutivo, che crea una misura di prevenzione ad hoc, è la risoluzione dell'appalto e l'interdizione dell'impresa dalla contrattazione con la pubblica amministrazione.
Un altro emendamento nel "pacchetto sicurezza" prevede per i prefetti poteri di impulso o anche di sostituzione nei confronti dell'Agenzia del Demanio nella fase di gestione dei beni confiscati ai mafiosi. "Questo - ha spiegato Mantovano - perché, spesso, la burocrazia è garante della continuità nella collusione mafiosa".
Presente al convegno antiracket anche il presidente di Confindustria Sicilia, Ivan Lo Bello, che intervenendo ha detto: "Nel Paese il clima è mutato, lo Stato è presente e forte e tutela gli operatori economici che non possono più nascondere dietro l'alibi della paura connivenze e rapporti di convenzienza con i clan. Insomma, denunciare ormai è un dovere". Lo Bello ha colto l'occasione anche per sottolineare l'insufficente potere di controllo che attualmente vige nelle imprese. "La legislazione attuale non è in grado di prevenire le infiltrazioni mafiose nella pubblica amministrazione. Nella normativa ci sono maglie troppo larghe ed i controlli sulle imprese non sono sufficienti". "Mi chiedo, ad esempio, - ha continuato Lo Bello - quali accertamenti la Regione siciliana faccia rispetto alla titolarità, delle cave, settore su cui da sempre si allungano le mani di Cosa nostra". "Nella lotta alla mafia - ha aggiunto infine - la pubblica amministrazione non può arrivare in ritardo".
Il convegno di ieri è stato un'occasione, per magistrati, esponenti dell'associazionismo, rappresentanti delle istituzioni, per fare il punto sullo stato della lotta alle estorsioni. Un bilancio positivo, quello emerso, che non significa, però, raggiungimento del traguardo. Passi avanti nel contrasto al racket e nella reazione degli operatori economici sono stati fatti, insomma, ma la strada è ancora lunga. A ribadirlo è stato il prefetto Giosué Marino, commissario nazionale antiracket, e il pm di Palermo Maurizio de Lucia, secondo il quale ancora molti imprenditori cercano "la messa a posto" rivolgendosi alla mafia. Lo ha ripetuto lo stesso sottosegretario Mantovano. "Le denunce sono ancora poche - ha detto - anche se i numeri vanno confrontati con quelli degli anni passati".
Ma quali sono le cifre? A Palermo, città emblematica della stretta dei clan sul tessuto economico, tra gennaio e giugno, 38 vittime si sono rivolte alla polizia; nell'ultimo trimestre, invece, le denunce sono state 22. "Molto è cambiato nell'atteggiamento delle persone", ha ribadito il presidente onorario della Fai, Tano Grasso, che ha ricordato il contributo dato dalle associazioni datoriali. "Quella della Confindustria siciliana - ha spiegato - è stata ad esempio una rivoluzione copernicana: prevedere l'espulsione degli imprenditori che pagano il pizzo non era affatto scontato".
[Informazioni tratte da Ansa, La Siciliaweb.it]