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Se uno vale uno...

Una questione di coscienza. I senatori M5S che hanno votato Grasso: "Non potevamo far vincere Schifani"

19 marzo 2013

Adottare la linea dura nei confronti dei senatori che hanno disatteso il Codice di comportamento del M5S votando Pietro Grasso al Senato o limitarsi ad inviare un avviso. Beppe Grillo si trova di fronte alla prima vera grana politica del MoVimento e a dover scegliere, così come è accaduto per i suoi senatori, tra due opzioni inconciliabili. Per il momento, il blogger genovese sembra prendere tempo. Da un lato comprende le difficoltà dei parlamentari "caduti in una trappola" di Pd e Pdl e costretti a scegliere "tra la peste bubbonica e un forte raffreddore". Dall'altro, però, non li giustifica e li invita a rispettare un regolamento che prevede anche l'espulsione.
È in pericolo la tenuta del M5S. Del voto che ha portato all'elezione di Grasso, Grillo ne fa più una questione di metodo che di merito. "Il problema non è Grasso - ha spiegato sul blog - Se il gruppo dei senatori del M5S avesse" scelto l'ex pm "e tutti si fossero attenuti alla scelta, non vi sarebbe stato alcun caso. In gioco non c'è Grasso, ma il rispetto delle regole del M5S".

Intanto, Grillo ha inviato a Roma due fedelissimi come Claudio Messora e Daniele Martinelli: i due blogger, ospiti pressoché fissi sul sito di Grillo, avranno i compito di "affiancare" i capigruppo nella comunicazione e magari assicurare un po' di ordine nella pattuglia in Parlamento. Mossa che appare una sorta di commissariamento dopo la gestione pasticciata del 'caso Senato'. D'altronde, l'espulsione dei parlamentari del M5S non è una soluzione e, di fatto, pare difficilmente percorribile. E Grillo ne è cosciente.
Il Codice prevede che i gruppi di Camera e Senato si riuniscano insieme e decidano se proporre l'espulsione agli iscritti che avranno l'ultima parola votando online. "Una riunione sul caso la faremo", ha confermato una parlamentare al termine di una riunione alla Camera alla quale ha preso parte anche il capogruppo al Senato, Vito Crimi, spiegando l'accaduto. Ma anche se gruppi e iscritti decidessero per l'espulsione, difficilmente i senatori potranno dimettersi in quanto dovranno ottenere il voto favorevole dell'Aula. Ed è improbabile che l'Assemblea dia il via libera: nel 2006 i sottosegretari del governo Prodi provarono a dimettersi per lasciare il posto a chi poteva essere più presente in Aula, assicurando così la maggioranza. Ma il Senato, con i voti del Pdl, respinse più volte tale richiesta. Nel M5S si teme che la divisione possa estendersi lentamente dall'alto al basso. Ironia della sorte proprio l'opposto di quel processo 'bottom-up' (dal basso verso l'alto) che Grillo predica.

I militanti a cinquestelle appaiono divisi: sui blog la fronda di coloro che giustificano il voto per Grasso appare maggioritaria, ma non manca chi chiede l'applicazione rigorosa del codice. I parlamentari sembrano spaesati.
Il voto è segreto ma, dopo tutto questo bailamme, non per tutti. A tre giorni di distanza dall'elezione del presidente del Senato, i cittadini-parlamentari siciliani hanno deciso di palesare il proprio voto. Insomma, se "uno vale uno"... I primi sono stati Francesco Campanella e Ornella Bertorotta, ora è la volta degli altri quattro siciliani: Nunzia Catalfo, Fabrizio Bocchino, Mario Giarrusso e Vincenzo Santangelo. Ebbene, la pattuglia siciliana si è spaccata esattamente a metà: in tre hanno votato Grasso, e in tre hanno inserito nell'urna una scheda bianca.

Rivendicano invece la paternità di un voto consapevole Fabrizio Bocchino e Mario Giarrusso. L'astrofisico palermitano non le manda a dire: "Ho votato Grasso. L'ho fatto perché sentivo insostenibile il peso di essere accostato, seppur lontanamente, all'elezione di Renato Schifani alla seconda carica dello Stato. Per me non è solo una questione politica, ma anche etica. Non condivido il punto di chi dice che la responsabilità della sua elezione sarebbe stata solo dei partiti. Non è così. Sarebbe stata anche mia".

Parole simili a quelle pronunciate da Mario Giarrusso. L'avvocato catanese incassa la solidarietà della Fondazione Caponnetto, per bocca del suo presidente Salvatore Calleri, che parla di una "campagna mediatica contro il senatore, storico collaboratore del giudice Caponnetto colpevole per qualcuno di aver votato e portato a votare una quindicina di senatori del M5S a favore del già procuratore antimafia Piero Grasso alla presidenza del Senato". La fondazione, di cui Giarrusso è referente regionale, invita quindi il proprio esponente ad "andare avanti secondo gli insegnamenti del giudice, a testa alta e schiena dritta".
Proprio quest'ultima è la frase pronunciata nel suo discorso d'insediamento a Palazzo Madama da parte dello stesso Grasso. Proprio Giarrusso, per via della vicinanza ideologica con Pietro Grasso, era stato infatti considerato il capofila dei dissidenti grillini che hanno insistito per chiedere la libertà di voto per impedire l'elezione di Schifani: "Collaborare a questa infamia - scrive Giarrusso -, pur avendo la possibilità di impedirla, sarebbe stata una cosa insopportabile per la mia coscienza. Sarebbe stato come tradire tutta la mia vita, tutte le mie scelte, tutto quello che ho sempre ammirato e tutto quello in cui ho sempre creduto. Votare scheda bianca era per me assolutamente impossibile".
Persino il governatore della Sicilia, Rosario Crocetta, rispondendo ai cronisti sulla vicenda "Grasso" ha difeso il voto dei senatori dell'isola: "Come facevano i senatori siciliani dei Cinque Stelle a dire di no a Grasso? Questa idea che i parlamentari vengono comandati dall'esterno mette fine alla democrazia e alla dialettica parlamentare".

Vito Crimi, il capogruppo dei senatori M5S, pur senza allontanarsi dalla "dottrina", per spiegare quanto è successo ha usato parole sobrie e concilianti: la voglia di impedire a Renato Schifani, icona della Sicilia da combattere, l’accesso al massimo scanno del Senato, ha pesato nella scelta, "sbagliata", dei disobbedienti.
Qualcuno, come il senatore calabrese Francesco Molinari, ha invitato il leader a non abbandonarsi a manifestazioni isteriche ed avere più fiducia, perché nessuno ha tradito e ha voglia di "tradire". Altri hanno osservato che Grillo è solo il portavoce e deve "smettere di dare ordini". Accanto a Molinaro si è schierato il senatore laziale ed un piemontese, che hanno fatto outing. Nessuno dei disubbidienti ha voglia di farsi perdonare, ma tutti piuttosto rivendicano il buon diritto a dare conto alla propria coscienza, che nell’occasione del ballottaggio era stata messa duramente alla prova. I disobbedienti, dunque, non sono solo siciliani, anche se i siciliani sarebbero il nucleo più corposo.

 

[Informazioni tratte da ANSA, Lasiciliaweb.it, Repubblica.it, SiciliaInformazioni.com]

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19 marzo 2013
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