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Scorrono veleni al tribunale di Palermo

''Il cognato del procuratore capo, Francesco Messineo, sarebbe un uomo d'onore''

07 marzo 2009

La notizia è scottante ed è una di quelle che si potrebbero definire "classiche", riguardando i veleni che da sempre scorrono lungo i corridoi del Tribunale di Palermo. Vero è che da un paio di anni sembrava che le tensioni si fossero allentate, ma alla luce di quanto andremo a snocciolare, sembra piuttosto che queste siano soltanto rimaste sotto traccia. A ridare materia alle lingue biforcute un articolo apparso ieri su alcuni quotidiani a proposito delle parentele del procuratore capo, Francesco Messineo, con un presunto uomo d'onore: si tratta di Sergio Maria Sacco, 64 anni, originario di Camporeale, imparentato con Vanni Sacco boss degli anni '50 e '60. L'accusa nei confronti di Sacco si basa anche su alcune intercettazioni effettuate nel dicembre 2006 in cui l'uomo consigliava a Monica Burrosi, moglie del boss Giovanni Bonanno, di lasciare Palermo.
Sacco, secondo gli investigatori, sarebbe stato vicino ai boss mafiosi Sandro e Salvatore Lo Piccolo. Il nome del cognato di Messineo era però emerso in passato nell'ambito di altre inchieste antimafia da cui venne poi assolto. Le stesse accuse erano venute a galla proprio due anni fa quando Messineo, con l'appoggio di settori di Magistratura democratica, riuscì, a farsi eleggere a capo della procura palermitana dal Consioglio superiore della magistratura.

Il procuratore Messineo ha subito ricevuto la solidarietà e la fiducia di tutti i piemme di Palermo che gli hanno immediatamente rinnovanto la loro "incondizionata stima" e hanno sollevato non pochi dubbi sull'articolo: "Suscita perplessità ed inquietanti interrogativi tale improvvisa e concentrica attenzione mediatica - sostengono i magistrati in un documento - su una circostanza molto datata, già nota al Csm e valutata come irrilevante in occasione della nomina di Messineo a procuratore capo di Palermo; circostanza che non ha mai prodotto all'interno dell'ufficio riserve o limiti di alcun genere, anche per il ritrovato entusiasmo nel lavoro di gruppo, nella tradizione dello storico pool antimafia, e per l'effettiva gestione collegiale dell'ufficio". Per i pm palermitani, "in una fase storica nella quale la procura della Repubblica di Palermo è impegnata in uno straordinario sforzo di contrasto al sistema di potere mafioso, che si è concretato in risultati straordinari quali la disarticolazione della compagine interna dell'organizzazione mediante l'arresto di centinaia di uomini d'onore, anche di vertice, nonchè nell'aggressione alle sue immense ricchezze mediante il sequestro di patrimoni per un valore di circa due miliardi e cinquecento milioni di euro, alcuni quotidiani puntano l'attenzione della pubblica opinione sul rapporto di parentela del procuratore Messineo con alcuni soggetti in passato indagati".
Anche sui tempi i magistrati hanno sollevato più di un interrogativo: "Tali perplessità si accrescono in considerazione della coincidenza temporale con il progredire di delicatissime indagini sulle relazioni esterne di Cosa nostra. In tale momento i magistrati della procura avvertono la necessità di rinnovare la propria incondizionata stima al procuratore capo Francesco Messineo".

La netta presa di posizione dei magistrati palermitani dell'accusa a difesa del loro procuratore non chiude comunque il lungo braccio di ferro fra le cordate dei magistrati che si fronteggiano dentro e fuori il tribunale di Palermo. Non si è mai effettivamente chiuso, infatti, lo scontro che fra febbraio e marzo di due anni fa obbligò il Csm a convocare Messineo e il suo predecessore, Pietro Grasso, passato alla Direzione nazionale antimafia. Uno scontro al calor bianco perchè Messineo aveva deciso di reinserire negli organici della Direzione distrettuale antimafia due magistrati, Guido Lo Forte e Roberto Scarpinato, allontanati proprio da Grasso nel perido in cui guidava la procura di Palermo. Davanti al Csm Grasso non solo accusò il successore di aver rivoluzionato la Dda senza informarlo e consultarlo, ma addirittura di aver spezzettato le competenze sulle inchieste relative ai rapporti fra mafia, politica e affari, provocando nei fatti una parcellizzazione delle indagini. In più avrebbe riconsegnato a Scarpinato ruolo e poteri troppo vasti. Un metodo, secondo Grasso, avversato a suo tempo già da Giovanni Falcone.

Sulla vicenda che riguarda il procuratore di Palermo Francesco Messineo si profila l'intervento del Csm, e a sollecitarlo già lunedì prossimo sarà il laico di An Gianfranco Anedda, che intende chiedere l'apertura di una pratica in Prima Commissione, quella competente sui trasferimenti d'ufficio dei magistrati e che si occupa anche di tutti gli esposti che riguardano le toghe. "Il Csm non può rimanere indifferente di fronte a una vicenda di questo genere - sostiene Anedda - Se il vice presidente Nicola Mancino non aprirà d'ufficio una pratica sul caso, credo che lo chiederemo noi lunedì prossimo, quando si riunirà la Prima Commissione". Tra le prime possibili iniziative che il Csm potrebbe adottare, la convocazione del procuratore generale di Palermo perché riferisca sul caso.

A questa vicenda, che appare subito contorta e delicata, se ne aggiungebbe un'altra, al quanto imbarazzante: il fratello del procuratore, Mario Messineo, ex direttore di una società a partecipazione regionale, è imputato - si legge negli articoli di ieri - insieme ad altri, di truffa aggravata e continuata.
Sicuramente un nodo difficile da sciogliere, ma che si spera venga sciolto, visto l'importanza che hanno indubbiamente avuto per Palermo le operazioni condotte da lui in questi ultimi tempi.

[Informazioni tratte da La Siciliaweb.it, SiciliaInformazioni.com]

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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07 marzo 2009
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