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Se il pane costa di più la colpa è anche dei biocarburanti... ma non solo. L'Antitrust ha deciso di indagare

16 ottobre 2007

Costo del pane, indaga l'Antitrust
di Antonia Jacchia (Corriere.it, 16 ottobre 2007)

I rincari del pane non vanno proprio giù ai consumatori. E dopo scioperi della pasta, tumulti del pane, comincia a paventarsi la resa dei conti.
Nel giorno in cui l'Istat ha denunciato l'aumento del prezzo della michetta, cresciuto in un anno del 7,5%, l'Antitrust ha annunciato l'apertura di un dossier sul costo del pane nei confronti dell'Unione panificatori di Roma e provincia. L'istruttoria dovrà verificare se la diffusione di un listino dei prezzi e l'indicazione del loro aumento, alla luce dell'incremento del costo del grano, abbia ristretto la concorrenza. A far scattare l'indagine del Garante è stata una segnalazione ricevuta dall'associazione Altroconsumo, secondo la quale gli aumenti del prezzo del pane annunciati nelle principali città italiane potrebbero essere il risultato di comportamenti ''concertati''. E a dimostrazione di ciò Altroconsumo avrebbe inviato anche un listino prezzi stampato su carta intestata dell'Unione panificatori romana con tanto di prezzi consigliati, all'ingrosso e al pubblico.

Borsa orsa della spesa più cara - Quel che è peggio è che la borsa della spesa è sempre più pesante per le famiglie italiane. A settembre l'inflazione è cresciuta di poco rispetto ad agosto, passando da +1,6% a +1,7%, ma è soprattutto al supermercato e nei negozi di alimentari che i rincari si sono fatti sentire di più. E a spingere alle stelle il carrello della spesa è stato appunto l'incremento del pane, il cibo povero per eccellenza. Si difendono i panificatori: ''Non abbiamo inviato ai nostri iscritti alcuna indicazione sui prezzi da applicare ai prodotti da forno, né vi sono mai state intese in tal senso'', scrive in una noto Bernardino Bartocci, presidente dell'associazione panificatori sotto al Colosseo. L'istruttoria dovrà concludersi entro il 18 luglio 2008.

Aumenti - Il dossier del Garante è solo la punta dell'iceberg. Gli aumenti dei prezzi dei cereali sono reali. Dovuti a fatti congiunturali e strutturali in buona parte prevedibili. Che, speculazioni a parte, comporteranno comunque adeguamenti dei listini di farine e semole, e di conseguenza di pasta e prodotti da forno. A salire sul banco degli imputati, innanzitutto l'ascesa dei biocarburanti (derivati da mais, canna da zucchero, soia e altre colture, un mercato dominato da Stati Uniti e Brasile). Secondo Joachim von Braun, direttore dell'International Food Policy Research Institute, i costi della bioenergia, dovuti alla crescita dei bisogni, si ripercuotono sui generi alimentari e a farne le spese saranno soprattutto i più poveri. ''Senza progresso tecnologico e senza una regolamentazione basata su standard trasparenti, il mercato delle bioenergie, massicciamente sussidiato e controllato dai giganti del petrolio, dei cereali e delle automobili, provocherà entro il 2020 un aumento pari al 20-40% dei prezzi dei generi alimentari. Si tratta di un peso insostenibile per i più bisognosi. Basta pensare che molti vivono con 50 centesimi al giorno'', mette in guardia von Braun.

Crollo delle scorte - Dietro all'incremento del prezzo del grano del 100% negli ultimi mesi al Chicago Board of trade, c'è poi molto di più. C'è il crollo delle scorte di cereali, l'aumento esponenziale dei consumi in Cina e India, le avverse condizioni metereologiche che hanno provocato in Italia e Grecia un calo dei raccolti, i cambiamenti climatici che hanno tagliato le produzioni di Canada e Russia (i granai del mondo), la siccità che ha colpito Turchia e Siria. ''Da 46 anni faccio questo mestiere e non ho mai vissuto una situazione così critica - dice Franco Castelli, amministratore delegato di Molino Ilario nel comasco -. Noi stiamo soffrendo da morire. Tutte le settimane rincorriamo la pista del frumento, difficilissimo da reperire. Speravamo nel raccolto australiano ma la siccità lo ha quasi dimezzato. Da luglio a oggi il grano tenero è passato da 180 a 280 euro alla tonnellata''.

Costi - Pochi sanno che l'Italia è il più grande Paese importatore al mondo (produce circa l'1% del raccolto mondiale e ne consuma il 2%); che da un chilogrammo di grano si ricavano circa 740 grammi di farina e che il costo della farina incide dal 13 a un massimo del 20% sul prezzo del pane. Se ritocchi alle tariffe saranno necessari quelli sul pane non dovrebbero quindi essere eclatanti. Visto che la farina all'ingrosso negli ultimi tempi è cresciuta dell'11%. Ci sono altre voci poi che incidono sul costo finale del filone di pane, come l'energia, la manodopera. Ma anche gli affitti e i trasporti. Più alti nel centro città rispetto alle periferie. Alle stelle nelle metropoli del Nord rispetto ai piccoli paesi del Sud. Una cosa è certa: la michetta milanese costa e continuerà a costare molto di più rispetto alla mafalda siciliana. Tutte voci che peseranno nel giudizio dell'Antitrust.

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16 ottobre 2007
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