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Sequestri, trattative e scontri

Duro scontro alla Camera sul caso Mastrogiacomo tra il leader di An e il titolare degli Esteri

13 aprile 2007

Il ministro degli esteri Massimo D'Alema, ha accolto la richiesta del Parlamento di dar conto dell'operato del governo sul caso Mastrogiacomo e ieri si è presentato alla Camera. Ha iniziato un discorso pacato ma severo cominciando dal cordoglio ''per le vittime uccise barbaramente dai talebani'', l'autista Sayed Agha, ucciso subito dopo il sequestro, e l'interprete del reporter di Repubblica, Adjmal Nashkbandi, sgozzato giorni dopo la liberazione di Daniele Mastrogiacomo.
D'Alema ha tenuto innanzitutto a ribadire la trasparenza dell'azione del governo, che ha agito ''in continuità'' con il governo Berlusconi.

''Ci siamo mossi - ha spiegato D'Alema - sulla base di un criterio che è stato quello di dare priorità alle ragioni umanitarie e cioè la salvezza della vita degli ostaggi. È un criterio non deciso dal governo Prodi ma che è stato utilizzato anche da altre forze politiche''. Quella della trattativa è una prassi ''seguita da molti altri governi occidentali, sebbene con modalità che variano di caso in caso''. Nonostante la morte dei due afghani, aver salvato la vita dell'inviato di Repubblica costituisce - ha detto ancora D'Alema - comunque ''un risultato positivo''.
Il ministro è poi passato ad illustrare l'intera vicenda che ha portato alla liberazione di Mastrogiacomo, scusandosi in anticipo per quella che preannuncia essere ''una noiosa ricostruzione'' (documento in fondo alla pagina).

D'Alema ha parlato dell'immediata collaborazione del governo afghano, che ''ha in effetti assicurato piena collaborazione fino alla fine del sequestro'', della scelta di seguire una prassi che esplorasse gli spazi per una soluzione negoziale e non esporre al pericolo la vita degli ostaggi, l'esclusione del governo, ''fin dall'inizio'', che i militari italiani si potessero ritirare dall'Afghanistan per ottenere il rilascio del giornalista. Nel corso dell'informativa, D'Alema ha parlato anche del peso avuto dal Sismi, assicurando: ''E' stato coinvolto nelle trattative, affiancando i canali in loco con proprie strutture e propri funzionari fino al rilascio. I canali sono stati usati in modo costantemente complementare''.

Quanto allo scambio dei prigionieri, e qui il ministro degli esteri ha toccato il vulnus di tutta la questione, il governo italiano non decise la liberazione di cinque talebani, ma trasferì la richiesta in tal senso arrivata dal mullah Dadullah all'esecutivo di Hamid Karzai che l'accolse. Rese note le condizioni dei talebani, ha riferito D'Alema, ''a quel punto il governo ha dovuto compiere una scelta: chiudere gli spazi di mediazione o trasferire al governo afghano la richiesta dei talebani. Ed è quello che noi abbiamo scelto di fare: trasferire al governo afghano tale richiesta perché potesse essere valutata''. Il governo Karzai decideva quindi il rilascio di due dei tre talebani di cui era stata richiesta la scarcerazione. ''La collaborazione del governo afghano, che è stata pronta in tutta la vicenda, era legata - ha proseguito - anche alla valutazione circa la pericolosità limitata dei detenuti che erano portavoce e non forze combattenti del movimento talebano''.

D'Alema non ha dimenticato di affrontare la questione Emergency che ''svolge un'opera preziosa in un contesto difficile e pericoloso''. Tornando sulla vicenda del collaboratore di Gino Strada nelle mani delle autorità afgane, sotto l'accusa di essere in qualche modo responsabile del sequestro Mastrogiacomo, D'Alema è stato chiaro: ''Il governo continuerà ad insistere perché vengano rese note in modo trasparente le accuse rivolte ad Hanefi e che venga giudicato, se sarà necessario, nel modo più rapido e con tutte le garanzie previste. Questo il governo può fare. Il governo non può liberare Hanefi, accusato dalle sue autorità di reati''. Passando poi alla vicenda dell'interprete, D'Alema ha confermato che è ''incerta e confusa''. E ha spiegato che la liberazione di Adjmal Nashkbandi ''faceva parte della trattativa''. D'Alema ha rivelato inoltre che l'interprete era stato liberato ma poi è stato nuovamente catturato dai talebani.

Lo scontro con Gianfranco Fini - Durante il dibattito parlamentare di ieri, il leader di An, Gianfranco Fini ha voluto parlare al posto del suo collega di partito Ignazio La Russa, per accendere quello che poi si è capito essere uno scontro con il governo e col ministro degli Esteri. Fini ha accusato il governo di ''reticenze, di omissioni'', perché ''quel che a noi risulta è che il governo Karzai non era disponibile ad accogliere le richieste dei terroristi talebani alla liberazione dei prigionieri. Nel momento in cui Karzai ha ceduto e si è piegato alla richiesta di Prodi, a noi risulta che Prodi ha vagheggiato l'ipotesi del ritiro dall'Afghanistan''. Accuse che D'Alema, ha respinto con altrettanta veemenza, definendo ''offensiva'' l'accusa di pressioni sul governo di Karzai: ''Ipotizzare che non abbia agito sulla base di una propria valutazione, ma subendo un ricatto, è un'offesa priva di qualsiasi base di prova e totalmente falsa''. ''Noi abbiamo tutti gli elementi per dimostrare che è falsa. E' abbastanza sconcertante la mancanza di serietà di uno che è stato ministro del governo italiano che parla in questo modo''.
Alle accuse di Fini ha risposto anche il premier Romano Prodi, definendole ''gratuite e offensive'', e bollando come ''fandonie'' le accuse di un ''ricatto'' a Karzai. Infine ha ricordato come nei giorni scorsi Silvio Berlusconi avesse chiesto all'opposizione di abbassare i toni.
Ma davanti alla replica di D'Alema e Prodi, Fini ha commentato: ''Vadano e rileggere le parole di Karzai pronunciò a proposito della vicenda. Disse che Prodi parlò di un governo in difficoltà, che rischiava di cadere sul voto di fiducia per la missione italiana in Afghanistan. Leggano quelle parole e non mi insultino''.

- La ricostruzione dei fatti di Massimo D'Alema

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13 aprile 2007
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