Scrivere poesie... non è da mafiosi
L'omofobia mafiosa: i boss omosessuali rischiano di essere estromessi dai clan e dalla vita
Non ci convince tanto la sezione dove alla fine abbiamo scelto di inserire questa notizia perché, se in conclusione, quelli che verranno intrapresi da chi andrà ad interessarsi alla questione saranno, con molta probabilità, ragionamenti di natura sociologica e di "Costume", rimane comunque il fatto che alla base di tutto vi è un vicenda di "Cronaca".
Al di la di questi nostri ragionamenti "scritti ad alta voce", ci rendiamo conto che l'unica maniera per affrontare il tema è quello di andare a riportare i "fatti di cronaca" e invitare i lettori ad una riflessione sia sociologica, che di costume, nonché di subcultura mafioso e omofobica.
LA CRONACA - Un gruppo di otto mafiosi avrebbe stuprato in carcere un affiliato al loro stesso clan giudicandolo gay per il fatto che scriveva poesie. Il fatto sarebbe avvenuto oltre due anni fa nel carcere di Piazza Lanza a Catania secondo quanto raccontato in questi giorni dall'avvocato Antonio Fiumefreddo, legale del giovane violentato, alle telecamere di "Klauscondicio", la trasmissione del massmediologo Klaus Davi su You Tube. "Ho deciso di rendere pubblico il fatto dopo la denuncia del giudice Antonio Ingoia che ha rivelato come i boss, anche solo sospettati di omosessualità, vivano in un clima di terrore - ha detto Fiumefreddo - Ingroia ha ricordato il caso di Johnny D'Amato, boss mafioso Usa, assassinato perché gay. Ma non è il solo caso". "Indagato per associazione mafiosa e detenuto nel carcere catanese di Piazza Lanza, il ragazzo - ha raccontato l'avvocato, che è anche sovrintendente del Teatro 'Bellini' di Catania - scriveva poesie e aveva modi che potremmo definire effeminati. Non so nemmeno se fosse omosessuale, ma per il suo modo di essere, per la sensibilità artistica, e le sue poesie d'amore, venne ritenuto dagli altri detenuti omosessuale e venne trattato in carcere come tale. Fu violentato da un gruppo di otto detenuti, tutti in carcere per gli stessi reati, e fu costretto al ricovero in infermeria con nove punti di sutura all'ano. Oggi il ragazzo è ancora in carcere, ma per quell'episodio non ci fu alcuna conseguenza o punizione per i suoi aggressori". Secondo il legale queso è dovuto a "un problema che attiene all'ipocrisia del sistema". "L'episodio - conclude Fiumefreddo - non0 è l'unico, credo che sia accaduto anche molte altre volte".
ALCUNE CONSIDERAZIONI - "La barbarie mafiosa è figlia di una società che non rispetta la diversità" ha commentato Anna Paola Concia, deputata del Partito democratico, su quanto denunciato dall'avvocato Antonio Fiumefreddo. "Lo stigma sociale verso l'omosessualità è patrimonio delle società arcaiche - ha aggiunto Concia -, dove era ammessa la forza bruta per punire comportamenti giudicati non corretti. La politica ha il dovere di educare al riconoscimento ed all'affermazione del valore sociale della omosessualità. In Germania come in Spagna, due paesi dove gli omosessuali hanno diritti riconosciuti e tutele dalle discriminazioni, ho visto con i miei occhi che lo stato non perde occasione per sostenere campagne contro l'omofobia. Nel nostro paese la politica ha il dovere di educare alla cittadinanza, al rispetto reciproco. Per stare dentro la cittadinanza bisogna avere diritti e doveri. Rispettare le regole. Finchè nel nostro paese sarà ammesso che una donna può rischiare la vita a causa di un molestatore ledendo le sue libertà fondamentali e un omosessuale può essere picchiato e violentato, l'Italia non sarà un paese che può definirsi civile. Infatti in Europa non ci considerano tali".
"Riteniamo stupefacente che si venga a conoscenza dopo due anni, grazie alla denuncia dell'avvocato Fiumefreddo, che un ragazzo appartenente ad un clan mafioso, sia stato stuprato da altri appartenenti al clan perchè ritenuto omosessuale", ha affermato l'Arcigay. "Chiediamo immediati ragguagli alle autorità competenti; chiediamo di conoscere le attuali condizioni di vita della vittima all'interno dell'Istituto di Pena di Catania, Piazza Lanza; chiediamo, al di là dei crimini commessi dal giovane, se e quali siano le misure messe in atto per la sua protezione".
E, come lo stesso avvocato Fiumefreddo ha ricordato, sul filo rosso che collega la subcultura omofobica della mafia con la stessa Cosa nostra è sempre stato Klauscondicio a dare ragguagli agli utenti di Internet, con un intervista ad Antonino Ingroia, sostituto procuratore della Dda a Palermo, da tutti indicato come erede di Paolo Borsellino, che ha rivelato interessanti aspetti sulla questione.
"Ci sono boss mafiosi omosessuali, ma si nascondono e non escono allo scoperto". Ingroia nell'intervista sottolinea che questi boss non hanno ancora fatto coming out "per paura di essere estromessi dall'organizzazione". "Se l'essere gay costituisce ancora un tabù per la società italiana - dice Ingroia - figuriamoci in una società arcaica come quella mafiosa. Perciò questi boss vivono la loro omosessualità clandestinamente e con paura perchè, se scoperti, rischiano di essere estromessi".
Diverso invece il discorso per i mafiosi americani. "Nelle nuove generazioni più aperte, come la mafia italo-americana - sottolinea ancora il magistrato - c'è una maggiore tolleranza verso l'omosessualità e quindi ci sono boss gay più palesi". Anche se, aggiunge Ingroia, proprio in America Johnny D'Amato detto "Boy D'Amato", membro della famiglia dei "DeCavalcante" che controllava il New Jersey, nonché molto vicino al super boss John Gotti, fu assassinato perché gay. "Boy D'Amato fu ucciso da un suo compare in quanto aveva rapporti sessuali con altri uomini. Ad assassinarlo fu il killer Anthony Capo, membro della stessa famiglia di D'Amato che scoprì attraverso la fidanzata di D'amato come il Boss frequentasse locali per scambisti e lì amoreggiasse con uomini".
Nell'intervista il magistrato palermitano ha lanciato anche un monito alla Chiesa. "La chiesa, nella sua lotta alla mafia, è troppo in silenzio, sta troppo zitta, da parte sua ci vorrebbe una maggiore assunzione di responsabilità". Ingroia nell'intervista ha sottolineato che c'è bisogno di "passione, di assunzione di responsabilità e di modelli" e invece "soltanto un 30% della chiesa siciliana è protagonista e attiva nella lotta alla mafia". Ad una domanda su papa Ratzinger, il magistrato ha così risposto: "abbiamo nostalgia e il rimpianto di quel tipo di prese di posizione, come quelle di papa Giovanni Paolo II; abbiamo bisogno di quel tipo di interventi perchè abbiamo avuto certezze che quella presa di posizione del papa polacco, così forte ed energica, fece breccia nei giovani e persino nei mafiosi". [Guarda l'intervista su You Tube]
"Rischiano anche la morte" - Il fatto, rivelato dal magistrato antimafia Antonio Ingroia, che di boss mafiosi e gay ve ne sarebbero in quantità non stupisce Arcigay, "anche perchè sarebbe davvero curioso il contrario". "Si tratta, è bene precisarlo - ha spiegato il presidente nazionale di Arcigay, Aurelio Mancuso - di omosessuali nella quasi totalità dei casi assolutamente 'velati' e attenti a non farsi scoprire, anche perchè oltre ai boss diversi sono gli omosessuali tra i mafiosi con funzioni meno importanti. Il codice d'onore delle varie mafie prevede sanzioni dure, fino all'assassinio per chi viene scoperto omosessuale [...] Si tratta di una triste realtà, inserita dentro un contesto criminale che tiene sotto scacco intere zone del paese. Per questo non possiamo in alcun modo considerarci 'onorati' dal fatto che anche dentro le organizzazioni criminali mafiose esistano omosessuali".
[Informazioni tratte da Adnkronos.com, ANSA, Corriere.it, La Siciliaweb.it]