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Sì al rifinanziamento delle missioni militari all'estero

Il Senato ha dato il via libera al decreto. Ha votato a favore anche l'Udc

28 marzo 2007

Il Senato ha detto sì al rifinanziamento delle missioni militari all'estero, e quindi al decreto che proroga tutte le operazioni internazionali in cui sono coinvolti soldati italiani, compresa - e soprattutto - quella in Afghanistan. I voti a favore sono stati 180 (Unione e Udc), le astensioni, che al Senato equivalgono di fatto ad un no,  (il blocco di Forza Italia, An e Lega) 132. I voti contrari sono stati due (l'ex pdci Turigliatto e il democristiano Rotondi).
Come annunciato già nelle scorse settimane, a favore del decreto ha votato anche l'Udc, ma i 20 voti apportati dai centristi del polo sono stati comunque ininfluenti: anche se non ci fosse stato l'appoggio del partito di Casini, la maggioranza avrebbe potuto contare su 160 voti contro 154.

''Questo voto è una svolta politica'' ha commentato il premier Romano Prodi dal Sud America, dov'è in viaggio ufficiale, andando a sottolineare che ''la maggioranza è compatta e l'opposizione spaccata''. Prodi si è anche rivolto indirettamente a Silvio Berlusconi sottolineando che ''dovrà spiegare a Usa e Gran Bretagna la scelta di non votare a favore''. Ma lo stesso leader di Forza Italia, pochi minuti prima del voto, aveva rilasciato dichiarazioni ai cronisti sostenendo che ''i nostri alleati sanno benissimo che si tratta di un problema fra opposizione e governo e quindi sono perfettamente al corrente delle motivazioni della nostra scelta''.
La spaccatura nella Cdl è stata rimarcata anche dal ministro della Difesa Arturo Parisi che ha accusato la Cdl di ''essersi sottratta a un impegno che deve essere comune: quello di sostenere i nostri soldati''.

Appena chiuso il voto il leader dell'Udc Pierferdinando Casini, accusato di aver fatto da ''stampella'' alla maggioranza, e quindi di essere nei fatti ''entrato nella maggioranza'', si è affrettato a dire che ''il governo Prodi si sarebbe salvato lo stesso, anche senza i voti dell'Udc, perché i sì sarebbero stati 160 e i no 154''. Una circostanza vera solo in parte. Infatti senza l'Udc ce l'avrebbe fatta lo stesso ma con i quattro voti dei senatori a vita e il sì ''autonomo'' del forzista Lino Iannuzzi  (che ha così motivato la sua scelta: ''Ho chiesto perché a distanza di cinque giorni dovevamo votare diversamente da come abbiamo fatto alla Camera e non mi hanno saputo rispondere''). Questo ha scatenato la guerra dei numeri tra i Poli: l'Unione, fermandosi a quota 155, non arriva alla ''famigerata'' maggioranza politica di 158 voti.
L'opposizione, Udc in testa, ha fatto la voce grossa sul fatto che ''la maggioranza non è autosufficiente come invece aveva garantito il premier Prodi e il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano''. ''Il governo non è autosufficiente si dimetta'' ha ripetuto con insistenza il presidente dei senatori azzurri Renato Schifani.
Amaro il commento del leader di An, Gianfranco Fini, secondo cui il governo ''sopravvive solo grazie ai senatori a vita, ma per il soccorso dell'Udc ora canta vittoria e si sente politicamente più forte. Ci auguriamo che l'onorevole Casini, della cui onestà intellettuale non dubitiamo, rifletta sul perché è stato tanto elogiato dalla sinistra. Forse perché la teoria delle due opposizioni aiuta solo Prodi''. Anche la Lega, per bocca di Calderoli, ha attaccato i centristi: ''Salutiamo il loro ingresso nella maggioranza''.

Casini, davanti alle telecamere di Ballarò, ha sottolineato come ''in gioco non c'era il governo Prodi ma la missione dei soldati italiani in Afghanistan'' e ha ricordato come in nessun altro Paese il centrodestra avrebbe evitato di votare il sostegno ad una missione militare in corso. Casini ha poi rivendicato la propria coerenza nella scelta di sostenere il decreto così come il Polo aveva già fatto nel 1999 al momento del varo della missione in Kosovo decisa dal governo D'Alema. Lo stesso leader centrista ha però ribadito che la mancanza di una reale autosufficienza in politica estera rende precaria la stabilità dell'esecutivo, ''un problema politico - ha detto Casini - che non va sottovalutato''.

Il voto di ieri è stato seguito con attenzione anche dalla Nato, attraverso il proprio segretario generale, con l'auspicio di un mantenimento dell'impegno sin qui portato avanti dall'Italia in Afghanistan. Anche il dipartimento di Stato americano era intervenuto sulla vicenda, auspicando da parte degli alleati un aumento della presenza militare in Afghanistan invitandoli anche a ''limitare o eliminare' i caveat esistenti, ovvero le limitazioni geografiche o di intervento stabilite per i diversi contingenti nazionali. Limitazioni che il governo non intende rimuovere. ''Le regole d'ingaggio non sono in nostra disponibilità. Decidono la Nato e l'Onu'', ha detto il il ministro degli Esteri, Massimo D'Alema durante il proprio intervento al Senato, nel quale ha però assicurato che l'esecutivo provvederà alle esigenze di protezione dei soldati italiani in Afghanistan sulla base di una relazione tecnica predisposta dallo Stato maggiore delle Forze Armate. ''Abbiamo già avviato - ha annunciato D'Alema - la procedura per ottenere dallo Stato maggiore delle nostre forze armate una indicazione chiara dei mezzi ritenuti necessari per la protezione dei nostri militari. Non appena questa relazione sarà disponibile, il governo informerà le commissioni competenti e provvederà a fornire il nostro contingente di questi mezzi''. Ma, ha sottolineato ancora il ministro degli Esteri, ''dotare i nostri militari di mezzi più adeguati non significa mutare la natura della missione in Afghanistan''.

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28 marzo 2007
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