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Svolta nella nuova inchiesta sulla strage di via D'Amelio

Ordinanze di custodia cautelare in carcere per il boss Salvatore Madonia, Vittorio Tutino e Salvatore Vitale.

08 marzo 2012

Arriva ad una svolta la nuova inchiesta per la strage di via D'Amelio che il 19 luglio del 1992 provocò la morte del giudice Paolo Borsellino e di cinque agenti della sua scorta: Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina e Eddi Walter Cusina. Nella notte la Direzione investigativa antimafia di Caltanissetta, su richiesta del Procuratore capo Sergio Lari, ha eseguito quattro ordinanze di custodia cautelare in carcere. I provvedimenti, firmati dal gip Alessandra Giunta, sono stati notificati al capomafia palermitano Salvatore Madonia, 51 anni, detto 'Salvuccio', a Vittorio Tutino, 41 anni, a Salvatore Vitale, 61 anni, tutti già detenuti e all'ex pentito di Sommatino, Calogero Pulci, 52 anni. Secondo i magistrati, Salvuccio Madonia sarebbe uno dei mandanti della strage.
Il collaboratore di giustizia Pulci, è accusato solo di calunnia aggravata. Nell'ambito del processo "Borsellino Bis" accusò falsamente Gaetano Murana, di aver partecipato alle fasi esecutive dell'attentato di via D'Amelio. Murana venne poi condannato all'ergastolo, e scarcerato solo pochi mesi fa dopo quasi vent'anni di carcere.

Determinante, per la nuova inchiesta della Dda di Caltanissetta, si è rivelata la collaborazione del pentito di mafia Gaspare Spatuzza, l'ex killer di Brancaccio che rubò la Fiat 126 poi imbottita di esplosivo. Il collaboratore ha deciso solo due anni fa di raccontare la verità su via D'Amelio ai giudici e da allora sono emersi nuovi ed eclatanti retroscena. Lo stesso pentito è indagato, così come Madonia, Tutino e Vitale, per strage aggravata.
La Procura di Caltanissetta aveva chiesto l'arresto di una quinta persona, il meccanico Maurizio Costa, a cui Spatuzza si rivolse per sistemare i freni della Fiat 126, ma il gip ha rigettato la misura. Costa resta indagato a piede libero per favoreggiamentro aggravato.

Il Gip di Caltanissetta, nell'ordinanza notificata questa notte, contesta a 'Salvuccio' Madonia anche l'aggravante di aver organizzato la strage di via D'Amelio per fine terroristici, con la finalita' di indurre lo Stato a trattare con Cosa nostra sotto l'urto di un'azione eclatante. L'aggravante viene contestata anche ai presunti esecutori della strage di via D'Amelio, Vittorio Tutino, Salvatore Vitale e il pentito Gaspare Spatuzza.
E' la prima volta che questo tipo di reato è ipotizzato per le stragi di mafia commesse nel 1992 a Palermo. Secondo il Gip Alessandra Bonaventura Giunta, che ha firmato l'ordinanza cautelare, "deve ritenersi un dato acquisito quello secondo cui a partire dai primi giorni del mese di giugno del 1992 fu avviata la cosiddetta 'trattativa' tra appartenenti alle istituzioni e l'organizzazione criminale Cosa nostra". Il giudice sottolinea come, però, "con riferimento al possibile coinvolgimento nella strage di via D'Amelio di soggetti esterni a Cosa nostra non sono emersi elementi di prova utili a formulare ipotesi accusatorie concrete a carico di individui ben determinati".
Il giudice invita, dunque, a "non parlare di conclusione della vicenda", ritenendo che occorrono "ulteriori approfondimenti", perché, spiega, "le indagini sulla strage sono state vulnerate dalla velenosa convergenza di fonti infide, fonti reticenti, silenzi e contorti comportamenti di soggetti, purtroppo anche appartenenti alle Istituzioni, che hanno compromesso il difficile percorso di accertamento dei fatti, prima ancora che delle responsabilità".
Il Gip sottolinea come l'inchiesta sia frutto di "un lungo e meticoloso lavoro investigativo condotto per tre anni dalla Dda della Procura di Caltanissetta" che "ha svolto un pregevole lavoro".
L'inchiesta è coordinata dal procuratore capo di Caltanissetta, Sergio Lari, dagli aggiunti Amedeo Bertone e Domenico Gozzo, e dai sostituti Nicolò Marino, Gabriele Paci e Stefano Luciani.

Le accuse contestate - Salvatore Madonia, 56 anni, già detenuto, è accusato di essere il mandante in qualità di componente della commissione provinciale di Cosa nostra di Palermo, presieduta da Totò Riina. In questo ruolo avrebbe partecipato a quella tenutasi tra il novembre e il 13 dicembre del 1991 in cui Cosa nostra avrebbe deliberato l'esecuzione di un programma stragista che prevedeva, tra l'altro, l'uccisione, con un attentato del giudice Paolo Borsellino.
Il pentito Gaspare Spatuzza, 48 anni, Vittorio Tutino, 46, e Salvatore Vitale, 66, sono accusati, come ha ricostruito lo stesso collaboratore di giustizia, di essere tra gli esecutori materiali della strage. Nell'azione avrebbero avuto un ruolo anche tre persone che sono state già giudicate (Cristoforo Cannella, Lorenzo Tinnirello e Francesco Travaglia), un'altra per cui si procede separatamente (Fabio Tranchina) ed altri appartenenti al mandamento di Brancaccio. Secondo l'accusa Spatuzza e Tutino avrebbero rubato la Fiat 126 usata poi come autobomba e procurato due batterie e un'antenna necessari per alimentare e collegare i dispositivi destinati a fare brillare l'esplosivo collocato nell'auto.
Vitale sarebbe stato l'informatore del clan, fornendo al gruppo indicazioni indispensabili sulla presenza e le abitudini del giudice Paolo Borsellino, aiutato dal fatto di abitare in un appartamento al piano terra dello stesso edificio di via Mariano D'Amelio, e avrebbe facilitato il posteggio dell'autobomba davanti l'ingresso dello stabile. I quattro sono indagati per strage aggravata continuata in concorso e di fabbricazione, porto e detenzione di esplosivo.
Nell'inchiesta anche l'ex boss di Sommatino ed ex collaboratore di giustizia Calogero Pulci che è accusato di calunnia aggravata. Secondo la tesi della Procura di Caltanissetta, accolta dal Gip nisseno, nel corso dell'esame dibattimentale, in grado d'appello, del processo 'Borsellino-bis' per la strage di via D'Amelio, accusò falsamente Gaetano Murana, pur sapendolo innocente, di avere partecipato alle fasi esecutive dell'attentato, rifendo che, durante un colloquio in carcere, Murana gli avrebbe detto che "il lavoro l'abbiamo fatto noi della Guadagna".

"Paolo Borsellino ucciso perchè sapeva della trattativa" - Il giudice Paolo Borsellino sapeva dell'esistenza di una trattativa tra lo Stato e la mafia. Ne sono convinti i magistrati di Caltanissetta che lo hanno scritto nell'ambito dell'inchiesta che all'alba di oggi ha portato all'arresto dei quattro mafiosi.
Dalle indagini emerge "che della trattativa era stato informato anche il dottor Borsellino il 28 giugno del 1992. Quest'ultimo elemento aggiunge un ulteriore tassello all'ipotesi dell'esistenza di un collegamento tra la conoscenza della trattativa da parte di Borsellino, la sua percezione quale 'ostacolo' da parte di Riina e la conseguente accelerazione della esecuzione della strage", scrivono i pm nisseni facendo riferimento alla testimonianza di Liliana Ferraro, l'ex direttore generale del Ministero della Giustizia.
Secondo i magistrati nisseni Borsellino venne ucciso perché era ritenuto dal boss Toto' Riina come un "ostacolo" alla trattativa tra Stato e mafia. Una trattativa che "sembrava essere arrivata su un binario morto" che il boss dei boss voleva "rivitalizzare" con una sanguinaria esibizione di potenza.
"La tempistica della strage - scrive il giudice Bonaventura Giunta - è stata certamente influenzata dall'esistenza e dall'evoluzione della così detta trattativa tra uomini delle Istituzioni e Cosa nostra". Secondo la Procura di Caltanissetta, "questa conclusione è legittimata, tra l’altro, dalle dichiarazioni rese dal collaboratore di giustizia Giovanni Brusca a proposito dell'ordine ricevuto da Salvatore Riina di sospendere, nel giugno 1992, l'esecuzione dell'attentato omicidiario nei confronti dell'on. Calogero Mannino perché c’era una vicenda più urgente da risolvere".

Mannino, ex ministro democristiano e segretario della Dc siciliana, è stato di recente iscritto nel registro degli indagati dalla Procura di Palermo nell'ambito dell’inchiesta sulla trattativa, per ipotetiche pressioni che avrebbe esercitato all’epoca delle stragi per un ammorbidimento del regime carcerario del 41 bis.
L'ordine dato dal boss corleonese di interrompere la preparazione dell'agguato contro Mannino, secondo i magistrati di Caltanissetta, "appare rivelatore della decisione da parte del Riina quanto meno di anticipare l'esecuzione del progetto omicidiario già deliberato - dalla commissione provinciale di Palermo di cosa nostra nel dicembre del 1991 - nei confronti del dottor Paolo Borsellino".

Borsellino, due giorni dopo la strage di Capaci, aveva incontrato il capo del Ros dei carabinieri Mario Mori e il capitano Giuseppe De Donno, e "il primo luglio 1992, con certezza, il dottor Borsellino aveva incontrato al Ministero dell'Interno il capo della polizia Parisi ed il Prefetto Rossi, nonchè il ministro Mancino", ricostruiscono i Pm a proposito dei contatti istituzionali del magistrato nei giorni dell'approccio dei carabinieri con l'ex sindaco mafioso di Palermo, Vito Ciancimino, indicato come il tramite della trattativa. Interrogato il 17 marzo 1993, Ciancimino tentò però di collocare l'inizio della trattativa in un momento successivo all'attentato di via D'Amelio e riferì "di avere cominciato i colloqui con De Donno dopo la strage Borsellino, in ciò andando contro le stesse successive ammissioni del capitano De Donno, e contro le stesse dichiarazioni del colonnello Mori, che riferiscono entrambi di un inizio dei colloqui con Vito Ciancimino da parte di De Donno già nel mese di Giugno del 1992". Interrogato dai magistrati, Brusca sull'anticipazione dell'attacco contro Borsellino, ha detto: "Non ho mai parlato con Riina del fatto che il dottor Borsellino sia stato ucciso in quanto ostacolo alla trattativa. Si tratta di una mia interpretazione basata sulla conoscenza che ho dei fatti di cosa nostra ma anche delle vicende processuali cui ho partecipato. Mi venne detto da Riina che vi era "un muro" da superare ma in quel momento non mi venne fatto il nome di Borsellino. È sicuro, comunque, che vi fu un'accelerazione nell'esecuzione della strage", ha detto ancora Brusca, interrogato dai magistrati.

Ecco perché il "caso" con è ancora concluso - Quello di cui si da oggi notizia è incontestabilmente un primo importante passo avanti per fare luce sui misteri che vent'anni dopo ancora si addensano attorno a via d'Amelio. Ma è solo un primo importante passo avanti. Sono, infatti, ancora tanti i misteri che devono essere svelati, per questo il Gip di Caltanissetta, Alessandra Bonaventura Giunta, ha invitato esplicitamente a "non parlare di conclusione della vicenda".
Con la nuova inchiesta, i Pm nisseni hanno ricostruito non solo la fase esecutiva della strage, ma affrontato anche i delicati capitoli del movente e dell'eventuale coinvolgimento di uomini delle istituzioni.
Ad esempio, il primo dei misteri ancora da risolvere riguarda un particolare raccontato da Gaspare Spatuzza ai magistrati. Il pentito ai Pm ha spiegato di aver portato l'auto in un garage di via Villasevaglios, per essere caricata di esplosivo. Era il giorno prima della strage. Assieme ad altri mafiosi c'era un uomo che Spatuzza non aveva mai visto. Scrivono i pm: "Non è allo stato possibile affermare che l'uomo notato da Spatuzza fosse un uomo appartenente ai servizi di sicurezza per il solo fatto che il collaboratore non ebbe a riconoscerlo come appartenente a Cosa nostra". I magistrati aggiungono però: "Non si può escludere allo stato l'ipotesi di un coinvolgimento nella fase preparatoria della strage di personaggi "riservati", ignoti a Spatuzza".

Il secondo mistero riguarda l'agenda rossa di Borsellino, scomparsa sul luogo della strage. In quelle pagine, probabilmente, il giudice aveva annotato la sua ultima scoperta dopo la morte dell'amico Giovanni Falcone. Non sappiamo con precisione cosa, però adesso le indagini di Caltanissetta dicono che Borsellino sapeva dei primi contatti intrapresi da alcuni carabinieri del Ros con l'ex sindaco Vito Ciancimino (contatti che poi si sarebbero trasformati in una trattativa Stato-mafia ancora oggi dai contorni poco chiari). Lo riferisce ai pm il magistrato Liliana Ferraro, che qualche tempo prima era stata avvicinata proprio da un ufficiale del Ros: "Vidi Borsellino il 28 giugno e affrontai l'argomento", precisa la Ferraro. Il giorno dopo, Borsellino incontrò altri due colleghi magistrati, Alessandra Camassa e Massimo Russo. "Si distese sul divanetto del suo ufficio - ha messo a verbale la Camassa - e mentre gli sgorgavano le lacrime dagli occhi, disse: 'Non posso pensare che un amico mi abbia tradito'". Massimo Russo ha aggiunto: "Qualche giorno prima era stato a Roma e aveva avuto un pranzo, forse una cena, con alti ufficiali dei carabinieri. Fu lo stesso Borsellino a parlarcene a un certo punto". Sia la Camassa che Russo pensarono che il traditore fosse a quella cena. E adesso lo pensano anche i magistrati di Caltanissetta: "E' probabile - scrivono - che il traditore fosse tra le persone incontrate".
Così, dopo i verbali di Camassa e Russo, i pm inseriscono nella loro ricostruzione le dichiarazioni della moglie di Borsellino, Agnese. "Il 15 luglio, verso sera, conversando con mio marito in balcone lo vidi sconvolto, mi disse testualmente: "Ho visto la mafia in diretta, perché mi hanno detto che il generale Subranni era 'punciutu'". Tre giorni dopo, durante una passeggiata sul lungomare di Carini, mi disse che non sarebbe stata la mafia ad ucciderlo, della quale non aveva paura, ma sarebbero stati i suoi colleghi ed altri a permettere che ciò potesse accadere".
"Punciutu", vuole dire mafioso. I pm osservano: "Un'inquietante confidenza in relazione alla figura del generale Subranni, capo del Ros dei carabinieri, proprio la struttura che stava conducendo la cosiddetta trattativa". Per questa ragione, Subranni è indagato dalla Procura di Caltanissetta per concorso esterno in associazione mafiosa.
Risentita nuovamente dai pm, la signora Borsellino ha aggiunto un ricordo: "Mio marito non mi parlò mai di trattativa, ma a metà giugno mi fece cenno a un colloquio tra la mafia e parti infedeli dello Stato".

Ancora "metà giugno", il periodo in cui Giuseppe Graviano avviò i preparativi per la strage, incaricando Spatuzza di rubare la 126. Ecco il dilemma che si pongono i magistrati: "La trattativa fu tra i motivi aggiuntivi che hanno spinto Cosa nostra ad effettuare proprio nel luglio 1992 la strage di via d'Amelio per mera leggerezza di chi a quella trattativa ha partecipato? Ovvero (purtroppo) qualche 'servitore dello stato infedele' si spinse sino al punto di additare volontariamente il dottor Borsellino come ostacolo al buon fine della trattativa?". Dopo aver riletto le dichiarazioni del pentito Giovanni Brusca i magistrati di Caltanissetta propendono per l'ipotesi più drammatica, "che qualcuno abbia riferito a Cosa Nostra che Borsellino era di ostacolo alla prosecuzione della trattativa". Così, il tentativo di bloccare le stragi si sarebbe trasformato nel più grande pasticcio (ovvero patto scellerato) della Repubblica. La conclusione dei pm è amara: "Alcuni significativi risultati Cosa nostra li ha ottenuti. Si è accertato che i provvedimenti di carcere duro, i cosiddetti 41 bis, sono scesi vertiginosamente, dai 1200 in vigore alla fine del 1992 ai circa 400 alla metà del 1994". Chi decise? I pm non credono alla versione dell'ex Guardasigilli Giovanni Conso, che si è assunto la totale responsabilità di quella scelta. Così, ancora una volta, l'indagine torna nel cuore dello Stato.

Il "supertestimone" Massimo Ciancimino - Un contributo importante per risolvere i misteri di quei mesi i pm di Caltanissetta si aspettavano dal figlio dell'ex sindaco di Palermo. Ma Ciancimino junior ha deluso, e non poco. I pm sono disposti a concedergli solo un merito: "Ha contribuito a risvegliare la memoria di persone che, pur non direttamente chiamate in causa da lui, forse temevano che fosse a conoscenza di vicende inerenti la trattativa di cui essi erano stati testimoni privilegiati e che in precedenza non avevano mai rivelato ad alcuno". Per il resto, i pm nisseni parlano di "un giudizio finale sostanzialmente negativo sull'attendibilità intrinseca" di Massimo Ciancimino. In un altro passaggio, i magistrati parlano addirittura di "pseudo collaborazione di Ciancimino", che "sembra essere più favorevole agli interessi di Cosa nostra che a quelli dello Stato". Ma perché questo atteggiamento? I pm ipotizzano che Ciancimino voglia ancora "salvaguardare il proprio patrimonio", ma ipotizzano pure che dietro di lui "si nasconda una occulta cabina di regia".

"Importanti squarci di verità sulla strage di via d'Amelio" - La svolta sulla nuova indagine della strage di via D'Amelio "è un fatto positivo e dimostra che anche quando è estremamente difficile l'accertamento della verità, si aprono importanti squarci di verità su cui potere proseguire". Lo ha detto all'Adnkronos il Procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia parlando degli arresti della Dia. "Non ho ancora letto il provvedimento dei colleghi di Caltanissetta - spiega ancora il magistrato - ma se anche loro ipotizzano che Borsellino fu ucciso perché da ostacolo alla trattativa, conferma che l'indagine nissena e quella nostra a Palermo proseguono parallelamente". Per Ingroia questa ordinanza "è solo il primo tassello per arrivare alla ricostruzione del quadro più completo, Non è un punto di arrivo ma un punto fermo per proseguire e arrivare alla verità".

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ign, ANSA, Lasiciliaweb.it, Corriere.it, Repubblica/Palermo.it]

 

 

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08 marzo 2012
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