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Scritti sulle ''Cene di San Giuseppe di Salemi'' di Enza Gandolfo Bellomo (2)

20 marzo 2007

Il banchetto come un rito
di Enza Gandolfo Bellomo

Il momento culminante della giornata dedicata a San Giuseppe è il pranzo, che diventa simbolo del banchetto eucaristico fatto dal popolo e convito di beneficenza insieme. Nei due giorni precedenti la festa la padrona di casa, sempre aiutata dalle donne del vicinato, parenti ed amici, prepara le vivande per il banchetto rituale che, per tradizione, deve essere ricco e vario. Quando tutto è pronto, le pietanze vengono disposte in bell'ordine sulla tovaglia bianca di un grande tavolo in una stanza adiacente a quella dove è stata costruita la ''Cena''.
''Il mangiare di San Giuseppe'' è a base di verdure e frittate. ''I carciofi ci devono essere e pure la 'mpignulata, la carne no''. Questo ripetono le donne esperte della tradizione. Tutte le pietanze sono cibi ''poveri'': cereali, uova, verdure, frutta,  agrumi, pesci, dolci e quanto la stagione può offrire, tranne la carne che è vietata nel periodo quaresimale. In tempi recenti si sono aggiunti prodotti d'importazione e pietanze più ricercate per il benessere diffuso, ma nulla è stato tolto alla carica simbolica del rito.
Il pranzo inizia verso mezzogiorno dopo che il sacerdote viene a benedire i cibi e l'altare e i tre bambini arrivano nella sala. Il padrone di casa lava loro ritualmente le mani, come ha fatto Gesù che ha lavato i piedi agli apostoli, e i ''sacri'' personaggi prendono posto attorno al tavolo. Il Bambino più piccolo taglia una forma di pane benedetto sotto gli occhi attenti di tutti i presenti. Questo è il momento più sentito perché tradizione vuole che la fetta tagliata, ''ricca'' o ''avara'', sia segno della buona o cattiva annata. Il pezzetto di pane, conservato accuratamente, viene poi dato ai bambini balbuzienti perché, mangiandolo, possano guarire. Allo scoppio di ''u mascuni'' (mortaretto) arriva il primo piatto, un'arancia tagliata a pezzetti e zuccherata, simbolo dell'abbondanza e auspicio di grazia e prosperità.
Si continua con le varie portate, che vengono servite dai padroni di casa e annunciate, di volta in volta, da un rullo di tamburo o dallo scoppio di mortaretti. Il grido osannante ''Viva Gesù, Giuseppe e Maria'' invita i tre bambini a mangiare tra gli sguardi dei presenti compiaciuti, che accettano un assaggio per devozione.
Piatto tipico e simbolico della ''Cena di San Giuseppe'' è la ''pasta con la mollica'', spaghetti conditi con la mollica di pane grattugiato mescolata con olio d'oliva, zucchero, cannella e prezzemolo tritato. La pasta viene offerta a tutti i visitatori e giunge in dono a persone anziane, malati in ospedale, religiosi nei conventi. Un pezzo di finocchio verde completa il lauto pranzo.
In una ''Cena'' c'è sempre grande abbondanza e le pietanze, non meno di 19, possono arrivare a cento e una. A conclusione del rito si recitano: la litania alla Madonna ed altre preghiere, a gloria della Sacra Famiglia. Un ultimo gesto chiude ritualmente la sequenza: ''tutti i presenti, a turno, baciano la mano ai Santi'', gridando in coro ''Viva Gesù, Giuseppe e Maria''. Per tutto il pomeriggio e fino a tarda sera la festa continua a casa del devoto e si assiste a un andirivieni di visitatori ammirati. A rallegrare l'atmosfera amici ''musicanti'' suonano la fisarmonica, il mandolino o u ''friscalettu'' (zufolo) dando con gioia il loro contributo al trionfo del Patriarca San Giuseppe.

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20 marzo 2007
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