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Sempre Ciancimino jr...

Mancino: "Nessuno mi informò di una trattativa". Mormino: "Indagato per aver screditato Massimo Ciancimino"

10 novembre 2010

"Io sono destinatario di un millantato credito da parte di Massimo Ciancimino", ha detto davanti la commissione antimafia l’ex ministro dell’Interno, Nicola Mancino, ascoltato lunedì sera sulla trattativa tra Stato e mafia. Mancino dice di non aver saputo nulla da nessuno su contatti, abboccamenti o trattative in corso. E al riscontro cita un verbale di Vito Ciancimino, l’ex sindaco di Palermo, al procuratore Caselli del 17 marzo del '93. Parlando di un suo intermediario-ambasciatore, così lo chiamava, Vito Ciancimino affermò: "Io gli avevo raccontato, d’intesa con i carabinieri, una palla sonora, grossa come una casa, vale a dire che un’altissima personalità politica (che non esisteva) che era un’invenzione mia e dei carabinieri, voleva ricreare un rapporto tra le imprese".
Mancino, oltre ad attaccare i due Ciancimino, ha detto di non aver saputo nulla dall’allora ministro di Grazia e Giustizia, Claudio Martelli, che pure aveva ipotizzato, in maniera abbastanza dubbia, di aver informato il collega sui colloqui avuti dalla responsabile degli Affari Penali, Fernanda Ferraro, con il capitano De Donno e il colonnello Mori. "Martelli, se fosse vero tutto ciò, aveva il dovere di informarmi perché non era un cittadino qualsiasi ma il ministro della Giustizia". Agende alla mano, con aperti i fogli del giugno luglio '92, Mancino ha spiegato che non ebbe alcun colloquio con il magistrato Paolo Borsellino, il giorno in cui si insediò al Viminale, il primo di luglio. Ci furono invece certamente incontri, quel giorno, con il capo della Polizia, Vincenzo Parisi e con Bruno Contrada, uomo del Sisde, poi arrestato per collusione con la mafia. "Nessun uomo dello Stato, delle forze di polizia, dei servizi segreti, dell’alto commissariato antimafia o della Dia – ha spiegato Mancino – mi disse alcunché su una richiesta di trattativa da parte dello Stato". Anzi netto il giudizio sul colonnello Mori che non gli parlò dei suoi colloqui con Vito Ciancimino anche perché "non vi era un particolare feeling con quell’ufficiale". Mancino ha citato un episodio che testimonia di questo rapporto non particolare con il comandante del Ros: infatti non venne informato dell’arresto di Totò Riina dall’ufficiale dei carabinieri. "Se sarà provato che ci sono stati coinvolgimenti di uomini appartenenti ai servizi o alle forze dell’ordine, cioè pezzi dello Stato, ben vengano i processi e le più dure condanne". "Se fossi venuto a conoscenza – ha concluso l’ex ministro – anche di una semplice ipotesi di trattativa, non avrei esitato a denunciarla in Parlamento dopo avere doverosamente informato il capo dello Stato e il presidente del Consiglio".

L'indagine sull'avvocato Nino Mormino - Un pizzino di Provenzano indirizzato a Vito Ciancimino, consegnato ai magistrati dal figlio Massimo, avrebbe dato l’impulso alla procura per riaprire il fascicolo per concorso esterno in associazione mafiosa contro l’avvocato Nino Mormino, già difensore di Marcello Dell’Utri e di Totò Cuffaro. Ma la Camera penale non ci sta e "reagirà con veemenza, anche con l’astensione, a ogni tentativo di condizionare l’attività professionale che non distingua il ruolo del difensore da quello degli assistiti".
Proprio nel processo per concorso esterno contro l’ex governatore siciliano - che si svolge in abbreviato di fronte al gup Vittorio Anania - il documento è stato depositato. Nella scorsa udienza Mormino ha cercato di mettere in dubbio la provenienza del bigliettino, sulla base di una consulenza della Scientifica che dice che non fu scritto da una delle 7 macchine da scrivere abitualmente usate da Provenzano. Dato che, secondo il legale, screditerebbe anche l’attendibilità di Massimo Ciancimino, non sarebbe casuale che, proprio dopo le sue considerazioni in aula sul pizzino, sia uscita la notizia della riapertura dell’inchiesta.
Nel biglietto, che è del 2001, si fa cenno a un provvedimento di condono che avrebbe potuto avvantaggiare Vito Ciancimino. La legge sarebbe stata sostenuta, secondo il capomafia, oltre che dal "presidente e dal sen (il riferimento sarebbe a Cuffaro e Dell’Utri, ndr), anche dall’avv". E "l’avv." secondo i pm sarebbe proprio il legale Mormino che ha ricoperto l’incarico di presidente della commissione giustizia al Senato. Per i pm - per quanto ha ricostuito Mormino – il pizzino avrebbe comportato, come atto dovuto, la nuova indagine. Il legale però si è difeso sostenendo che l’unico provvedimento legislativo che prevedesse un indulto portava la firma dell’ex parlamentare di Rifondazione Giuliano Pisapia e che mai, durante la sua attività parlamentare, ha "sponsorizzato" misure di favore alla mafia.
I penalisti, comunque, mantengono lo stato di agitazione indetto nei giorni scorsi (LEGGI), ma subordinano l’adozione di specifiche iniziative, all’esito del procedimento disciplinare aperto dal consiglio dell’ordine per "non sovrapporre azioni che potenzialmente potrebbero indebolire la categoria".

[Informazioni tratte da Ansa, Adnkronos/Ing, LiveSicilia.it]

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10 novembre 2010
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