Scritti sulle ''Cene di San Giuseppe di Salemi'' di Enza Gandolfo Bellomo (4)
Come si prepara il pane
di Enza Gandolfo Bellomo
Dopo la questua penitenziale fatta, a volte a piedi scalzi, per tutto il paese di porta in porta, se il voto è pubblicizzato, o a proprie spese se la promessa è ''fazzu n'a cena pi chiddu chi pozzu'', la padrona di casa prepara il pane con straordinari esiti plastico-simbolici. Aiutata dalle donne del quartiere, amiche e conoscenti, lavora giorni e giorni per modellare con vera creatività ed arte tutto il pane per la cena. S'impastano quintali di farina, si lavora la pasta fino a che diventa omogenea, si divide in tocchetti e con vera maestria si procede alla modellazione figurativa, usando arnesi comuni come temperini, pettini con fitti denti, aghi, ditali, forbicine e il cosiddetto ''mucaciu'', un attrezzo metallico a pinza dentata. Particolarmente laboriosa è la manifattura dei ''Pani dei Santi'', ma le sapienti mani delle donne più esperte, a cui se ne affida la fattura, sanno creare veri capolavori in miniatura dalle forme più varie.
Per giorni, attorno a lunghe tavolate, giovani ed anziane insieme danno prove di abilità manuali e si trasmettono tecniche e simbologie in un clima sereno e festoso.
Tutto il pane, prima della «'nfurnata», è reso lucido da una pennellata di chiara d'uovo battuto con succo di limone e, quando il colore dorato ricopre le teglie, la cottura è ultimata. Allora ogni ''panuzzu'' si fa ''segno'' per rappresentare la Passione di Cristo, la vita di Maria e di Giuseppe, tutta la magnificenza del creato, nel ''tempio'' fatto in casa.
Quando il lavoro degli uomini e quello delle donne è ultimato, si lavora insieme è nasce la ''Cena'' che viene ad esaltare la vita domestica, la famiglia unita e benedetta, garanzia della continuità.
Tutta la fatica dei preparativi viene offerta come un tributo d'amore a San Giuseppe, modello per ogni sposo cristiano.