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Si scopra la verità!

Al processo Mori ha parlato l'ex ministro Nicola Mancino: "Mai saputo della trattativa Stato-mafia"

25 febbraio 2012

"Non ho mai avuto conoscenza di una trattativa tra lo Stato e Cosa nostra, nessuno me ne aveva mai parlato e se qualcuno lo avesse fatto mi sarei opposto e ne avrei parlato con il Presidente della Repubblica e con il il Presidente del Consiglio e avrei chiesto un dibattito in Consiglio dei ministri".
Lo ha detto l'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino deponendo ieri al processo al generale Mario Mori e al colonnello Mauro Obinu, accusati di favoreggiamento aggravato a Cosa nostra per la mancata cattura del boss Bernardo Provenzano.
L'ex Presidente del Senato, che ha ricoperto la carica di ministro dell'Interno dal 28 giugno 1992, dopo la strage di Capaci, al 1994 ha poi ribadito che "non si era mai parlato di una trattativa tra lo Stato e la mafia neppure durante il Comitato per l'ordine e la sicurezza, alla presenza del Capo della Polizia".

Se il pentito di mafia Giovanni Brusca ha indicato Mancino come "terminale finale" del papello, cioè l'elenco con le richieste che Totò Riina avrebbe fatto allo Stato in cambio della fine della strategia stragista, Mancino ha negato l'esistenza di una trattativa.
E' stato il suo predecessore al ministero dell'Interno, Vincenzo Scotti, a raccontare ai magistrati che la decisione di togliere, nel giugno del 1992 - cioè appena un mese dopo la strage di Capaci - a Scotti l'incarico di ministro dell'Interno e di assegnarne la guida a Mancino sarebbe stata, "improvvisa". Ma Mancino ha spiegato ai pm di non sapere il perché venne scelto alla guida del Viminale. Sulla vicenda sono stati depositati anche gli interrogatori degli ex segretari della Dc Ciriaco De Mita e Arnaldo Forlani. De Mita ha parlato di "un normale avvicendamento".
"Non mi sono mai opposto al 41 bis, il carcere duto, nè ho mai avuto un atteggiamento di riserva alla sua approvazione ma il mio atteggiamento è stato di piena adesione", ha ribadito Mancino in aula. "Qualunque ipotesi di attenuazione del 41 bis - ha aggiunto - poteva essere una resa".

Mancino, rispondendo ancora alle domande del legale di Mori e di Obinu, l'avvocato Basilio Milio, ha detto di non avere mai sentito fare il nome del 'signor Carlo' o del 'signor Franco', l'uomo dei servizi segreti che, secondo quanto raccontato ai magistrati da Massimo Ciancimino, avrebbe fatto da 'mediatore' tra le istituzioni e Cosa nostra per condurre la cosiddetta trattativa tra lo Stato e i boss dopo le stragi mafiose del '92. Alla domanda se aveva mai saputo di incontri avvenuti, nel '92, tra ufficiali dei Carabinieri e Vito e Massimo Ciancimino, ha replicato: "Ne ho avuto conoscenza dalla stampa, non da conoscenze interpersonali".

Poi su uno dei nodi della vicenda, il suo presunto incontro con Borsellino al Viminale l'1 luglio del '92, durante il quale, secondo una tesi investigativa, i due avrebbero discusso della trattativa alla quale il magistrato si opponeva, Macino ha dato la solita versione: "Non l'ho incontrato, nel senso che non abbiamo parlato. Ma non escludo che fosse tra i tanti presenti al mio insediamento e di avergli stretto la mano".
Passato al controesame del pubblico ministero il discorso non è cambiato. E anche il clima. Nicola Mancino ha risposto seccato alle contestazioni e ha smentito gli ex colleghi di governo. "Martelli? Mi parlò genericamente di attività non autorizzata del Ros, ma non capii perchè lo diceva a me e non alla Procura", ha raccontato a proposito dello sfogo dell'ex Guardasigilli che ha invece detto ai magistrati di avere informato, adirato, Mancino degli incontri tra Mori e l'ex sindaco mafioso di Palermo Vito Ciancimino. Incontri, secondo i pm, attraverso i quali lo Stato avrebbe "aperto" a Cosa nostra.
Ma il punto su cui Mancino ha perso la calma e che è apparso alla Procura assai poco verosimile è quello sul carcere duro. Già nell'agosto del 1993, ha fatto notare il pm, la Dia aveva segnalato a Mancino con una nota top secret che la mafia cercava, attraverso le bombe, di convincere lo Stato ad ammorbidire il suo atteggiamento anche sul 41 bis.
"E lei - ha chiesto il magistrato all'ex ministro - sapendo questo non si stupì quando dopo qualche mese il Guardasigilli Giovanni Conso fece scadere oltre 334 decreti di carcere duro per i mafiosi?". "Il regime carcerario non era di mia competenza - ha risposto - E poi allora avevamo anche altri problemi: la campagna elettorale, lo scioglimento delle Camere".

"Pochi giorni dopo l'omicidio dell'europarlamentare Dc Salvo Lima e la notizia di possibili attentati eversivi di Cosa nostra contro politici eccellenti come Giulio Andreotti, Carlo Vizzini e Calogero Mannino, 'incontrai Mannino che mi disse preoccupato 'il prossimo saro' io'" - ha continuato in aula l'ex ministro Mancino continuando a deporre al processo.
Non sono mancate le scintille in aula tra il pm Antonino Di Matteo e lo stesso Mancino, quando il magistrato ha letto all'ex capo del Viminale una parte dell'interrogatorio reso da Mancino in cui aveva parlato delle preoccupazioni espresse da Mannino che temeva di essere ucciso. Alla fine della lettura, Mancino ha replicato con un'alzata di spalle: "Embè", provocando la reazione del pm che ha duramente replicato: "Non si può rivolgere così al pm".
In un'altra occasione, Di Matteo ha letto un altro interrogatorio a Mancino e l'ex ministro ha replicato: "allora non mi sente?" e Di matteo, di rimando: "No, io ci sento benissimo".
Proprio l'altro ieri Calogero Mannino ha ricevuto l'avviso di garanzia nell'ambito dell'inchiesta sulla trattativa tra Stato e mafia.

Dunque, gli interrogativi restano tutti. La verità sugli anni delle stragi di mafia raccontata dall'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino è rimasta diversa da quella di altri uomini dello Stato: Claudio Martelli, all'epoca Guardasigilli, Vincenzo Scotti alla guida del Viminale prima di lui. Contraddizioni, quelle emerse dalle testimonianze dei politici, tali da indurre il pm Nino Di Matteo, pubblica accusa al dibattimento e tra i magistrati che indagano sulla trattativa tra le istituzioni e Cosa nostra, a dire che "qualcuno mente".

- Trattativa Stato-mafia: indagato Calogero Mannino (Guidasicilia.it, 24/02/12)

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25 febbraio 2012
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