Sotto le bombe "umanitarie"
Continuano i raid Nato in Libia, che mietono anche vittime civili. Dall'Italia, intanto, si ribadisce la piena adesione all'operazione Unified Protector
Sarebbero 19 i civili uccisi nel raid condotto ieri dalla Nato a Sorman, 70 km a ovest della capitale libica Tripoli. Il nuovo bilancio arriva dall'agenzia ufficiale Jana, che parla anche di otto bambini tra le vittime. Il raid, secondo fonti di Tripoli, ha colpito anche l'abitazione di Khouildi Hamidi, uno dei 12 membri del Consiglio del Comando Rivoluzionario. Tra le vittime ci sarebbero alcuni suoi familiari, mentre lui sarebbe rimasto illeso. La Nato ha ammesso di aver condotto il raid, precisando tuttavia di aver preso di mira, con bombardamenti di precisione, solo obiettivi militari.
Nel frattempo i ribelli libici hanno conquistato i valichi di frontiera con il Niger e le basi aeree di al-Ghwigh e Wau en-Namus, nel sud del Paese. Secondo quanto riferisce l'inviato della tv araba Al Jazeera, nell'estremo sud della Libia c'è stata una violenta battaglia ieri tra le brigate fedeli a Muammar Gheddafi e i ribelli. Altri scontri si sono registrati, sempre ieri, a Difaniya, nei dintorni di Misurata, dove sono morte 5 persone.
Uno dei soldati delle brigate fedeli al colonnello libico, che nei giorni scorsi "hanno deciso di abbandonare il regime e di unirsi agli insorti", ha denunciato che "ci hanno ordinato di maltrattare i miliziani che catturavamo nonostante fossero dei prigionieri di guerra". Parlando alla tv satellitare Al Arabiya da Bengasi, Mohammed Ahmed Saleh al-Tabu, portavoce del gruppo composto da 22 soldati dissidenti ha spiegato che "il regime ci ha ordinato di non avere alcuna pietà dei prigionieri perché considerati tutti ribelli di al-Qaeda". In particolare, ha precisato al-Tabu, "non dovevamo concedere ai prigionieri alcun diritto".
Dal canto loro Stati Uniti e Turchia ritengono che bisogna mantenere la pressione internazionale sul colonnello Muammar Gheddafi per aprire una fase di transizione e creare un nuovo governo a Tripoli che rifletta la volontà della popolazione libica. E' quanto espresso dal il presidente Usa, Barack Obama, e il primo ministro turco, Recep Tayyip Erdogan, durante un colloquio telefonico. Stando a quanto riferito da una nota della Casa Bianca, l'inquilino della Casa Bianca ha chiamato Erdogan per la seconda volta nell'ultima settimana, dopo il colloquio avuto all'indomani della vittoria del partito del leader turco alle elezioni parlamentari del 14 giugno.
La Libia vista dall'Italia... - "No a ritiri unilaterali, le missioni internazionali sono utili". Ieri, al suo arrivo a Lussemburgo per la riunione dei capi delle diplomazie dei 27, il ministro degli Esteri Franco Frattini ha replicato così al leader della Lega Umberto Bossi, che da Pontida ha sottolineato come "per abbassare la pressione fiscale i soldi si possono trovare diminuendo le missioni di guerra che costano moltissimo". "Le missioni (militari) internazionali sono certamente utili e devono essere affrontate ovviamente in un quadro di collaborazione internazionale - ha sottolineato il titolare della Farnesina - Non ci sono ritiri unilaterali, ma neanche status quo a tempo indeterminato". Frattini ha in proposito fatto presente che, "come è noto, abbiamo già avviato una revisione graduale concordata" della nostra presenza militare "nei Balcani, ad esempio, e in Libano". "Si tratta di iniziative che concordiamo con gli alleati, con le Nazioni Unite e con la Nato", ha insistito il ministro, ricordando che "il 6 luglio ci sarà una riunione del Consiglio supremo di difesa, che evidentemente ha una voce in capitolo importante".
Parlando poi del raid Nato in cui sono morti alcuni civili, circostanza ammessa dalla stessa Alleanza, Frattini ha sottolineato: in Libia "la Nato è alla prova della sua credibilità". Non si può "correre il rischio di uccidere civili", ha aggiunto. Il rischio di fare vittime civili, secondo quanto ammonito da Frattini, "è un qualcosa che non va assolutamente bene". Tra l'altro, secondo il titolare della Farnesina, "non si può neanche avere questa carenza di comunicazione all'opinione pubblica che non contrasta la propaganda mediatica di Gheddafi, questo è un qualcosa su cui la Nato deve riflettere".
Il ministro degli Esteri auspica che una soluzione alla crisi in Libia sia trovata prima di settembre, limite posto dalla Nato per la conclusione dell'operazione 'Unified Protector', secondo quanto deciso nei giorni scorsi. "C'è un limite molto chiaro, è stato posto dalla Nato a settembre - ha detto Frattini, rispondendo alla domanda se l'Italia continuerà i raid - Io credo che, al di là dei bombardamenti, una soluzione si debba trovare molto prima di settembre". "Dobbiamo lavorare duramente per una soluzione politica", ha ribadito Frattini da Lussemburgo, ricordando che "questa settimana ci sarà una conferenza" a Roma con i leader delle assemblee tribali libiche "per parlare di riconciliazione, sarà un'opportunità molto importante per discutere della pace". Il titolare della Farnesina ha poi respinto la tesi secondo cui, se l'Italia non partecipasse ai bombardamenti in Libia, non sarebbe invasa dai flussi di migranti. "Noi siamo comunque in prima fila - ha sottolineato - L'Italia è il primo porto di destinazione, tutti quelli che se ne vanno dalla Libia vengono anzitutto in Italia, che l'Italia ci sia o non ci sia (nell'operazione militare della Nato, ndr) non è che Gheddafi ci fa la graziosa concessione di tenerceli e di mandarli in Spagna".
A stretto giro è arrivata la risposta del ministro dell'Interno, Roberto Maroni: "Ribadisco quanto detto sul sacro suolo di Pontida. Ieri c'è stata la richiesta di quando terminerà l'intervento in Libia, perché è l'unico modo per fermare gli sbarchi di profughi in Italia".
Sulla partecipazione italiana all'operazione 'Unified Protector', e sulla contrarietà che la Lega ha espresso nei confronti di questa, è intervenuto anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. "E' nostro impegno, sancito dal Parlamento, restare schierati con le forze degli altri Paesi che hanno raccolto l'appello delle Nazioni Unite". "L'Italia - ha detto il Capo dello Stato durante la celebrazione dei 60 anni della firma della Convenzione di Ginevra sui rifiugiati - non poteva guardare con indifferenza o distacco gli avvenimenti in Libia, un paese a noi così vicino e col quale abbiamo nel tempo stabilito rapporti così intensi". L'Italia "non poteva rimanere inerte dinanzi all'appello del Consiglio di sicurezza perché si proteggesse una popolazione che chiede libertà, autonomia, giustizia, perché la si proteggesse dalla feroce repressione del regime del colonnello Gheddafi e le si aprisse la prospettiva di una pacifica evoluzione politica e civile verso forme di reggimento democratico", ha aggiunto Napolitano parlando davanti all'Alto commissario per i rifugiati, Antonio Guterres.
Al richiamo di Napolitano ha risposto con tempestività il ministro Maroni che ha ribadito ancora una volta la posizione contraria della Lega espressa a Pontida. [Informazioni tratte da Adnkronos/Aki, Repubblica.it, Adnkronos/Ing]
Un altro punto di vista sulla guerra in Libia
SE SICULIANA MARINA FOSSE IN LIBIA?
di Agostino Spataro
Ieri è stata la prima bella giornata di mare. Anch’io, come tante famiglie, sono andato alla spiaggia libera di Siculiana Marina (Agrigento) ossia una striscia di acqua pulita e sabbia dorata dentro la cornice incantevole delle sue bianche falesie.
Bellezza e libertà che raramente s’incontrano, ma che in questi spazi demaniali convivono, a dispetto di Tremonti che per fare cassa voleva consegnarli ai privati. L’accesso, infatti, è gratuito e tutti ne possono godere. Anche gli operai, gli impiegati, i precari, gli emigrati, i giovani squattrinati, gli anziani pensionati, perfino i disoccupati. Un mare per tutti, poiché il mare non può avere padroni. Tutto quello che c’è dentro e intorno è un dono prezioso di questo nostro Mediterraneo che unisce i popoli rivieraschi che i guerrafondai vorrebbero dividere.
Sulla spiaggia le solite scene: ombrelloni, pedalò, castelli di sabbia, bambini scatenati e adulti angustiati alle prese col peso-forma... panini e gelati e migranti sudati che, per pochi euro, offrono falsi gioielli e sogni proibiti a signore e signorine...
Alla vista del mare, di tutta quella gente allegra, il mio pensiero corse a Tripoli, alle sue spiagge selvagge e infuocate, dove le donne fanno il bagno vestite. Ma lo fanno. A differenza delle saudite che, pur avendo la patente, non possono guidare e tantomeno bagnarsi in un luogo aperto al pubblico.
Ma, si sa, in Arabia Saudita c’è una dittatura "amica" che può sopraffare qualsiasi diritti umano e civile. Impunemente. Tanto nessun aereo della Nato si azzarderà a colpire.
Tripoli, invece, si può bombardare, anche più volte il giorno.
Non stiamo parlando di una casamatta sperduta nel deserto, ma di una bella città mediterranea con oltre un milione di abitanti (uno e mezzo con gli immigrati), fondata nel VI° secolo a. C. da fenici siciliani, posta a circa trecento miglia dalla spiaggia di Siculiana.
Anche a Tripoli ci sarà stata una bella giornata, ma difficilmente le famiglie saranno andate al mare o nelle oasi perché, dal 31 marzo, c’è qualcuno venuto da fuori a bombardare dall’alto qualsiasi cosa "sospetta" si muova sulla terra, sulla loro terra.
Questo "qualcuno" - l’avrete capito - sono le squadriglie aeree della Nato (Italia compresa) che proprio ieri, in questa bella giornata di mare, hanno colpito una casa nel pieno centro abitato di Tripoli e ucciso diverse persone umane, come noi.
Il comando Nato si è scusato per l’eccidio, a suo dire causato dal "malfunzionamento del sistema" ossia da un errore dei piloti e delle bombe evidentemente poco o nulla intelligenti, come coloro che hanno deciso di usarle in Libia e in tanti altri luoghi del Pianeta.
Insomma, ieri i superstiti di quella palazzina non sono andati al mare, ma all’ospedale per farsi curare o per assistere i loro feriti e riconoscere i loro morti innocenti, fra i quali due bambini in età tenerissima.
Si sperava andasse meglio oggi, lunedì. Invece, un altro "errore" degli eroici bombardieri senza rivali ha distrutto un’altra palazzina e la vita di nove persone.
Ogni giorno, ogni notte, da tre mesi, Tripoli e altre città della Libia sono sotto il fuoco dei raid della coalizione della Nato che si giustifica dietro la beffarda motivazione di "proteggere la vita dei civili libici".
Dal 31 marzo 2011, ossia in 82 giorni, la Nato ha effettuato sulla Libia 11.600 operazioni aeree, di cui 4.409 con fini militari, leggi bombardamenti, anche fuori della famosa "no fly zone" che secondo le fonti ufficiali libiche hanno provocato 800 vittime civili.
Una media di 53 operazioni al giorno, con vettori in gran parte in partenza dagli aeroporti siciliani di Trapani e Sigonella.
Una tragedia, uno spreco terribile di vite umane e di risorse finanziarie e infrastrutturali, per altro, senza riuscire a modificare la situazione interna libica.
A proposito, alla vigilia di una manovra finanziaria lacrime e sangue (più tasse e più tagli) di 40 miliardi, sarebbe il caso che governo e partiti facessero sapere ai cittadini chiamati a pagare quanto costano queste missioni di morte e anche le altre che chiamano di pace.
Uccidere per proteggere! Mai protezione fu così disastrosa per i protetti!
Ne sanno qualcosa anche gli "insorti" di Bengasi più volte colpiti dal fuoco amico della Nato, quando hanno fatto la guerra per davvero e non per le telecamere delle televisioni straniere.
Ovviamente, i guerrafondai ritengono di avere la licenza di bombardare grazie a una risoluzione ambigua dell’Onu, adottata con un voto striminzito dal consiglio di sicurezza, che autorizza chiunque lo desideri a colpire la Libia che, fino a prova contraria, è un paese sovrano, membro delle Nazioni Unite. Certo, retta da un dittatore come Gheddafi. Tuttavia, nel mondo di dittatori se ne contano a decine che l’Onu e la Nato lasciano operare indisturbati.
Dalla guerra in Libia sta emergendo l’amara verità che anche questo intervento "umanitario" si stia svolgendo sulla falsariga di quelli in Somalia, Iraq, Balcani, Afghanistan che hanno distrutto i Paesi e provocato molte più vittime innocenti di quelle che volevano salvare. Solo in Iraq la cifra oscilla fra 400 e 600 mila.
Conflitti forsennati, immotivati (in Iraq sono state fabbricate prove false) che producono milioni di vittime, di profughi, di migranti costretti a fuggire in Europa, in Italia, attraverso Lampedusa, alimentando un ciclo infernale innescato dalla crisi economica e dalla guerra che, in fondo, sono le due facce della stessa medaglia.
Concludo con una domanda che credo tutti ci stiamo ponendo: e se Siculiana Marina fosse in Libia? Sarebbe sempre bella, ma fino al 27 settembre (data di scadenza della proroga dei bombardamenti della Nato) non si potrebbe fare il bagno in santa pace.