Sulla liberazione degli ostaggi
Emergency: ''sarebbero stati consegnati agli americani dietro pagamento. Il blitz, tutta una farsa.''
Che dietro la presa in ostaggio di due mesi fa dei quattro italiani, ci fosse poca chiarezza lo si era capito il giorno stesso dell'ufficializzazione del rapimento.
Qualche giorno prima, come si ricorderà, le agenzie di informazione in Iraq avevano annunciato il rapimento di quattro italiani, notizia che fu smentita nel giro di poche ore.
Il rapimento avvenne qualche giorno dopo.
Dal primo video mandato dai rapitori all'emittente del Qatar, Al Jazeera, fino alla recente liberazione dei tre ostaggi italiani rimasti, c'è stato un contino balletto di conferme e smentite che ha infoltito ancora di più il mistero che cela la verità sulla prigionia di Stefio, Agliana, Cupertino durata 58 giorni e sull'uccisione di Fabrizio Quattrocchi avvenuta dopo qualche settimana.
Oggettivamente poco chiara è stata l'improvvisa liberazione.
Dalle dichiarazioni piene di silenzi e "no comment" del generale Sanchez, comandante delle forze Usa in Iraq e coordinatore del blitz, che non ha negato né confermato se tra le teste di cuoio si contassero polacchi, al presunto "ruolo centrale" dell'intelligence italiana; dalla Polonia che far sapere che l'operazione è stata portata a termine grazie contributo del Grom (un gruppo speciale poco conosciuto fuori dalla Polonia), e che proprio dai servizi segreti polacchi già da diversi giorni i sequestratori era sotto stretta sorveglianza, alla misteriosa discrepanza fra le comunicazioni americane e quelle polacche, sul luogo del rilascio, gli elementi per far nascere selvaggi sospetti su quello che si è voluto fare credere come verità ci sono tutti.
Tanto più che ieri (10 giugno) "Peacereporter", agenzia Internet diretta da Maso Notarianni di Emergency, ha riportato la testimonianza di un iracheno che ha detto che gli ostaggi italiani e il polacco non sono stati liberati in un blitz ma di fatto consegnati dopo un accordo.
La testimonianza, tutta da verificare, è del "Signor Fahad", che sarebbe stato testimone oculare della liberazione. "Quella casa al numero 17 di Zaitun Street era disabitata da almeno due mesi. Fino a lunedì sera tardi quando, intorno alle 23, si è sentito un gran trambusto. Io, che abito al 13, ho visto arrivare alcune auto e fermarsi davanti a quella casa. Sono entrate un po’ di persone. Era buio, non abbiamo visto bene. Poco dopo se ne sono andati via ed è tornata la calma".
"Il mattino seguente - prosegue il signor Fahad - intorno alle 9:30, sono arrivate cinque auto militari americane, di colore verde oliva. Si sono fermate davanti a quella casa. Ne sono scesi alcuni uomini vestiti in abiti civili e con gli occhiali scuri. Erano sicuramente uomini del mukhabarat (servizio segreto, n.d.r.) americano. Hanno aperto la porta dell’abitazione, senza forzarla, come se fosse già aperta, e sono riusciti subito con solo quattro uomini, che poi abbiamo saputo essere i tre ostaggi italiani e un ostaggio polacco. Li hanno caricati su un furgoncino bianco e se ne sono andati via. Il tutto con la massima calma. Non è stato sparato un colpo. Nella casa, a parte gli ostaggi, evidentemente non c’era più nessuno. Non è stato assolutamente un blitz militare come è stato annunciato tre ore dopo. Quelli sono tutta un’altra cosa. Lì si è trattato di una semplice presa in consegna. Gli americani sono andati lì a colpo sicuro. Sapevano che gli ostaggi erano stati portati lì, si erano messi d’accordo. Il vostro governo ha pagato un riscatto: nove milioni di dollari. Qui ormai lo sanno tutti. Adesso però basta parlare al telefono, non è sicuro".
E proprio a Zaitun street era diretto l'inviato di "Repubblica", Daniele Mastrogiacomo, rimasto vittima di un attacco, sempre nella giornata di ieri, mentre stava cercando informazioni proprio sul covo degli ostaggi italiani.
Appena data la notizia, il leader di An, Gianfranco Fini, ha subito ribadito che "non c'è stata nessuna trattativa" per la liberazione dei tre italiani rapiti in Iraq spiegando che "sono stati aperti canali di dialogo non con i rapitori, ma con ambienti iracheni, soprattutto religiosi, disponibili a collaborare per garantire il rilascio degli italiani: quegli stessi canali, penso, che ci hanno consegnato il corpo di Quattrocchi". Fini ha ribadito che "non c'è stata nessuna strumentalizzazione della vicenda degli ostaggi" e ha invitato Gino Strada "a presentare, se le ha, le prove di quello che dice. E' l'unico modo per evitare illazioni che non hanno ragione di esistere".
E sembra proprio che ieri sia stata una giornata di rivelazioni e scoperte che hanno ulteriormente gettato ombre impenetrabili su tutto la vicenda. Si è reso noto, infatti, il testo di un messaggio dei sequestratori, che avrebbe dovuto accompagnare il video dell'uccisione di Stefio, Agliana e Cupertino.
La volontà dei sequestratori, infatti, era quella di uccidere i tre ostaggi italiani.
"Col favore di Dio si applica oggi la legge del taglione mediante l'epurazione degli ostaggi italiani per fornire una risposta all'arrogante presidente italiano Berlusconi. Con ciò ci auguriamo che il popolo italiano, che si considera libero, capisca dove porti il cammino per la sua libertà lungo il sentiero dell'ostilità e delle prevaricazioni sul genere umano. Questa è una libera decisione della Resistenza sulla quale si è deliberato alle 22. Seguirà la diffusione di una registrazione dell'esecuzione". E' questo il testo completo del messaggio, firmato brigata Al Quds, che porta la data di "sabato 17/4/1425 corrispondente al 5 giugno 2004".
A pubblicarlo, secondo fonti investigative, è stato il sito "Ansar Al Islam", che era stato oscurato dopo la decapitazione dell'ostaggio americano Nick Berg. Una rivendicazione che, secondo gli inquirenti, viene ritenuta "verosimile".
Gino Strada racconta la sua verità: la trattativa di Emergency la soluzione vicina, il finale a sorpresa
Intervista rilasciata al quotidiano "la Repubblica"
Gino Strada, con la sua Emergency, è stato uno dei canali di trattativa "in chiaro" per la liberazione degli ostaggi. Nelle prime tre settimane di maggio, Strada, con sua figlia Cecilia e Tommaso Notarianni, ha negoziato a Bagdad con quattro fonti irachene. Ripartendone con una certezza. Che Agliana, Cupertino e Stefio sarebbero stati liberati "senza condizioni". Oggi dice: "Ci è stato detto che quando la vicenda era ormai risolta, qualcuno ha pagato 9 milioni di dollari... Che gli ostaggi sono stati di fatto consegnati agli americani".
Chi ha pagato?
"Non so chi ha tirato fuori i soldi. So i nomi dei mediatori che, mi viene detto, li hanno maneggiati. Non ho difficoltà a farli, perché Emergency non è un servizio segreto e quel che ha fatto lo ha fatto in modo trasparente. Abbiamo lavorato per la liberazione degli ostaggi con la stessa logica con cui lavoriamo nei nostri ospedali. Siamo stati testimoni diretti di una storia che ha incrociato il nostro cammino. E ora che gli ostaggi sono sani e salvi posso raccontarla".
Chi ha maneggiato i 9 milioni?
"Un uomo di nome Salih Mutlak. Personaggio noto a Bagdad per essersi arricchito con il contrabbando nei dieci anni di embargo. Un nome che ho sentito la prima volta ad Amman, in Giordania".
Cosa seppe ad Amman?
"Incontrai Jabbar Al Kubaissi, un ex esiliato con cui Emergency aveva avuto rapporti in passato. Gli spiegai che Emergency non era disposta a trattare il rilascio degli ostaggi, ma lo riteneva un atto dovuto come gesto di riconoscenza umanitario per aver curato 300 mila iracheni negli anni dell'embargo. Kubaissi convenne sulle mie richieste. Mi fece capire che la testa "politica" del gruppo dei sequestratori sarebbe stata disposta ad un rilascio senza condizioni nelle mani di pacifisti italiani. Ma aggiunse che c'era un problema. Qualcuno tra i carcerieri era sensibile alle sirene del denaro. E che questo canale di trattativa era nelle mani di tale Salih Mutlak. Sapemmo, una volta a Bagdad, che Mutlak aveva rapporti con Abdulsalam Kubaissi, religioso del Consiglio degli Ulema, e che con lui aveva lavorato alla liberazione degli ostaggi giapponesi".
A Bagdad avete incontrato questo Mutlak?
"Ovviamente no. La nostra linea era opposta. Nessuna trattativa economica. Cercammo interlocutori in grado di parlare alla componente politica di chi gestiva il sequestro. Per tutte e tre le settimane della nostra permanenza a Bagdad, i nostri contatti furono un imam di Bagdad, l'imam di Falluja, il fratello di Jabbar Kubaissi, Ibraim, medico di Abu Ghraib, e un terzo uomo, di cui non faccio il nome perché oggi rischia la sua vita".
Erano in contatto diretto con i sequestratori?
"Questo è quello che capimmo. E ritengo di non essermi sbagliato".
Vi diedero delle prove dell'esistenza in vita degli ostaggi?
"No. All'inizio ci proposero di utilizzare dei video da mandare ad Al Jazeera come canale di comunicazione. Ma rifiutammo".
Dunque non è vostro il biglietto che Stefio mostrava nel video del 31 maggio e mai mandato in onda da Al Jazeera.
"Non mi risulta fosse nostro".
Torniamo alle vostre fonti a Bagdad.
"L'ultima settimana di maggio, dopo aver ricevuto assicurazioni che i sequestratori avevano deciso il rilascio degli ostaggi, con tempi e modi che non ci furono indicati, decisi di rientrare in Italia. Vivevo da tre settimane in un residence e l'aria si era fatta pesante. Per dodici giorni, fino a sabato scorso, 5 giugno, non seppi più nulla. Poi, quel sabato, ricevetti una telefonata dal nostro rappresentante a Bagdad".
Cosa le disse?
"L'imam di Falluja aveva comunicato che la questione era risolta. Di attendere una liberazione imminente".
Cosa che è avvenuta.
"Certo. Ma non nei tempi ipotizzati dall'Imam. Martedì 8, nelle stesse ore in cui il nostro rappresentante a Bagdad parlava con l'imam per aver qualche notizia sugli ostaggi, Agliana, Cupertino e Stefio venivano liberati. Cademmo dal pero. Chiedemmo spiegazioni. Cosa era successo?".
Già, cosa era successo?
"Ci è stato detto che i 9 milioni incassati da Mutlak avevano convinto una parte del gruppo a trasferire gli ostaggi dalla prigione di Ramadi ad Abu Ghraib e a consegnarli agli americani con un finto blitz inscenato in una casa di Zaitun street. La strada dove ha provato ad avvicinarsi ieri il vostro cronista prima che provassero a sequestrarlo. Un testimone che abbiamo raggiunto, tale Fahad, ci ha confermato di aver visto la presa in consegna di Agliana, Cupertino, Stefio e del polacco la mattina dell'8 giugno".
Il polacco sostiene di essere stato liberato a Ramadi. E gli ostaggi italiani di non essere stati trasferiti di prigione negli ultimi giorni precedenti il blitz. Sono circostanze che non tornano.
"Io ho appena raccontato quel che so...".