Scontro all'interno della maggioranza su appalti e mafia
''No all'obbligo di denuncia''. Il Pdl cambia le regole sulle norme anti-racket
Dopo la rottura sulle ronde, sui Centri di identificazione ed espulsione, sui "medici-spia", la complicatissima manovra del governo sulla sicurezza ha segnato un nuovo scontro all'interno della maggioranza che vede contrapposti il solito ministro dell'Interno Roberto Maroni da una parte, e il ministro della Giustizia Angelino Alfano dall'altra. Questa volta Lega e Pdl sono divisi su appalti e mafia. Lo scontro è infatti nato sull'obbligo per l'imprenditore titolare di appalti pubblici di denunciare un'estorsione pena la perdita della commessa e l'interdizione dalle gare per tre anni.
Uno scontro nato la scorsa notte, mentre nelle commissione Giustizia e Affari costituzionali della Camera si era all'ultimo rush per mandare il ddl in aula.
Il responsabile del Viminale Roberto Maroni e il sottosegretario (ex An) Alfredo Mantovano, raccogliendo gli appelli di Ivan Lo Bello, il presidente di Confindustria Sicilia, della collega campana Cristiana Coppola, delle associazioni antiracket, hanno insistito per l'obbligo di denuncia nella versione del Senato. Ma una modifica dell'ex aennino Manlio Contento lo ha fatto cadere e e ha raccolto il sì del sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, che ha approfondito la questione col Guardasigilli Angelino Alfano, e dei due relatori ex forzisti Jole Santelli e Francesco Paolo Sisto.
Così è scattata la protesta della Lega, mentre Mantovano spiegava che "il testo è frutto di un accordo tra Interno, Giustizia, Economia e Sviluppo economico, con il via libera di palazzo Chigi". La Giustizia però ha fatto dietro front. In aula a fronteggiarsi c'era la sola maggioranza perché Pd e Idv se ne sono andati per protesta. Al voto, quindi, ha vinto il Pdl. Se fosse stata presente l'opposizione forse avrebbe prevalso il Viminale.
"Questa notte alcune votazioni hanno confermato le mie preoccupazioni. Una norma fortemente voluta dal ministero è stata emendata e svuotata di significato", ha commentato Maroni.
La divisione sugli appalti mostra un conflitto interno alla maggioranza veramente pesante. Da una parte c'è la norma esistente, contestata alla Camera dall'Ance, che tra le cause di esclusione da una gara inserisce la mancata denuncia dell'estorsione che il pm scopre in un'indagine su terzi. L'imprenditore non è indagato, ma il pm dovrà segnalare l'anomalia all'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici. Manlio Contento dice no: "E' una procedura di dubbia costituzionalità perché l'imprenditore non è direttamente sotto inchiesta". Con la correzione il pm segnalerà solo imputati di falsa testimonianza o favoreggiamento. Il sottosegretario alla Giustizia Caliendo è d'accordo: "Se un imprenditore è minacciato dell'uccisione del figlio e non la denuncia per paura di perderlo, poi non può perdere l'azienda. Se vieni chiamato da polizia e pm e non collabori è diverso".
Dall'altra parte c'è il sottosegretario all'Interno Mantovano: al Senato si è battuto per una norma che obbliga a un maggior dovere di lealtà chi lavora con lo Stato. Norma vantata da Maroni all'Antimafia come strumento per costringere gli imprenditori alla denuncia. Prevale la linea garantista. Al Viminale sono in collera: "Evidentemente sono tutti contenti che la Salerno-Reggio sia un'autostrada a una corsia" dicono alludendo al peso della mafia sulle gare.
[Informazioni tratte da un articolo di Liana Milella (Repubblica.it)]