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Settimo giorno di guerra

Continua a crescere l'odio in Medioriente. Nessuna tregua, nessun segno di resa tra Libano e Israele

18 luglio 2006

Dal Medioriente arrivano parole pesanti e distruttive quanto i missili che da Israele vengono lanciati verso il Libano, e che dal Libano vengono sparati al vicino Stato ebraico.
Una risolutezza senza inflessioni di pietà, minacce dure come macigni. La pace non ha il benché minimo spazio.
E' il settimo giorno di guerra tra Libano e Israele, e per il settimo giorno innocenti civili cadono sotto le bombe dell'odio, dall'una e dall'altra parte.
Hezbollah
rifiuta le proposte internazionali di cessate il fuoco, giudicandole una ''condizione israeliana''. Tale misura, fa sapere il gruppo islamico, concederebbe a Israele tempo per sottomettere il Libano.
''Gli inviati internazionali hanno fatto proprie le condizione israeliane. Queste condizioni saranno respinte - ha affermato il deputato Hezbollah Hussein Haj Hassan durante un'intervista rilasciata ala televisione Al-Jazira - accettiamo ciò che assicura gli interessi del nostro Paese, l'orgoglio e la dignità e non la sottomissione alle condizioni israeliane''.
Israele ha richiesto come pre-condizione per un eventuale cessate il fuoco il rilascio dei due soldati israeliani sequestrati e il ritiro delle milizie dal confine.
La televisione legata a Hezbollah, Al-Manar, aveva accusato gli inviati di ''concedere tempo alla distruzione e alla devastazione'' del Libano da parte di Israele. Dopo aver reso noto che il lancio di missili continuerà, la televisione ha affermato: ''Questo è solo l'inizio, fate attenzione al nostro ciclone''.
Ecco quali sono le parole usate: sottomissione, devastazione, distruzione, nel nome di una dubbia dignità e di un dubbio orgoglio.

L'offensiva israeliana sul Libano intanto continua. Dopo la giornata di ieri, caratterizzata da una settantina di azioni militari e dall'incursione di alcuni reparti di terra di Tel Aviv nel territorio libanese, nella notte sono ripresi sia i raid aerei israeliani sia il lancio di razzi da parte degli Hezbollah sciiti sul territorio israeliano. Obiettivo dei jet con la stella di Davide due caserme dell'esercito libanese a Jahmur e Kfar Shima, nei sobborghi orientali di Beirut. L'azione avrebbe portato alla morte di almeno una decina di persone, tra cui anche civili, e a diversi ferimenti. All'alba l'aviazione israeliana ha poi distrutto due camion che transitavano sull'autostrada a Biblos.
Nella notte è stato colpito di nuovo anche il villaggio di Aitaroun: altri sei morti, oltre ai sette (di una stessa famiglia) di ieri mattina.
Secondo quanto riferito dall'esercito di Tel Aviv, sono stati una cinquantina gli obiettivi libanesi colpiti dai raid israeliani durante la notte.
Sul fronte opposto, secondo quanto annunciato dalla radio israeliana, un razzo lanciato dagli Hezbollah è caduto senza esplodere prima dell'alba nella città israeliana di Nahariya, 10 km a sud del confine con il Libano.

Intanto l'esercito israeliano ha annunciato stamane il richiamo di tre battaglioni di riservisti, ciascuno composto da circa 300 uomini. Si tratta - come ha spiegato una portavoce alle agenzie idi stampa - di militari con ''compiti specifici'' come piloti di caccia ed esperti di computer. La stessa portavoce ha però sottolineato come questo non sia un ordine generale d'emergenza rivolto a tutti i riservisti.
Il vice capo di stato maggiore dell'esercito, il generale Moshe Kaplinsky, prevede che l'offensiva israeliana in Libano durerà ancora alcune settimane. Secondo Kaplinsky c'è ancora bisogno di tempo per portare a termine alcuni ''obiettivi molto chiari''.  L'obiettivo israeliano è di disarmare Hezbollah e fermare gli attacchi con i razzi contro il nord di Israele e secondo un fonte di governo la pressione militare potrebbe aumentare nei prossimi giorni poiché l'esecutivo guidato da Ehud Olmert è consapevole che gli Stati Uniti, principale alleato di Israele, non potranno reggere a lungo alle pressioni internazionali a intervenire e porre fine alle operazioni israeliane in Libano.

Una forza di pace in Libano - dopo una settimana di colpevole immobilità, la diplomazia internazionale sembra aver finalmente trovato uno spunto per tentare di dare un contributo alla risoluzione della crisi israelo-libanese. Il summit degli Otto Grandi finito ieri a San Pietroburgo ha fatto sua infatti la proposta di creare una forza di pace e di interposizione da Bimbe israeliane scrivono ''messaggi'' sui missili destinati agli Hezbollahinviare nel Libano del Sud sotto l'egida dell'Onu.
Dopo l'appello del segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan per un cessate il fuoco in grado di permettere il dispiegamento di una forza d'interposizione, a puntare con forza su questa carta è stato soprattutto il presidente del Consiglio italiano, Romano Prodi, che ha assicurato il contributo dell'Italia. ''L'Italia - ha detto Prodi  - deve fare il suo dovere nel garantire la sicurezza nel Medio Oriente perché è la terra in cui viviamo ed è il punto di riferimento del Mediterraneo''.

A garantire il suo contributo all'eventuale missione di peace-keeping è stata anche la Gran Bretagna, ma il cammino è comunque ancora lungo e in salita. I dettagli dell'intervento sono tutti da studiare e resta inoltre da verificare la disponibilità di Gerusalemme, che non ha ancora commentato l'iniziativa partita dal G8.
L'iniziativa di Prodi ha trovato il pieno appoggio del ministro degli Esteri Massimo D'Alema. ''E' necessaria una forte iniziativa delle Nazioni Unite con la creazione di una vera e propria forza di interposizione'', ha commentato il capo della Farnesina ribadendo la disponibilità italiana a farne parte e rilanciando poi ulteriormente. ''Bisogna estendere la forza di interposizione anche a Gaza - ha aggiunto D'Alema - per creare un cuscinetto di sicurezza che garantisca gli israeliani e le popolazioni arabo-palestinesi''.

Intanto in Italia... - Roma, le otto di ieri sera. A piazza Venezia sta per cominciare la fiaccolata dei pacifisti con le bandiere arcobaleno, del Libano e della Palestina, quando all'improvviso, dai giardinetti di fronte all'Ara Coeli, sbucano gli ebrei romani del Ghetto, con le bandiere bianche e azzurre e la stella di Davide. ''Israele, Israele - gridano contro i pacifisti -. Non brucerete più le nostre bandiere, fateci partecipare anche a noi al vostro corteo, terroristi, terroristi...''.
Passano minuti di tensione altissima: cori, insulti, anche qualche inspiegabile saluto romano (''Non è certo roba nostra'', si schermiscono i giovani del Ghetto. E allora di chi?). Dall'altra parte, nel corteo organizzato da Fiom Cgil, Action for Peace, Un ponte per e un'altra ventina di sigle, sfilano parlamentari di Rifondazione e Comunisti italiani (Rizzo), Paolo Cento dei Verdi. Ma soprattutto sono presenti molti giovani arabi, libanesi e palestinesi, che rispondono a tono agli ebrei romani: ''Assassini, assassini''.
Il sentimento dominante nella piazza è l'odio. Due popoli, due Stati: macché, solo a parole.

- «La speranza perduta di una vita normale» Joumana Haddad, Poetessa e giornalista libanese

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18 luglio 2006
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