Svolta nelle indagini sulla morte di Filippo Raciti. Il presunto assassino ha finalmente un volto e ha 17 anni
Il presunto assassino dell'ispettore capo della squadra mobile di Catania, Filippo Raciti, ha un nome e un volto e un'età.
A.S. un ragazzo di 17 anni, incensurato, è stato indagato per omicidio dalla magistratura di Catania. Fino a stamattina la posizione del ragazzo, fermato due giorni fa, era quella di indagato per resistenza a pubblico ufficiale. Adesso per lui arriva un'accusa pesantissima.
A carico del minore indagato (figlio di una famiglia di commercianti che gioca in una squadra di calcio giovanile e aiuta il padre nel lavoro) ci sarebbe un'intercettazione ambientale effettuata dalla polizia anche con una microtelecamera, nel locale dove il diciassettenne era trattenuto in stato di fermo assieme ad altri giovanissimi ultras. Alle domande di uno di questi sul suo coinvolgimento nella morte di Raciti, il diciassettenne avrebbe risposto con un cenno di assenso della testa dicendo: ''Sì, sono stato io''.
Il minorenne sarebbe stato identificato dopo la visione dei filmati ripresi dall'impianto di videosorveglianza dello stadio. Nelle immagini, si vede un giovane col volto parzialmente coperto mentre colpisce l'ispettore Raciti usando come arma il pezzo di un lavabo divelto dai bagni della curva Nord dello stadio. Poi, appare lo stesso ragazzo che scambia la sua felpa con quella di un amico per non farsi riconoscere.
La ricostruzione - Il filmato è stato girato da una delle otto telecamere a circuito chiuso installate allo stadio. La scena è da brividi: un gruppetto di scalmanati scesi dagli spalti della curva nord si avventa su Raciti e lo colpisce. In prima fila, con un grosso pezzo di ferro fra le mani, è un giovane con il volto scoperto, che subito dopo fugge sulle gradinate. Raciti, dolorante, trova la forza di divincolarsi e di mettersi al sicuro.
I lineamenti del volto del ragazzo non sono chiari, ma c'è un particolare: l'ultrà indossa una felpa con una scritta sul petto: ''Champion''. Vengono passate al setaccio migliaia di altre immagini dello stadio durante la partita contro il Palermo, panoramiche della curva nord e finalmente si trova quella, più nitida, di un giovane che indossa la stessa maglia: dargli un nome è facile, perché è già segnalato in questura. L'arma del delitto viene trovata dalla polizia durante un sopralluogo dopo la morte di Filippo Raciti. Gli esperti della scientifica la riconoscono perché l'impatto del corpo contundente contro il fianco destro dell'ispettore ucciso ha lasciato segni sul giubbotto. La grossa e pesante mazza di ferro, il supporto di un lavabo, è identica a quella che l'ultrà minorenne inquadrato dalla telecamera imbraccia durante l'aggressione al poliziotto.
Gli inquirenti hanno poi in mano un altro particolare. Raciti, piegato in due per il colpo al fianco, si appoggia ad un collega a cui dice: ''Quello grosso, lì, dobbiamo prenderlo per quello che mi ha fatto''. Poco dopo, l'ispettore sarà portato in ospedale dove morirà dopo tre ore di agonia. ''Quello grosso'', secondo gli investigatori e i poliziotti che hanno testimoniato, è proprio il ragazzo che compare nel filmato.
In questura, lunedì notte, il giovane ultrà fa il duro, mantiene un atteggiamento di sfida. Un investigatore gli mette davanti agli occhi una delle tante foto scattate nello stadio, quella di un teppista che indossa una felpa con su scritto : ''Champion''. Naturalmente gli fa domande sulla morte di Raciti, e poi chiede all'ultrà: ''E' tua la maglia? Sei tu questo?''. ''Sì'', risponde lui, senza capire che quella risposta equivale quasi alla confessione di un omicidio.
Gli investigatori sono convinti di aver individuato il colpevole, i colpevoli, e già ieri sembravano intenzionati a formalizzare le accuse. Più cauti i magistrati che hanno chiesto ulteriori approfondimenti. L'esame dei video ha infatti dimostrato che gli assalitori si sono scambiati gli abiti prima di uscire dallo stadio e questo ha reso complicato l'accertamento dell'identità. ''Non possiamo consentirci alcun passo falso'', avrebbero sottolineato i pubblici ministeri.
Il padre del diciassettenne, però, lo difende: ''Mio figlio è stato portato via dalla polizia martedì, ma non ha fatto niente. E' abbonato del Catania ed è andato allo stadio solo per vedere la partita''.
Nel frattempo nuovi elementi utili alle indagini sono arrivati da un confidente delle forze dell'ordine che ha rivelato che un gruppo di ultras catanesi stava preparando un attentato con una bomba contro gli agenti. Il pentito, che sarebbe uno degli ultras fermati nelle ultime 48 ore, ha contribuito a individuare gli ultrà durante gli scontri, rivelandone l'identità e i club di appartenenza. Sempre lui ha indicato tra i partecipanti agli scontri Alan Di Stefano elemento di spicco dell'organizzazione di estrema destra Forza Nuova e che secondo alcuni investigatori potrebbe addirittura essere il ''mandante'' dell'omicidio. Di Stefano, comunque, ancora non è accusato di concorso in omicidio ma, come tutti gli altri fermati (che con gli altri sette di ieri, hanno portato il conto totale a quarantuno) di aggressione, violenza e resistenza a pubblico ufficiale.