Crea gratis la tua vetrina su Guidasicilia

Acquisti in città

Offerte, affari del giorno, imprese e professionisti, tutti della tua città

vai a Shopping
vai a Magazine
 Cookie

Segreti agghiaccianti

Tra Stato e anti-Stato: una trattativa inaccettabile, memorie perse e ritrovate, affari sporchi conosciuti da tanti

20 ottobre 2009

Massimo Ciancimino dice di essere stanco. "Non so se mi va più di continuare. Sono molto stanco. Anche per questo, oggi, sono qui davanti ai magistrati".
Ciancimino jr, figlio dell'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito, lo ha detto hai giornalisti prima di essere ascoltato ieri, sempre sui misteri della trattativa tra Stato e mafia, dal procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia, dai pm Nino Di Matteo e Roberto Scarpinato, dal procuratore di Caltanissetta Sergio Lari e dal suo aggiunto Domenico Gozzo. Un 'interrogatorio (che è stato secretato) durato coltre quattro ore, dal quale il figlio dell'ex sindaco di Palermo è apparso visibilmente stanco e provato.
A giustificazione del suo sfogo Ciancimino ha raccontato un episodio, da lui definito "preoccupante" e che sembra l'ultimo colpo di scena di una vicenda dai contorni sempre più inquietanti . "Ieri sera - ha raccontato - alla vigilia delle importanti dichiarazioni che dovrò rendere sui carabinieri del Ros, la mia scorta, mentre mi riaccompagnava nella mia casa di Bologna, insospettita dalla presenza di due persone, davanti al palazzo, ha deciso di fare un controllo. Si trattava di due carabinieri del Ros, armati, che hanno dichiarato di essere lì per indagini. La scorta - ha proseguito - li ha identificati e ha fatto una relazione di servizio che ha trasmesso alle procure di Palermo e Caltanissetta".
Una vicenda poi smentita dal comando provinciale dell'Arma del capoluogo emiliano, che ha precisato che i due militari appartenevano al nucleo investigativo e stavano svolgendo un'indagine. Ma per Ciancimino è, comunque, la punta dell'iceberg: "Sono stanco - ha ripetuto - Prima le intimidazioni che mi hanno costretto a cambiare città, poi varie vicende personali, come il fastidio mostrato dagli insegnanti della scuola di mio figlio per la sua presenza in classe potenzialmente pericolosa. Ora questa cosa. Sto seriamente pensando di smettere di parlare".
Davanti ai giudici di Palermo e Caltanissetta, però, sembra abbia parlato, vista la durata dell'incontro, e sicuramente sta continuando a raccontare i misteri della trattativa, nodo su cui si intrecciano le indagini dei pm palermitani e di quelli nisseni che stanno cercando di capire se, dietro l'eccidio di via D'Amelio, ci sia proprio il rifiuto di Borsellino di dare il benestare all'avvio del dialogo con i boss.
Cinacimino jr, che la scorsa settimana aveva consegnato ai magistrati copia del presunto 'papello', l'elenco delle 12 richieste che il capomafia Totò Riina avrebbe avanzato allo Stato per porre fine alla strategia stragista, ieri ha portato in Procura nuovi documenti. Tra le carte potrebbe esserci anche l'originale del diktat che in Procura tanto attendevano e che dovrà essere analizzato dai periti nella speranza di verificarne l'attendibilità.

"Non posso dire nulla dell'interrogatorio - ha spiegato Ciancimino, uscendo dal tribunale - E, comunque, il problema non è tanto in un pezzo di carta. La trattativa c'è stata. Prova ne è l'appunto dato agli investigatori con le annotazioni di mio padre".
Sulla copia del papello restano i dubbi dei magistrati, che ne hanno evidenziato le incongruenze logiche e temporali e quelle di Luciano Violante, ex presidente dell'Antimafia che ha definito il documento una "bufala". "Alla fine - ha detto irritato Massimo Ciancimino - io resto col cerino in mano pur essendomi presentato spontaneamente ai pm; mentre chi aveva l'obbligo istituzionale di parlare ha ritrovato la memoria solo ora". Il riferimento è proprio a Violante che, a distanza di 17 anni, ha ricordato di essere stato contattato da Vito Ciancimino, tramite il colonnello del Ros Mario Mori, per avere un appuntamento. "In troppi - ha aggiunto il figlio di don Vito - non ricordano". Un'allusione che riguarda anche l'ex Guardasigilli Claudio Martelli che, solo due settimane fa, ha rivelato che Borsellino sapeva della trattativa. Interrogato dal pm fiorentino Gabriele Chelazzi, che indagava sulle stragi del '93, però, l'ex ministro non fece cenno alla vicenda. E dall'inchiesta condotta nel capoluogo toscano vengono fuori, a distanza di anni, intuizioni inquietanti: come quella, consegnata da Chelazzi a Martelli, circa la presenza di un parlamentare che avrebbe riferito ai vertici di Cosa nostra, le decisioni politiche che il governo aveva intenzione di prendere in merito al contrasto alla mafia.

Gli incontri tra Mario Mori e Vito Ciancimino - Secondo Massimo Ciancimino la trattativa tra lo Stato e Cosa nostra "ebbe inizio subito dopo la strage di Capaci del '92, quando venni contattato dal capitano De Donno, che voleva parlare con mio padre Vito Ciancimino. È un dato di fatto". "La trattativa è iniziata - ha sottolineato il figlio di don Vito intervistato in questi giorni da Rai News 24 - quando il capitano in aereo mi avvicina e mi dice che vuole avviare una trattativa". "Mio padre, tramite altri canali, volle sapere se davvero questi due soggetti (i vertici del Ros) erano accreditati e avevano le coperture tali per potere mantenere questi impegni"."Il rapporto costante tra Cosa nostra e le istituzioni – ha detto infine – è stato duraturo e ha rappresentato la politica e l'imprenditoria degli ultimi anni in Sicilia. Il ruolo di mio padre era di cercare un equilibrio e fare sì che l'equilibrio reggesse".
E tra Vito Ciancimino e l'allora colonnello del Ros Mario Mori furono quattro gli incontri, tra l'agosto e l'ottobre del 1992, nelle settimane in cui Totò Riina, dopo le stragi di Capaci e Via D'amelio, decide di avviare una nuova strategia volta a colpire lo Stato per come sta applicando il 41 bis.
Un "dialogo" che si sarebbe interrotto bruscamente il 18 ottobre, di fronte alla domanda rivolta da Ciancimino al suo interlocutore: "Ma voi cosa offrite?".
Questo è quanto è emerso dall'interrogatorio reso da Mori ai pm della Direzione distrettuale antimafia di Firenze Gabriele Chelazzi e Giuseppe Nicolosi, applicati dalla Procura nazionale antimafia per le indagini sugli attentati di Roma, Milano e Firenze del '93. I verbali dell'interrogatorio risalgono all'11 aprile del 2003 e rappresentano una testimonianza diretta di quella che è stata definita come la "trattativa" tra lo Stato e Cosa Nostra.
Al magistrato che gli ha chiesto se Ciancimino avesse prospettato "questo disagio di Cosa nostra nei confronti di questa nuova versione dello Stato che mette i mafiosi in carcere, di queste severità, di queste asprezze", Mori ha risposto dicendo "non mi sembra" anche se ha invitato i magistrati a rivolgere la domanda "a De Donno (il capitano del Ros stretto collaboratore di Mori ndr) che ha avuto più colloqui di me". Era stato proprio De Donno infatti, ad avviare i contatti con Ciancimino dopo avere sondato la sua disponibilità attraverso il figlio Massimo, incontrato in aereo subito dopo la strage di Capaci.

Davanti ai magistrati di Firenze, Mori ha confermato di avere avuto quattro colloqui con Ciancimino, nel periodo compreso fra agosto e ottobre del '92: "Il primo - ha ricostruito l'ufficiale - fu più che altro un fare riferimento a situazioni vissute a Palermo con personaggi noti a lui e a me. Nel secondo si parlò della situazione, in funzione di quello che era successo nel maggio con Falcone e poi a luglio in via D'Amelio". Nel terzo ci fu "l'apertura di Ciancimino - ha affermato Mori - nel senso che si chiarì: ma voi chi siete, chi vi manda?. Nel quarto, infine, ci fu la rottura". Alla richiesta di Ciancimino, "ma voi cosa offrite?", l'ufficiale del Ros avrebbe infatti risposto sollecitando la costituzione dei latitanti, a cominciare da Totò Riina, con l'assicurazione che "tratteremo bene loro e le loro famiglie".
Rispondendo alle domande del Pm Chelazzi, che ha consultato anche il contenuto dell'agenda dell'ufficiale, Mori ha confermato inoltre che l'annotazione "interrogatorio V.C.", alla data del 22 luglio, riguarda Vito Ciancimino. In quella stessa giornata, segnata dalla costituzione del boss Salvatore Cancemi, Mori aveva annotato inoltre: "partenza per Palermo con il dottore Caselli, volo pay".
L'ufficiale del Ros ha affermato inoltre di avere visto Ciancimino "altre volte nel '93 però era già nella veste di detenuto e escusso dall'autorità giudiziaria, quindi da tutt'altro aspetto". L'ultimo incontro, secondo quanto affermato dallo stesso Mori, risalirebbe al 31 ottobre del 1993.

Enzo Scotti e la trattativa Mafia-Stato - "Per quello che mi riguarda e per quel che riguarda il mio collega Martelli, ma anche per quel che ha detto Mancino alla cui onestà intellettuale e politica credo profondamente, la direttiva è stata sempre quella di combattere a viso aperto e frontale la mafia. Se qualcuno ha operato in contrasto di queste direttive se ne assume le responsabilità conseguenti". Lo ha detto a Radio Radicale il sottosegretario agli esteri Enzo Scotti, ministro degli interni fino al 1992. "Noi non dobbiamo mettere in discussione le tante persone della sicurezza pubblica che hanno lasciato la vita - ha detto Scotti - a partire dalle scorte e dai tanti carabinieri e poliziotti che hanno lasciato la vita sul campo combattendo la mafia in modo forte e chiaro. Non faremmo né alle istituzioni democratiche né a questi nessun omaggio vero se seguissimo strade molto tortuose, uso un'espressione diplomatica".
D: Quindi, alla luce dell'intervista del procuratore nazionale antimafia Grasso, lei chiarisce che chi trattava non lo faceva né a nome né con la copertura del governo?
R: "Del ministro degli interni e del ministro della giustizia che hanno responsabilità istituzionali in questo campo certamente no. Le autorità di pubblica sicurezza del Paese, l'autorità nazionale di pubblica sicurezza è il ministro degli interni e il ministro degli interni non aveva dato nessun via libera a questo".
D: Quindi come si spiega questa trattativa?
R: "Io non parlerei di trattativa dello stato, qualcuno ha cercato in buona fede, si dice, di evitare stragi. Io credo che questo non lo abbiamo fatto con il terrorismo, figuriamoci se dobbiamo farlo con la mafia".
L'ex ministro dell'Interno dice di non essere stato informato di trattative tra ufficiali del Ros e Vito Ciancimino ai tempi delle stragi di mafia. "Credo - ha spiegato in un'intervista al Tg3 - che nessuno si avvicinasse a me a dirmi queste cose perché sapeva che la porta era aperta e doveva uscirne immediatamente". "Io - ha proseguito - capisco tutte le ragioni che vengono addotte per far abbassare alla mafia i toni stragisti, ma" fare accordi "lo ritengo non solo un errore, ma una cosa impossibile per uno Stato come il nostro. Chi ha agito lo ha fatto contro una direttiva ed una politica. Ma - ha sottolineato Scotti - c'é sempre stato in Italia un atteggiamento sottotraccia di chi diceva 'tutto sommato è bene che non facciano stragi', lasciamogli fare i loro piccoli affarì. Bene, io sapevo che i piccoli affari non erano tali ed il pericolo era per le istituzioni democratiche". Quanto alla strage di Capaci, Scotti ha osservato, "io subito dopo dissi che le modalità dell'attentato erano molto preoccupanti: sembrava andassero ben oltre la tradizione della mafia".

Un parlamentare avrebbe avuto il ruolo di informare Cosa nostra delle iniziative del governo in tema di lotta alla mafia.
Lo sospettava il pm Gabriele Chelazzi. L'ipotesi investigativa viene fuori - come emerge dai verbali - durante l'interrogatorio che il magistrato fece all'ex ministro della Giustizia Claudio Martelli nel 2002. "Una situazione che non le ho ancora rappresentato - dice il Pm all'ex Guardasigilli - che fa capo alle indagini che stiamo facendo alla quale debbo sottrarre almeno un nome, sta più o meno in questi termini: mentre partiva l'offensiva di strage i vertici di Cosa nostra decisero di avvalersi come interfaccia con l'ambiente istituzionale di una figura parlamentare". "Il compito della persona - aggiunge Chelazzi, morto d'infarto nell'aprile del 2003 - doveva essere, per quanto le indagini ad oggi ci consentono di dire, quello di essere continuamente sintonizzato sulle frequenze del ministero e io direi del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, appunto per sapere quali prospettive ci potevano essere". "Quale fondamento - continua il pm - potessero avere aspettative di smobilitazione, di allontanamento della pressione, addirittura di mancata proroga se non per tutti i soggetti che avevano avuto i decreti notificati (il riferimento del pm è ai decreti di applicazione del carcere duro ai mafiosi ndr) per un parte almeno". "Quella persona - conclude Chelazzi - alla fine della campagna di strage, poteva aggiornare il quadro dirigente di Cosa nostra, Bagarella, Giuseppe Graviano, Matteo Messina Denaro".

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, Ansa.it, La Siciliaweb.it, Repubblica.it]

- «Provenzano disse sì alla trattativa» di G. Bianconi (Corriere.it)

Condividi, commenta, parla ai tuoi amici.

20 ottobre 2009
Caricamento commenti in corso...

Ti potrebbero interessare anche

Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia
Registra la tua azienda su Guidasicilia