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Solo due giorni di carcere per aver ucciso la moglie ''scontrosa e di difficile carattere''. Succede a Palermo

25 settembre 2007

Quattro anni fa, al culmine di una furiosa lite familiare, Renato Di Felice uccise la moglie con due coltellate. Di Felice, contabile presso una ditta di argenteria, assassinò la moglie Maria Concetta Pitasi, ginecologa, sotto gli occhi della figlia sedicenne. La ragazza difese il padre, sostenendo che quest'ultimo era continuamente vessato dalla moglie.
Reo confesso, ieri mattina è stato condannato a sei anni di reclusione per omicidio volontario. Nonostante tutto, l'uxoricida molto probabilmente riuscirà a non scontare la pena grazie a una serie di benefici di legge.
La condanna emessa dal gup sarà infatti decurtata di 3 anni che risultano coperti dall'indulto, oltre alle attenuanti sia generiche che per la provocazione subita, oltre al risarcimento danni (circa ventimila euro più i beni mobili della casa coniugale versati dall'imputato alla sorella della vittima) e la diminuzione prevista dal rito abbreviato.

Di Felice, difeso dagli avvocati Ugo Castagna e Tiziana Monterosso, ha scontato fino a oggi solo 2 giorni di carcere. Ora, fanno notare i difensori, potrebbe godere anche delle misure alternative, essendo il residuo di pena (dimezzato dalla copertura dell'indulto) inferiore ai 3 anni, proprio per i due giorni di carcere già scontati.
Il gip Vincenzina Massa, che per prima si occupò della vicenda, ne decretò la scarcerazione poche ore dopo il delitto, definendo l'uxoricida, descritto come una persona mite, ''non socialmente pericoloso''. Il pm Francesco Bettini aveva chiesto invece la condanna a 14 anni di reclusione.

Un delitto che all'epoca fece scalpore. Lui, contabile di una nota ditta di argenteria, descritto da tutti come una persona ''mite e garbata''; lei, medico ginecologo all'ospedale Civico di Palermo. Testimone dell'omicidio, la figlia di 16 anni, studentessa. La furia omicida del tranquillo padre di famiglia, come è stato descritto in passato dai giudici che hanno esaminato la sua posizione, esplose durante l'ennesima lite coniugale: la moglie, descritta unanimemente come una persona ''scontrosa e difficile'', nella tarda mattinata di 24 ottobre del 2003, si era avventata sulla figlia, aggredendola con alcuni morsi, tanto da rendere necessario l'intervento degli agenti di una pattuglia della polizia chiamata da alcuni vicini di casa. All'arrivo dei poliziotti, però, la controversia sembrava essersi conclusa. Nel pomeriggio, invece, la donna ricominciò ad inveire contro la figlia. A questo punto il marito, in preda all'esasperazione, impugnò un coltello a serramanico e sferrò due colpi all'impazzata, colpendola al fianco e al torace. Il contabile e la figlia rimasero attoniti. La ragazza, in un gesto irrazionale compiuto sicuramente per proteggere il padre, lanciò l'arma del delitto da una finestra; gli investigatori recuperarono poi il coltello nel pozzo luce del palazzo.
Di Felice si consegnò subito agli agenti, ammettendo di avere commesso il delitto. Agli investigatori disse con un filo di voce: ''E' stata una liberazione''.
Le indagini avevano poi accertato che i problemi della coppia erano legati soprattutto al carattere della vittima. Una versione confermata anche dalla figlia. Di qui, tra le proteste dei familiari della donna, la scarcerazione dopo soli due giorni di carcere.

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25 settembre 2007
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