Su Gela volteggiano avvoltoi
La denuncia di don Luigi Petralia: "Politici e affaristi vogliono lucrare sulla chiusura del petrolchimico"
"Lobby politiche, economiche e affaristiche avrebbero interessi a lucrare sulle necessarie attività di bonifica e smaltimento" del petrolchimico di Gela, una volta chiuso.
La denuncia è contenuta in una lettera aperta che don Luigi Petralia, parroco della chiesa Santa Lucia e consigliere spirituale del governatore della Sicilia, Rosario Crocetta, ha consegnato ai giornalisti lunedì scorso, giorno del grande sciopero cittadino.
Il sacerdote si dice insospettito dalla "insistenza divenuta stringente sulla dismissione degli impianti di Gela" e, andando col pensiero al terremoto de L'Aquila, intravede il "volteggiare di avvoltoi". Questo "terremoto industriale avrebbe l'effetto di mettere in ginocchio l'economia e lo sviluppo di Gela - ha scritto il parroco - ma consentirebbe a questi gruppi d'affari interessati al dopo-raffineria di arricchirsi sul sangue dei caduti".
"Non vedrei molta differenza con ciò che si è visto nel dopo terremoto de L'Aquila - scrive nella sua lettera aperta il sacerdote - quando al telefono gli affaristi delle disgrazie altrui sghignazzavano certi del super guadagno economico della ricostruzione! Se questa fosse la politica che sotto sotto cova e spinge come un tumore che vuol mangiarsi tutto, che Dio ci salvi da simili progetti iniqui, e da coloro che vorrebbero eseguirli".
Intanto oggi, al ministero dello Sviluppo economico, si è aperto il confronto fra i sindacati e l’Eni. Questione principale i 700 milioni da investire nello stabilimento siciliano poi "spariti". Ma c’è ben altro nel piatto: la sorte delle fabbriche italiane dell’Eni e la ventilata delocalizzazione della raffinazione per abbattere i costi.
Le parti "tengono" fermamente le loro posizioni. Il sindacato chiede il rispetto degli impegni assunti: l’Eni li aveva decisi ed annunciati in pompa magna all’interno di un piano di riconversione industriale, con la raffineria di Gela. Il board dell’Eni rassicura sui tetti occupazionali ma pone l’accento sulla "congiuntura", la raffinazione italiana non ha mercato a causa della concorrenza orientale e del crollo dei consumi.
Susanna Camusso usa toni forti e rivendica la salvaguardia degli impianti e del lavoro. "Perché il governo non interviene?", chiede la segretaria della Cgil. "E’ l’azionista di maggioranza, ha diritto di parola...". Il presidente della Regione, Rosario Crocetta, minaccia una guerriglia civile se l’Eni fa marcia indietro. Il segretario della Cisl Raffaele Bonanni avverte che sono in gioco i destini del lavoro nel settore della chimica italiana.
Prevale la diffidenza, la sfiducia, perché l’Eni ha cambiato idea più volte, ed ha usato di volta in volta ragioni diverse per tirarsi indietro o ritardare gli investimenti, dando l’impressione di volere contrattare, di fatto, i parametri di sicurezza ambientale.
Il problema non è "solo" la sorte della fabbrica, ma quello della città, del suo hinterland, della Sicilia in definitiva. Gela è stata "rapinata" di ciò che aveva, anche dell’aria che si respira, in cambio di posti di lavoro. L’Eni non può andarsene, armi e bagagli, altrove. La sua "controparte", tuttavia, deve accettare il confronto sul merito, magari senza lanciare parole d’ordine facilmente confutabili, come il timore di un ritorno della mafia, in grande stile, a Gela e dintorni. La storia ci ricorda che la Gela agricola e sottosviluppata non ospitava cosche e mammasantissima. E’ stata l’industrializzazione, sono stati i lucrosi appalti, pubblici e privati, ad esercitare un irresistibile richiamo.
[Informazioni tratte da ANSA, Lasiciliaweb.it, SiciliaInformazioni.com]
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