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Sud a rischio povertà...

Desertificazione industriale sempre più marcata e ripresa dell'emigrazione. Il Meridione rischia di non agganciare la ripresa

18 ottobre 2013

Un Mezzogiorno a rischio desertificazione industriale, dove i consumi non crescono da cinque anni, si continua a emigrare al Centro-Nord e all'estero, la disoccupazione reale supera il 28%, crescono le tasse e si tagliano le spese, ma una famiglia su 7 guadagna meno di mille euro al mese, e in un caso su quattro il rischio povertà resta anche con due stipendi in casa.
Occorre rilanciare una visione strategica di medio-lungo periodo, che veda nella riqualificazione urbana, energie rinnovabili, sviluppo delle aree interne, infrastrutture e logistica i principali driver dello sviluppo.
Questa la fotografia che emerge dal Rapporto SVIMEZ sull’economia del Mezzogiorno, presentato ieri a Roma.

In particolare il Rapporto denuncia l'emigrazione dal Sud di circa 2,7 milioni di persone negli ultimi venti anni. Nel 2011 si sono trasferiti dal Mezzogiorno al Centro-Nord circa 114 mila abitanti. Riguardo alla provenienza, in testa per partenze la Campania, con una partenza su tre (36.400); 23.900 provengono dalla SICILIA, 19.900 dalla Puglia, 14,200 dalla Calabria. In direzione opposta, da Nord a Sud, circa 61mila persone, che rientrano nei luoghi d’origine, soprattutto Campania (16mila), SICILIA (15mila) e Puglia (10mila).
La regione più attrattiva per il Mezzogiorno resta la Lombardia, che ha accolto nel 2011 in media quasi un migrante su quattro, seguita dal Lazio.Nel 2011 i cittadini italiani trasferiti per l’estero sono stati circa 50mila, 10mila in più rispetto al 2010, in decisa crescita rispetto a dieci anni fa, quando erano 34mila.
Ma ad emigrare all’estero non sono i meridionali: solo il 30%, di cui circa uno su tre è laureato. Gli italiani si sono diretti soprattutto in Germania, oltre uno su quattro (26,6%), in Svizzera (12,8%) e Gran Bretagna (9,5%). In dieci anni, dal 2002 al 2011, i meridionali laureati emigrati per l’estero sono stati oltre 20mila. Nel 2012 i pendolari di lungo raggio da Sud a Nord sono stati 155mila, 15mila in più rispetto al 2011.

Quanto agli altri dati rilevati da SVIMEZ nel Rapporto, nel 2012 il Pil è calato nel Mezzogiorno del 3,2%, oltre un punto percentuale in più del Centro-Nord, pure negativo (-2,1%). Per il quinto anno consecutivo, dal 2007, il tasso di crescita del PIL meridionale risulta negativo. Dal 2007 al 2012, il Pil del Mezzogiorno è crollato del 10%, quasi il doppio del Centro-Nord (-5,8%). Il risultato peggiore è della SICILIA (-4,3%,) migliore quello di Lazio e Lombardia (-1,7%).
In termini di Pil pro capite, il gap del Mezzogiorno nel 2012 ha ripreso a crescere, con un livello arrivato al 57,4% del valore pro capite del Centro-Nord. In valori assoluti, il Pil a livello nazionale risulterebbe pari a 25.713 euro, quale media tra i 30.073 euro del Centro-Nord e i 17.263 del Mezzogiorno. Nel 2012 la regione più ricca è stata la Valle d’Aosta. Nel Mezzogiorno la regione con il Pil pro capite più elevato è stata l’Abruzzo (21.244 euro), la più povera è la Calabria, con 16.460 euro. Il divario tra la regione più ricca e la più povera è stato nel 2012 di quasi 18mila euro: in altri termini, ad un valdostano si può attribuire un prodotto nel 2012 di quasi 18mila euro superiore a quello di un calabrese.
In netta flessione sia consumi che investimenti e le esportazioni, pur in crescita, non riescono ad incidere sull'andamento negativo del Pil meridionale. I consumi finali interni nel 2012 sono crollati al Sud del -4,3%, oltre mezzo punto percentuale in più rispetto al Centro-Nord (-3,8%). In forte calo anche i consumi delle famiglie, -4,8% al Sud, contro il -3,5% dell'altra ripartizione. Giù anche gli investimenti: - 8,6% al Sud, rispetto al pur negativo -7,8% dell'altra ripartizione, che segue al -3,9% dell'anno precedente.
Secondo stime SVIMEZ aggiornate a settembre 2013, nel 2013 il Pil italiano dovrebbe calare dell'1,8%, quale risultato del -1,6% del Centro-Nord e del -2,5% del Sud.

Il Sud è anche la terra dei contrasti. A fronte infatti di un "deserto industriale", il Mezzogiorno si rivela leader indiscusso nelle energie rinnovabili. In particolare il nel 2007 il livello di valore aggiunto dell’industria meridionale era fermo ai valori del 2001, mentre dal 2001 al 2007 nelle aree arretrate della Germania e della Spagna è cresciuto rispettivamente del 40% e del 10%. Dal 2007 al 2012 secondo valutazione SVIMEZ il manifatturiero al Sud ha ridotto il proprio prodotto del 25%, i posti di lavoro del 24% e gli investimenti addirittura del 45%. Il valore aggiunto del manifatturiero sul totale al Sud è sceso dall'11,2% del 2007 al 9,2% del 2012, un dato ben lontano dal 18% del Centro-Nord e dal target europeo del 20%.
Per contro il Sud presenta a livello nazionale un vantaggio competitivo in termini di potenza prodotta dalle nuove rinnovabili (solare, eolico e biomasse) già oggi del 55% (Puglia 16,9%, Sicilia 11,5% e Campania 7,3%), con punte del 97% per l'eolico, e con un enorme potenziale non sfruttato in campo geotermico.

La situazione è comunque grave, visto che, sempre secondo il Rapporto SVIMEZ, gli occupati al Sud sono meno di 6 milioni, come nel 1977, anche se la flessione dell'occupazione ha investito tutto il Paese. Crescono invece gli stranieri occupati: + 83mila rispetto al 2011, concentrati sorattutto al Nord, dove sfiorano il 12% del totale. Il mercato del lavoro italiano continua a deteriorarsi: ancora nel primo trimestre 2013 il Sud ha perso 166mila posti di lavoro rispetto all’anno precedente, 244mila il Centro-Nord. Gli occupati nel Mezzogiorno scendono quindi nei primi mesi del 2013 sotto la soglia dei 6 milioni: non accadeva da 36 anni, dal 1977. Nel 2012 il tasso di occupazione in età 15-64 è stato del 43,8% nel Mezzogiorno e del 63,8% nel Centro-Nord. A livello regionale il tasso più alto si registra in Abruzzo (56,8%), il più basso in Campania, dove lavora solo il 40% della popolazione in età da lavoro. In valori assoluti, la Sicilia perde 38mila occupati, 11mila la Calabria, 6mila la Sardegna, 3mila la Basilicata.
Quanto al tasso di disoccupazione registrato ufficialmente nel 2012 è stato del 17% al Sud e dell’8% al Centro-Nord, a testimonianza del permanente squilibrio strutturale del nostro mercato del lavoro.

La diversa distribuzione dei redditi fra Nord e Sud fa emergere come è nel Mezzogiorno che si concentrano le sacche di povertà più grandi. Nel 2012 il 14% delle famiglie meridionali guadagna meno di mille euro al mese, quasi tre volte più del Centro-Nord (5%), in particolare il 12,8% delle famiglie calabresi, il 15% delle campane, il 16,7% delle lucane e il 19,7% delle siciliane. Il 62% delle famiglie meridionali, cioè due su tre, appartengono alle classi più povere. In Sicilia, Calabria, Campania e Basilicata il 40% delle famiglie è poverissimo. Ad aggravare la povertà delle famiglie concorrono sia la disoccupazione che il numero dei familiari a carico. Quasi il 50% delle famiglie meridionali è infatti monoreddito, con punte del 58% in Sicilia, e il 15% (con punte del 18,5% in Basilicata) ha un disoccupato in casa. Ma, anche se lavorano due persone in famiglia, nel Mezzogiorno il rischio povertà interessa ben il 23% delle famiglie, quattro volte di più del Centro-Nord (6,5%). In valori assoluti, nel 2012 790mila famiglie meridionali sono a rischio di povertà assoluta. [Fonte r.a./aise]

"L'Italia si faccia sentire a Bruxelles" - "Non ci può essere ripresa in Italia se non si risolve il nodo storico del Mezzogiorno riportando al centro dell'agenda politica un tema che sembra scomparso". Così il ministro della Coesione territoriale Carlo Trigilia commentando i dati dell'ultimo rapporto Svimez. Dati "tutti negativi ma che però non devono farci paura" ha detto ancora.
"Ora che l'Italia ha fatto i compiti qualche pugno sul tavolo di Bruxelles può e deve batterlo", ha detto Trigilia sostenendo che i fondi nazionali per il co-finanziamento dei progetti legati ai fondi di sviluppo e coesione e ai fondi strutturali poiché sono legati alla spesa in conto capitale devono essere "scorporati dal deficit". Il nodo dei fondi però - ha sottolineato - è che devono "essere utilizzati bene" non "come marmellata".

"Serve un principio di coordinamento perché il sistema così com'è non funziona. Dobbiamo cambiarlo subito per usare queste risorse in modo più efficace" ha detto il ministro sottolineando che "occorre una visione di sviluppo del Paese in generale, se non si abbandona la logica del 'particulare' non ne usciamo". "Con l'Agenzia per la coesione Territoriale (che diventerà operativa nel marzo 2014) dobbiamo identificare tre o quattro grandi obiettivi tematici sui quali convogliare l'80% dei fondi" ha detto il ministro. Fondi previsti nella misura di 100 miliardi di euro per il nuovo piano di programmazione (2014-2020) così ripartiti: 54 miliardi fondi di Sviluppo e Coesione (ex Fas), 28 miliardi Fondi strutturali europei e 50% di co-finanziamento dei fondi strutturali.
Triglia ha anche richiamato la responsabilità del governo centrale che "una volta assegnati i fondi deve avere il potere di controllo sul loro utilizzo e di sanzionare quelle amministrazioni che non rispettano gli impegni". "Oggi - ha aggiunto riferendosi in particolare alla sanità - stanno pagando i cittadini meridionali con un aumento delle tasse. Invece dovrebbero pagare i responsabili degli sprechi e dei buchi di bilancio". Trigilia ha anche spezzato una lancia in favore della vituperata Cassa per il Mezzogiorno. "Quello che ha fatto negli anni Cinquanta è stato fatto molto bene, dobbiamo ripartire da lì", ha detto. [Informazioni tratte da ANSA, Lasiciliaweb.it]

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18 ottobre 2013
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