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Sul ''dirompente'' archivio di Gioacchino Genchi

Francesco Rutelli: ''Esiste un archivio informatico imponente che non è stato distrutto''

13 febbraio 2009

Sono "dirompenti" gli elementi che emergono dalle acquisizioni del Copasir (Comitato parlamentare per la Sicurezza della Repubblica) sulla vicenda dell'archivio informatico di Gioacchino Genchi. A sottolinearlo è stato lo stesso presidente dell'organismo parlamentare, Francesco Rutelli, dopo aver consegnato la relazione sull'argomento ai presidenti delle Camere.
Allo stesso tempo Rutelli invita a salvaguardare l'operatività della magistratura, auspicando che gli elementi in possesso del Copasir non siano presi a pretesto per limitare la capacità di investigazione.
Al termine del suo incontro di ieri con il presidente del Senato Renato Schifani (che si è svolto per oltre un'ora), il presidente del Copasir Rutelli, ha espresso ''soddisfazione'' per il lavoro svolto in queste settimane dal Comitato parlamentare. "Voglio ringraziare - ha sottolineato Rutelli in una nota - tutti i componenti del Comitato che hanno lavorato in condizioni difficili, rispettando la consegna della riservatezza e che, dal primo all'ultimo passaggio, hanno dato un contributo unitario e di grande responsabilità".
''L'acquisizione di dati che - ha puntualizzato Rutelli - riguardano centinaia di migliaia di cittadini, il tracciamento per 20 mesi degli spostamenti del Capo dei servizi segreti italiani (Nicolò Pollari, direttore del Sismi fino al 15 dicembre 2006, ndr), l'ottenimento dei tabulati del capo della investigazione contro la mafia (all'insaputa dello stesso pm che conduceva le indagini) sono alcuni tra i principali elementi dirompenti - così li ha definiti Rutelli - che abbiamo accertato e che meritano una riflessione molto severa''.

Nell'archivio Genchi, consulente in varie inchieste giudiziarie tra cui "Why Not" e "Poseidone" dell'ex pm Luigi de Magistris, c'erano anche "52 utenze telefoniche fisse e mobili riconducibili al Consiglio superiore della magistratura e di 14 utenze fisse del Segretariato generale della presidenza della Repubblica", oltre a quelle del procuratore nazionale antimafia, di magistrati della Direzione nazionale antimafia e della Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, di tredici parlamentari, tra cui l'allora presidente del Consiglio Romano Prodi, il ministro e il viceministro dell'Interno e il ministro della Giustizia, di cinque partiti o gruppi politici, della Camera e del Senato (segreteria del presidente), dei vertici della Guardia di finanza, del capo degli ispettori del ministero della Giustizia e dell'ambasciata degli Stati Uniti in Italia.
Tra i tabulati acquisiti da Genchi c'erano anche quelli relativi alle utenze di Giuliano Tavaroli e Fabio Ghioni, ex responsabili della security di Telecom e Pirelli e coinvolti nell'inchiesta sui dossier illegali, e all'utenza di Adamo Bove, responsabile della sicurezza di Telecom Italia Mobile, mai indagato e morto suicida a Napoli nel luglio 2006.

"Esiste un archivio informatico imponente che non è stato distrutto - ha detto ancora il presidente del Comitato per la Sicurezza della Repubblica - che riguarda un grande numero di cittadini italiani che non sono mai stati indagati. La relazione che abbiamo trasmesso contiene analisi di lacune e criticità che hanno comportato rischi per l'efficienza dei servizi segreti, e proposte che il Parlamento potrà esaminare al fine di risolverle". "Credo che nessuno vorrà prendere a pretesto i fatti contenuti nella nostra relazione per ridurre in alcun modo l'operatività e la capacità di investigazione della magistratura, che ha bisogno anche della acquisizione di dati di traffico telefonico che possono e debbono, a mio giudizio, essere usati con tutte le garanzie". "Abbiamo trovato nel presidente della Camera Fini e del Senato Schifani grande attenzione e ho fiducia - ha concluso Rutelli - che il Parlamento possa rispondere in modo sereno ed efficace".

IL PERSONAGGIO - Giacchino Genchi, vicequestore della polizia in aspettativa sindacale da circa 10 anni e consulente di molte Procure, vive in un bunker tecnologico di 500 metri quadri in un seminterrato di Palermo. Nel 1988 era capo della Direzione della zona tlc del ministro dell'Interno della Sicilia occidentale, voluto dall'allora capo della polizia Vincenzo Parisi. Nell'indagine sulla strage di Via D'Amelio controllò oltre due miliardi di tracce.

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, Corriere.it]

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13 febbraio 2009
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