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Grazie al coraggio e alla dignità di Libero Grassi. Venti anni fa la mafia uccideva un uomo libero di nome e di fatto

29 agosto 2011

Sono trascorsi 20 anni da quella tragica mattina. Erano le 7.36, di una torrida estate in via Alfieri, nella zona residenziale di Palermo, quando Salvatore Madonia uccise, con tre colpi di pistola calibro 38 sparati dietro la nuca, Libero Grassi, 67 anni, mentre l'altro sicario, Marco Favaloro, lo attendeva nella sua auto per fuggire. Da quel 29 agosto 1991 l'industriale tessile, medaglia d'oro al valor civile, è diventato un'icona della ribellione antimafia, soprattutto di quella contro il pizzo, la tassa "trasversale" delle cosche che accomuna tutte le vittime di Cosa Nostra: dal costruttore milionario al commerciante che fa le capriole per tenere aperto il proprio negozio.
L'imprenditore è il soggetto di film, documentari, saggi, libri, tesi di laurea, ora anche di una storia a fumetti, "Libero Grassi (Cara mafia io ti sfido)", di Laura Biffi, Raffaele Lupoli e Riccardo Innocenti, e uno dei "pensatori" della lotta al racket più citati nei convegni, nei dibattiti, nelle adunate politiche sul tema. Il suo pensiero è il filo conduttore dell'azione dei giovani di Addio Pizzo e di tante associazioni.
Il suo ricordo lievita sempre di più. Sulla facciata dell'edificio che ospita la Camera di Commercio palermitana campeggia un'enorme stendardo che copre un'altezza di due piani in cui è scritto "Mai più soli contro la mafia" con la foto di Grassi e il suo nome.
Ci sono voluti venti anni perché l'impresa, il mondo del commercio con le sue associazioni di categoria, facessero quadrato e si muovessero sulle orme di Libero che, il 10 gennaio 1991, denunciò il racket con la lettera ormai storica al "Caro estortore" pubblicata sul Giornale di Sicilia; non solo venne lasciato solo da quasi tutti i rappresentanti di quelle associazioni, ma alcuni, i vertici soprattutto, voltarono le spalle con aria sdegnata.
Quella lettera fu dirompente: Grassi diceva di aver denunciato le richieste di pizzo alla polizia, stabiliva pubblicamente che non avrebbe mai pagato, chiedeva ai mafiosi di non perdere tempo, "di risparmiare le telefonate dal tono minaccioso e le spese per l'acquisto di micce, bombe e proiettili, in quanto non siamo disponibili a dare contributi e ci siamo messi sotto la protezione della polizia. Ho costruito questa fabbrica con le mie mani, lavoro da una vita e non intendo chiudere...".
"Se paghiamo i 50 milioni - scriveva - torneranno poi alla carica chiedendoci altri soldi, una retta mensile, saremo destinati a chiudere bottega in poco tempo. Per questo abbiamo detto no al 'Geometra Anzalone' e diremo no a tutti quelli come lui". Il "geometra" era il nomignolo che si erano scelti i gemelli Antonio e Gaetano Avitabile, che per conto dei Madonia chiedevano il pizzo in quel quadrilatero cittadino. Frasi semplici, concetti ovvi che tutti a Palermo bisbigliavano, ma che nessuno prima di lui aveva osato pronunciare apertamente. Eppure Grassi rimase solo.

Dopo le denunce, quando ogni giorno la sua fabbrica di abbigliamento intimo maschile "Sigma" era attorniata da giornalisti, fotografi, cameramen, misero una pattuglia di agenti lì davanti. Forse venne anche segretamente protetto, seguito da qualche poliziotto in borghese per un breve periodo. La notorietà che lo circonda è di per sè una protezione, pensò chi doveva decidere come tutelare l'imprenditore. Ma non era così: Grassi rimase solo. Come quella mattina del 29 agosto 1991. Fu Favaloro, che si pentì dopo l'arresto, a spiegare i particolari dell'omicidio. La moglie, i figli, i familiari del collaboratore di giustizia fecero il giro delle redazioni per prendere le distanze dall'uomo che accusò Salvatore Madonia dell'omicidio.
"Un povero cristo, un pazzo" lo definirono. Favaloro venne condannato a 10 anni per aver fatto da autista al sicario, che ebbe l'ergastolo. Le foto di Grassi a terra sul cemento di via Alfieri non vennero mai pubblicate. Il suo volto sfigurato era impressionante.
Venti anni dopo Libero è un'icona ma i componenti della famiglia Madonia, Giuseppe, Antonino, Salvatore, Aldo (figli del potente boss Ciccio che è morto in carcere), tutti mafiosi, in cella a scontare ergastoli e decenni di carcere, continuano a comandare e a gestire affari. L'ultima richiesta di condanna per i fratelli di San Lorenzo è del luglio scorso. Continuerebbero a gestire il clan attraverso mogli e prestanomi ancora oggi, 20 anni dopo l'uccisione del proprietario della Sigma.
La battaglia che Libero Grassi cominciò pagando con la vita non è ancora conclusa.

"Chi paga il pizzo si convinca: fa un atto stupido" - "Chi oggi paga il pizzo deve convincersi che fa un atto stupido. La resistenza al pizzo che fino a vent'anni fa era un gesto eroico pagato con un prezzo così elevato come quello della vita, oggi non è qualcosa di lieve ma che vede a fianco le istituzioni, vede operative norme che vent'anni fa non c'erano e vede a fianco l'associazionismo e le categorie che vent'anni fa, come attesta la storia dell'epoca, non erano così pronte".
Sono le parole del sottosegretario all'Interno, Alfredo Mantovano, intervenendo ieri a Palermo alla commemorazione del ventesimo anniversario dell'uccisione di Libero Grassi. "Questo non fa parlare di una guerra vinta - avverte Mantovano - ma di battaglie vinte di una guerra che si dovrà concludere".
"Oggi nella lotta contro il pizzo abbiamo già fatto tanto a distanza di vent'anni, dall'uccisione di Libero Grassi, le altre regioni ci invidiano perché a Palermo siamo all'avanguardia". Questa l'affermazione del Procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso, anche lui intervenuto alla commemorazione. "Spero che non sia soltanto per il ventesimo anniversario, ma la presenza di tutte queste persone, tra cui molte vittime del pizzo, è un segnale positivo", ha aggiunto.
Nella lotta contro il pizzo, ha continuato Grasso, "sarebbe necessaria una partecipazione maggiore degli enti locali, è importante instaurare un diffuso senso di legalità e molto dipende dai rappresentanti delle istiruzioni locali, non soltanto dalla burocrazia. Fare sentire che c'è maggiore legalità aiuta tutto il contesto sociale. Ci vogliono molti anni ma siamo sulla buona strada".
Parlando di Confindustria e del Codice etico che prevede l'espulsione dei soci che pagano il pizzo, il Procuratore nazionale antimafia ha detto: "Già il fatto di essersi imposta la regola di espulsione di chi non denuncia è un grosso passo avanti. E' un'idea che ha un forte valore etico, ma oltre all'etica bisogna cercare l'utilità e la convenienza di partecipare perché quando non si comprende che l'etica può risolvere alcune situazioni è necessaria una spinta ulteriore, quindi si è pensato a potere fornire ad esempio delle detassazioni per chi denuncia il pizzo".

La figlia di Libero Grassi, Alice, ha rinnovato questa mattina, apponendone uno nuovo su quello vecchio, il manifesto posto sul muro di via Alfieri a Palermo. "Non vogliamo lapidi di marmo" ha detto Alice. Sul manifesto è scritto: "Il 29 agosto 1991 qui è stato assassinato Libero Grassi, imprenditore, uomo coraggioso, ucciso dalla mafia e dall'omertà dell'associazione industriali, dall'indifferenza dei partiti, dall'assenza dello Stato".
La vedova dell'imprenditore, Pina Maisano, ha detto: "Dobbiamo continuare con la nostra presenza attiva. Non dobbiamo mai dimenticare ma sempre parlare e parlare e ricordarci i tre valori di Libero: lavoro, libertà dignità".
Alice Grassi ha legato un mazzo di fiori rosa accanto al manifesto che ricorda l'assassinio e poi, accanto alla madre e al fratello Davide, ha assistito alla cerimonia istituzionale cui hanno partecipato il sindaco di Palermo Diego Cammarata, il sottosegretario Mantovano, l'assessore regionale Giosuè Marino, il procuratore nazionale antimafia, il presidente di Confindustria Sicilia Ivan Lo Bello, il presidente onorario della Federazione antiracket Tano Grasso, oltre a esponenti politici, militari e delle forze dell'ordine.
Il prefetto Umberto Postiglione ha consegnato alla signora Grassi tre messaggi dei presidenti di Camera e Senato e del presidente della Repubblica. Una cinquantina di giovani dell'associazione Addio Pizzo si è stretta attorno alla famiglia Grassi e Pina Maisano ha baciato i ragazzi uno ad uno.

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, ANSA, Lasiciliaweb.it]

- "Palermo, regno di illegalità e abusivi" di Salvo Palazzolo

 

 

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29 agosto 2011
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