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Teatro Garibaldi, nuove produzioni in cantiere... Ma l'amministrazione, intanto, dorme?

10 ottobre 2012

Sono passati quasi sei mesi, oramai. Da quel 13 aprile che segnò la rottura dei cancelli e l'ingresso dei teatranti ribelli dentro al Garibaldi dimenticato, chiuso, restaurato ma spento. Divenuto, da allora, TGA: Teatro Garibaldi Aperto.
Nel frattempo, il tornado amministrativo della primavera portava, alla città, un sindaco nuovo, Leoluca Orlando, catapultato nel mezzo di un inferno urbano, a dribblare insidie e disastri. Col neo assessore alla cultura, Francesco Giambrone, i teatranti-occupanti hanno discusso, intavolando quel dialogo che mancava. Interrottosi, però, senza motivo e senza esiti. Nulla è cambiato, nessun percorso comune all'orizzonte. Il teatro è ancora là, occupato, un po' meno sotto ai riflettori, un po' scivolato nella quiete, forse a tratti nella confusione. Capire cosa fare, cosa diventare, come gestire i mille problemi del caso - economici, organizzativi, identitari, metodologici - non è semplice. Ma si va avanti. Pratiche di resistenza, non senza pause e disorientamenti.

In questo momento il teatro funziona come centro operativo indipendente: molto fermento al di qua di quei cancelli, mentre si lavora a un festival autoprodotto per ottobre, dal titolo "Identità bastarde", e a una rassegna di teatro, musica e danza, con compagnie italiane ospiti, in programma per novembre. Continua, dunque, il percorso di riappropriazione dal basso di un importante spazio culturale cittadino, sperimentando un modello che sia soprattutto di "produzione": attività laboratoriali, in ambito tecnico e artistico, e realizzazione di progetti.
Così, tra bilanci, ipotesi di sviluppo e cantieri sempre aperti, arriva anche un laboratorio, a cura di Enya Daniela Idda, Chiara Bakti Casorati e Daniela Palluello, che segue quello tenuto in agosto da Elio Germano. Non un attore, stavolta, ad allenare i teatranti, ma un esperimento di gruppo per inventarlo, il teatro. In forma installativa, perché no.
Si tratta allora di lavorare a un'architettura precaria, fatta solo di scatole: centinaia, di tutte le tipologie e le dimensioni, raccattate ovunque e tramutate, nello spazio magico della scena, in qualcosa che prima era invisibile agli occhi.  Contenitori di fantasticherie, di oggetti affettivi e di ricordi, di perché, di forse, di chissà.
In ognuna vivranno le storie degli altri, raccolte per strada, condivise, collezionate: una grande installazione luminosa e sonora, in cui le voci saranno quelle autentiche, della città, trasportate nel teatro e custodite negli scrigni di cartone.

Una, infine, è la cosa che salta agli occhi, al netto delle polemiche pro o contro le occupazioni: se non ci fossero loro, a tenerlo vivo, questo posto sarebbe ancora chiuso, un irragionevole buco nero nel cuore della Palermo antica. Come si pongono le amministrazioni di fronte a tale dato? Attestati di merito e parole di gratitudine sono giunti da sindaco e assessore per il buon lavoro svolto dagli occupanti; mentre la città continua a navigare a vista, nella foschia di un progetto culturale che non c'è.
E allora, le occupazioni, nell'Italia disastrata di oggi, diventano una nuova formula di gestione degli spazi culturali? Là dove non arrivano i comuni, senza un soldo, magari senza idee, arrivano gli occupanti, a togliere un problema?
Molte le valutazioni possibili, una la constatazione necessaria: la politica abdica, i cittadini si organizzano. [Articolo di Helga Marsala, Artribune.com]

- www.teatrogaribaldiaperto.com

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10 ottobre 2012
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