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Sequestri e riscatti

Un rapporto dei carabinieri del Ros, documenterebbe il pagamento del governo italiano per gli ostaggi in Iraq

01 febbraio 2006

Lo si è sempre saputo, lo si è sempre detto. E se lo sapevamo noi, gente del popolo che aspettiamo che ci vengano raccontati i fatti dalla televisione e dai giornali, dovevano saperlo tutti. Durante questi anni di guerra in Iraq, se c'è stata una cosa dell'Italia che più di tutte ha fatto incazzare gli americani, beh quella cosa è stato il ''vizzietto'' di pagare i riscatti ogni qual volta a finire nelle mani di sequestratori iracheni era qualche italiano.
Un'assoluta assurdità per gli americani, gente ''tuttadiunpezzo'', che mai avrebbe sborsato un centino per liberare uno dei suoi. La guerra presuppone perdite di vite umane. Questo lo si sa e lo si deve accettare. Quindi chi viene fatto prigioniero ricordi che ha dato la propria vita per la Grande America!
L'Italia, che per questi motivi da tanti viene chiamata ''Italietta'', non è paese da fare certe cose. Si va in guerra perché si deve essere amici con gli americani, però si è la in missione di pace. E' pericoloso certo, ma un governo guidato da un amicone di Bush poteva mica tirarsi indietro. Succede che ci sequestrano qualcuno? Allora si paga e si nega di averlo fatto.

E in Iraq, l'Italia ha pagato per la vita dei suoi ostaggi, e quando non lo ha fatto è perché non le è stato dato il tempo (Enzo Baldoni) o l'alleato americano è arrivato prima che si chiudesse sul prezzo (Agliana, Stefio, Cupertino, Quattrocchi).
Lo sapevano tutti, e adesso lo sa qualcuno in più grazie ad un rapporto del Ros dei carabinieri, trasmesso alla Procura della Repubblica di Roma, che documenterebbe come, tra l'aprile del 2004 e il marzo del 2005, Palazzo Chigi, attraverso il Sismi e il commissario straordinario della Croce Rossa Maurizio Scelli, abbia accettato di partecipare al mercato degli ostaggi, rimanendo prigioniero di chi ha diretto l'industria dei sequestri e ne ha imposto le tariffe. La notizia è stata data nei giorni scorsi dal quotidiano ''la Repubblica''.

E' stato sborsato tanto, tanto denaro per riportare a casa Simona Pari e Simona Torretta, come anche per la liberazione di Giuliana Sgrena. La sonante moneta italica è finita sempre nelle tasche ''sbagliate'' - o ''giuste'', dipende dai punti di vista - riversandosi in quelle dello sceicco sunnita Abdel Salam Al Kubaissi, con cui il governo italiano ha regolarmente negoziato la liberazione degli ostaggi, perché era lo stesso uomo che in quei sequestri ha avuto parte.
Usando testualmente le parole del rapporto del Ros, ''Abdel Salam Al Kubaissi, ha avuto certamente un ruolo non secondario nel sequestro di Maurizio Agliana, Salvatore Stefio, Umberto Cupertino e Fabrizio Quattrocchi; nel sequestro di Simona Pari e Simona Torretta; nel sequestro e l'omicidio di Enzo Baldoni; nel sequestro di Giuliana Sgrena; nel sequestro della cittadina inglese Margaret Hassan''.
''Se vogliamo dirla in due parole - ha spiegato lapalissinamente un alto ufficiale del Ros - in Iraq è accaduto né più e né meno quanto accadeva in Calabria negli anni '80. Quando i capi-bastone della 'ndrangheta trattavano le vite dei rapiti con lo Stato, certi che il prezzo, alla fine, sarebbe stato pagato. Neanche fosse una tassa dovuta. Quando ufficiali di polizia giudiziaria si ritrovarono a fare non le indagini per scoprire i responsabili dei sequestri, ma gli ufficiali pagatori di chi quei sequestri aveva organizzato, alimentando nelle cosche una convinzione di impunità''.
Situazioni che si possono riscontrare anche nelle ultime note scritte dalla polizia irachena e  acquisite dalla Procura di Roma e dal Ros. In sitesi, vi si legge nella confessione, l'ennesima, di uno degli uomini arrestati a Bagdad con l'accusa di aver partecipato al sequestro di Giuliana Sgrena, di ''un riscatto pagato dagli italiani per la liberazione della giornalista''. Quanto, come e dove, la nota trasmessa a Roma non lo specifica, ma trattasi di ''una somma ingente'', ''verosimilmente - osserva una fonte investigativa - non meno di quanto costò la liberazione delle due Simone''. Il che significa, intorno ai cinque milioni di dollari.

Stando al rapporto del Ros, infatti, nel caso di Simona Pari e Simona Torretta, l'esistenza e l'entità del loro riscatto è documentato in un'intercettazione telefonica dell'ottobre 2004. In quei giorni, di poco successivi alla liberazione delle due volontarie di ''Un Ponte per'', Nazar Nawar Al Rawas, medico iracheno e stretto collaboratore di Maurizio Scelli, è in Italia. Parla al telefono con lo sceicco Al Kubaissi, convinto di continuare a godere della libertà di manovra e di parola che gli assicura il rapporto tra lo stesso Scelli e Palazzo Chigi. Non sa, né immagina che i suoi telefoni sono intercettati. Nazar ha un motivo per parlare con lo sceicco sunnita: il sequestro dell'operatrice umanitaria inglese Margaret Hassan. La donna è stata rapita a Bagdad il 19 ottobre e Nazar si informa sul prezzo fissato per il suo rilascio. Al Kubaissi chiede 10 milioni di dollari e il collaboratore di Scelli si dimostra scandalizzato. Intavola un abbozzo di trattativa e nel farlo usa come metro di valutazione la cifra pagata per Simona Torretta e Simona Pari. Dice: ''Se per la libertà delle due ragazze sono stati pagati cinque milioni, come fate a chiederne dieci per una donna soltanto?''.

Stando a quello che documentano le indagini del Ros, che nell'ottobre 2004, sia a Palazzo Chigi che al Sismi, ci fosse qualcuno che ignorava quello che stesse succedendo in Iraq è difficile da immaginare. Nella ricostruzione che propone il rapporto del Ros, il ruolo di Al Kubaissi e del suo consiglio degli Ulema nella fiorente industria dei sequestri appare infatti centrale sin dall'aprile del 2004, quando in gioco sono le vite di Agliana, Cupertino e Stefio, e quando soltanto l'irrompere sulla scena degli americani scombina un canovaccio altrimenti già delineato e di cui lo sceicco tiene i fili.
La presenza dello Sceicco è ancora forte pure più avanti, tra l'aprile 2004 e il marzo 2005. A leggere il rapporto del Ros, dodici mesi, un secondo omicidio (Baldoni) dopo quello Quattrocchi e un secondo sequestro (le due Simone) non sembrano aver insegnato nulla. Perché quando si tratta di intavolare l'ennesima trattativa per riportare a casa la giornalista italiana a distribuire le carte è ancora una volta Al Kubaissi.
Insomma, 2+2 fa 4, e che dietro i sequestri ci possa essere proprio lo sceicco Hussein sembra un'ovvietà sospettarlo.
Saputo ciò è legittimo domandarsi: qualcuno vorrà presentare il conto allo sceicco sunnita Abdel Salam Al Kubaissi?

Appresa la notizia di questo ''memorandum belli'' dei Ros, il governo italiano ha ribadito l'assoluta inesistenza del benché minimo pagamento di riscatto per la liberazione degli italiani tratti in salvo. Nei giorni scorsi, appresa la notizia il ministro degli Esteri, Gianfranco Fini ha confermato: ''Non ho elementi nuovi. Non mi risulta che il governo italiano abbia in nessun modo pagato alcun riscatto''.
A smentire il contenuto del Rapporto dei Ros ci sarebbero anche fonti dell'Arma.Da parte della Procura, ''irritata'' per la pubblicazione su Repubblica di stralci del rapporto dei Ros, si è tenuto a precisare che l'inchiesta coinvolge sia il responsabile del consiglio degli Ulema, lo sceicco Al Kubaissi, sia altri soggetti. All'attenzione della Procura ci sono un rapporto dei Ros e uno della Digos, il primo fin dal novembre scorso. Al momento, si dice in Procura, non ci sono elementi per configurare una responsabilità dello sceicco né ci sono comunicazioni del pagamento di somme di denaro per la liberazione degli ostaggi.
In ogni caso, un'eventualità del genere non costituirebbe reato, si dice, perché non è perseguibile il pagamento di riscatto nei casi di sequestri di persona con finalità di terrorismo.
L'ex commissario straordinario della Croce Rossa, Maurizio Scelli, non crede che i verbali dei Ros contengano quelle informazioni, mentre ribadisce che per la liberazione degli ostaggi ''abbiamo avuto precise richieste dagli Ulema, come quella di curare i bambini, come abbiamo fatto''.

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01 febbraio 2006
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