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Tentanto suicidio o simulazione?

Bernardo Provenzano ha tentato di togliersi la vita infilando la testa in una busta di plastica

11 maggio 2012

E' giallo sul tentativo di suicidio del superboss di Cosa Nostra Bernardo Provenzano, che nella notte tra mercoledì e giovedì - ma si è appreso solo nella tarda serata di ieri - avrebbe tentato di togliersi la vita nella sua cella del carcere di Parma, infilandosi la testa in un sacchetto. A salvarlo sarebbe stata una guardia penitenziaria del Gom (Gruppo Operativo Mobile), il gruppo operativo speciale del Dap.
Provenzano, che era a letto, ha infilato la testa in una busta di plastica con il proposito di uccidersi. In uno dei ripetuti controlli, si è subito accorto del fatto un poliziotto penitenziario, il quale è intervenuto, evitando il suicidio. Del fatto sono stati informati l'autorità giudiziaria e il Dipartimento per l'amministrazione penitenziaria.
Il tentativo di suicidio non ha avuto conseguenze. Il boss corleonese non è stato neppure portato in ospedale. Le sue condizioni sono ora definite "buone" compatibilmente con lo stato di salute di un malato di 79 anni.
Il boss, sottoposto recentemente a perizie che hanno stabilito che è in grado di intendere e di volere, sembra che già da giorni avrebbe cercato di dimostrare la sua pazzia: per dare prova della sua instabilità mentale, nei giorni scorsi il boss diceva di non riuscire a sedersi e di non trovare la sedia.
Riguardo a quanto successo tra mercoledì e giovedì, fonti del Dap hanno fatto sapere che Provenzano non avrebbe tentato il suicidio, ma sarebbe stata piuttosto una simulazione. 
"Per quanto ci è dato sapere, quello messo in atto nel carcere di Parma da Bernardo Provenzano è stato un maldestro tentativo di simulazione di suicidio probabilmente per evitare di essere sottoposto ad una visita psichiatrica già programmata", scrive in una nota Donato Capece, segretario generale del sindacato autonomo Polizia penitenziaria (Sappe). "Non a caso - sostiene Capece - le modalità del presunto tentativo sarebbero avvenute quasi in presenza del preposto di Polizia penitenziaria addetto alla sorveglianza del detenuto, poliziotto che comunque è stato bravissimo ad intervenire nell'immediatezza per scongiurare che anche il maldestro tentativo potesse in realtà avere gravi conseguenze. L'attenzione, lo scrupolo e la professionalità del poliziotto penitenziarie vanno certamente rimarcate perchè, ripeto, sono state fondamentali per un tempestivo intervento. Ma, ripeto, per quel che ci è dato sapere il tentativo di suicidio di Provenzano è una bufala".

L'avvocato Rosalba Di Gregorio, difensore di Provenzano, si è subito interrogata su chi abbia dato al boss il sacchetto di plastica. Il legale fa notare che da anni, da quando altri mafiosi al 41 bis tentarono il suicidio, ai detenuti al carcere duro non è consentito tenere alcun oggetto pericoloso in cella. "Come mai - si chiede - nessuno si è accorto della presenza del sacchetto visto che Provenzano è l'unico detenuto del braccio in quel carcere ed è continuamente sorvegliato?". Il difensore ha appreso del tentativo di suicidio dai giornalisti, ieri sera. "Nessuno, né dal carcere, né dall'Autorità giudiziaria - spiega - mi ha avvertito anche se dal fatto sono ormai passate 24 ore. A dare la notizia al figlio sono stata io pochi minuti fa: era sconvolto". "Aspetto domani - dice il penalista - per decidere cosa fare e se andare a Parma".
Sulla vicenda interviene anche il sindacato di polizia penitenziaria Osapp, il quale sottolinea che il tentativo di suicidio del boss (fasullo o reale) "è stato sventato solo grazie alla solerzia degli uomini del Gom della polizia penitenziaria, la sola, ormai, rimasta a fronteggiare la disfatta del sistema carcerario italiano". "Anche in questa occasione, che accende di nuovo i riflettori sugli istituti di pena - prosegue Leo Beneduci segretario generale del sindacato - resta la denuncia forte dell'Osapp sulla disastrosa situazione nella quale versano gli istituti penitenziari italiani: sovraffollati, malmessi e privi di adeguato personale". E l'altro sindacato, il Sappe, ricorda che "nel 2011 la polizia penitenziaria ha salvato la vita a 1.037 persone che hanno tentato il suicidio in carcere". Un dato - osserva il segretario generale aggiunto, Giovanni Battista Durante, che testimonia una "attenzione altissima da parte degli agenti in servizio, nonostante le tante carenze da cui, purtroppo, il carcere di Parma non è esente".
Insieme a Provenzano, a Parma sono una cinquantina i detenuti in regime di 41 bis.

A sollecitare l'attenzione sulle condizioni di salute di Bernardo Provenzano era stato il 15 marzo scorso il figlio primogenito del boss, Angelo, di 36 anni, in un'intervista alla trasmissione televisiva "Servizio Pubblico" che aveva sollevato clamore e polemiche. "Noi chiediamo - aveva affermato - che mio padre venga curato. Prima di tutto è un detenuto. È vero che sta pagando meritatamente o immeritatamente, ma rimane sempre un cittadino italiano: sarà stato capo di Cosa Nostra ma stiamo parlando di un essere umano".
Provenzano Jr., rispondendo alle domande della giornalista Dina Lauricella, aveva aggiunto: "Io mi rendo conto che molta gente potrebbe alzarsi e dire 'per quello che ha fatto merita questo e altro'. A tutti dico però se mio padre è quello che è, e ci sono delle verita processuali che lo affermano, ora è arrestato: c'è un posto vacante. Chi si sente di far parte di uno Stato che non applica i diritti può prendere posto su quella poltrona". Angelo Provenzano aveva poi osservato: "La verità processuale dice che mio padre è stato il capo di Cosa Nostra. Certo, a pensare che oggi, a distanza di 20 anni dalle stragi, sui giornali si sta parlando di revisione, dobbiamo riscrivere qualche verità a questo punto".

Secondo il Procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo, "è difficile dire se Bernardo Provenzano abbia davvero tentato il suicidio o se abbia soltanto simulato. In ogni caso, anche una simulazione sarebbe un gesto alquanto anomalo, insolito per un boss del suo calibro. Un segno di profonda debolezza, quasi di resa direi". "Una simulazione sarebbe però ancora più strana e anomala - aggiunge ancora Messineo - rivelerebbe uno stato d'animo indebolito del capomafia. Vorrebbe dire che per lui sono venute meno tutte le speranze e che potrebbe avere avuto un crollo morale. Se di morale di può parlare nel suo caso... Una sorta di resa, insomma". Messineo sta adesso aspettando di conoscere "tutti i particolari della vicenda".
E sull'ipotesi avanzata dal legale di Provenzano, Rosalba Di Gregorio che non esclude che qualcuno voglia eliminare il suo assistito, Messineo è molto cauto: "allo stato non mi pare ci siano elementi che possano confermare questa ipotesi". Mentre sulla richiesta di apertura di un'indagine, fatta sempre dall'avvocato di Provenzano dice: "Suppongo che i colleghi della Procura di Parma apriranno un fascicolo".

"Non crediamo affatto che Bernardo Provenzano colui che diede l'ordine di uccidere i nostri parenti in continente abbia tentato il suicidio, perché detenuto in un regime carcerario disumano". Giovanna Maggiani Chelli, presidente dell'Associazione tra i familiari delle vittime della strage di via dei Georgofili, è convinta che Provenzano si sia "messo un sacchetto in testa per fare un atto eclatante. Infatti non è morto, per fortuna". "In questi ultimi tempi - denuncia - troppi i tentativi per Bernardo Provenzano di farlo uscire dal 41 bis per dare così la stura all'atto finale dell'abolizione di questo regime inviso alla mafia, ma tanto necessario per macellai e affaristi come sono i boss di "cosa nostra". Una domanda però corre l'obbligo di porla: come mai - chiede Giovanna Maggiani Chelli - Provenzano, a regime di 41 bis, aveva un sacchetto di plastica fra i suoi effetti personali?". "Non è suicidandosi che si risolvono i problemi ma affrontandoli, come abbiamo fatto noi. Volete che vi dica quanti di noi hanno pensato di buttarsi in Arno dopo la strage di via dei Georgofili? Quasi tutti, e per alcuni il pericolo esiste ancora, eppure i Gom che si precipitano non li vediamo mai. Quindi - conclude - tutto sommato Provenzano sta meglio di noi".

Bernardo Provenzano è detenuto da quasi un anno nel carcere di Parma. La quarta sezione della Corte d'appello di Palermo ne dispose il trasferimento da Novara. I giudici, considerate le precarie condizioni di salute del padrino mafioso arrestato l'11 aprile 2006 dopo 43 anni di latitanza, accolsero la richiesta del procuratore generale Carmelo Carrara, ritenendo che avesse bisogno di una struttura adeguata dal punto di vista clinico. Il carcere di Parma è infatti dotato di un centro clinico e nelle sue vicinanze c'è un reparto ospedaliero per detenuti.
Numerosi, nei mesi scorsi, gli appelli dei legali del boss: "È molto malato, rischia la morte ogni giorno. Basta col 41 bis. Venga detenuto ma in condizioni civili", era stato l'appello, lo scorso settembre, dell'avvocato Di Gregorio. Oltre alla recidiva di un cancro alla prostata, una ischemia - hanno riferito più volte i suoi legali - gli ha distrutto parzialmente il cervello. I tremori e i movimenti rallentati, dicono inoltre, sono quelli tipici di una sindrome parkinsoniana.
Questa mattina il suo legale chiederà al Presidente della Corte d'assise d'appello di Palermo, presieduta da Biagio Insacco, nel corso di un processo per omicidio che vede imputato lo stesso Provenzano, se "dopo il gesto eclatante di ieri davvero si ritiene che Provenzano sia compatibile con la detenzione in carcere".
E proprio mentre nella tarda serata di ieri si diffondeva la notizia del presunto tentato suicidio di Bernardo Provenzano, un altro boss di grosso calibro, Pippo Calò (foto a sinistra), è stato colpito da una crisi cardiaca, detenuto nel carcere di Ascoli. Anche Calò oggi avrebbe dovuto comparire in videoconferenza nello stesso processo per omicidio davanti alla Corte d'assise di Palermo che vede imputato anche Provenzano.

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ign, ANSA, Lasiciliaweb.it, Repubblica.it]

 

 

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11 maggio 2012
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