Testimoniare o tacere?
A Palermo, il convegno antiracket, voluto dagli industriali e dai magistrati insieme, disertato da tutti
''...Quelli che pagano il pizzo saranno il 5-10 per cento. I magistrati dicono cose diverse? E io non ci credo''. Sono state queste le parole di Salvatore Cuffaro, governatore della Regione Siciliana, nella polemica scatenata dal programma televisivo ''Report'' di qualche settimana fa.
Parole che forse spiegano perché quando si parla di "pizzo" Palermo e tante altre città dell'Isola, si voltano dall'altra parte, fanno finta di non capire, si nascondono.
Forse così si spiega perché la scorsa settimana al convegno sul racket ''Testimoniare o tacere?'', organizzato a Palermo dalla Confindustria e dalla giunta distrettuale dell'Associazione Nazionale Magistrati, non c'era nessuno.
Nel teatro dove si è tenuto il convegno (il "Biondo", proprio davanti al mercato della Vucciria) le poltrone sono rimaste tristemente vuote.
Nelle prime due file le "autorità", prefetto, questore, comandante dei carabinieri, procuratore generale, qualche sindacalista. Ma tutte le altre poltrone vuote. Neanche i rappresentanti dei commercianti palermitani sono passati al "Biondo", nemmeno per un saluto o solo per salvare la faccia.
Una trentina o al massimo una quarantina - su 25mila sparsi in ogni angolo dell'isola - gli industriali venuti dalle nove province della Sicilia, e quasi tutti loro ricoprivano cariche in Sicindustria. E sui 300mila commercianti siciliani, ce n'era uno solo al Teatro Biondo.
Non c'era un artigiano, neppure un loro delegato di categoria, un portavoce qualunque che facesse anche solo "presenza" nell'assemblea pubblica sul racket presentata dall'inedita accoppiata magistratura-Sicindustria.
Li si è potuti contare sulla punta delle dita...
Prima fila a sinistra: il prefetto Giosuè Marino, il questore Giuseppe Caruso, il colonnello dei carabinieri Vittorio Tomasone, il comandante della Finanza Nunzio Ferla, il presidente degli industriali siciliani Giuseppe Costanzo e pochi altri ancora.
Prima a fila a destra: il sostituto procuratore Massimo Russo, altri sei magistrati, il vicepresidente della Confindustria con delega al Mezzogiorno Ettore Artioli, il commerciante siracusano vittima del racket Bruno Piazzese e qualche poliziotto delle scorte.
Seconde file occupate a metà, vuote anche lì molte poltrone "riservate". Sul palco: il procuratore nazionale Pierluigi Vigna, il coordinatore delle associazioni antiracket italiane Tano Grasso, il sottosegretario alla Giustizia Michele Vietti, il direttore generale della Confcommercio Luigi Taranto.
Un convegno ignorato da quegli uomini politici che nei giorni scorsi si erano indignati perché "l'onore" dell'isola era stato leso dall'azione di "sciaccallaggio mediatico ai danni dell'intero sistema produttivo siciliano" dal reportage di Report. Uomini politici che se ne sono lavate le mani, e che negano l'esistenza del "pizzo", quella tassa che non dà scampo a bottegai e costruttori in ogni marciapiede e in ogni borgata di Palermo.
Come in una riunione privata, in presenza soltanto dei ''pochissimi interessati'', al Teatro Biondo si è discusso di come combattere il racket, mentre a Palermo, nello stesso momento, chissà quanti commercianti ricevevano la visita dei propri cravattari. Una Palermo che sembra aver cancellato la stagione delle stragi, i suoi cadaveri eccellenti, le sue guerre di mafia, le rivolte dei lenzuoli e i Falcone e i Borsellino.
Costantino Garaffa, ex presidente della Confesercenti cittadina e adesso senatore dei Ds, uno dei pochi che al teatro c'erano: "Cerco di vedere il lato positivo. La Sicindustria che organizzato l'incontro. Se 13 anni fa la Sicindustria fosse stata dalla parte di Libero Grassi, probabilmente Libero non l'avrebbero ucciso".
Tredici anni fa Libero Grassi era isolato, il presidente degli industriali di allora lo schernì e ai suoi colleghi consigliò di accettare il ricatto, "perché se paghiamo tutti, paghiamo meno". È passato tanto tempo e per fortuna altri sono i rappresentanti degli industriali anche qui. "È già importante avere questa iniziativa", sospira il prefetto di Palermo Giosuè Marino.
E le proposte ci sono comunque state. Constatare amaramente di come non sia cambiato nulla a Palermo, non ha fatto desistere i pochi presenti a lanciare sfide e proposte.
''Venirne fuori senza fare gli eroi''. Il vicepresidente di Confindustria Ettore Artioli lancia la sua proposta. "Noi abbiamo mogli, figli, aziende, lavoratori da difendere: vogliamo uscirne ma senza esporci personalmente - dice Artioli - vorremmo segnalare senza denunciare, raccontare senza essere costretti a testimoniare. Sia chiaro, noi non associamo né tuteliamo gli imprenditori che vogliono pagare il pizzo, ma chiediamo delle riforme che mettano le vittime in condizione di essere aiutati ad essere affrancati da una serie di vincoli quotidiani". ''Insieme ai magistrati - ha aggiunto - vogliamo chiedere che vengano fatte tutte quelle riforme procedurali che consentano agli imprenditori che si vogliono affrancare dal giogo mafioso di farlo''. ''Tra gli strumenti a cui si potrebbe ricorrere - ha spiegato - ad esempio, potrebbe esserci la valorizzazione della confidenza riservata della vittima dei taglieggiamenti: uno strumento che eviterebbe la sovraesposizione di chi parla'', perché ''Sono tanti gli imprenditori - ha concluso Artioli - che vogliono essere aiutati''.
"Le modifiche legislative non bastano. Occorre una presenza forte dello Stato ma anche un'imprenditoria coraggiosa ed orgogliosa che faccia sentire con solerzia la sua presenza". Questa è stata la risposta del sottosegretario alla giustizia Michele Vietti che ha comunque promesso un gruppo di lavoro che elabori proposte di modifica alla normativa antiracket.
''E' inutile negare che abbiamo paura. Quello che ci trattiene qui è solo il grande amore per la Sicilia''. "Il mio locale adesso è presidiato da tre carabinieri armati di mitra 24 ore su 24, ma la notte dell'ultimo attentato quando già avevo denunciato i miei estorsori non c'era nessuno".Così ha commentato il commerciante siracusano Bruno Piazzese, che ha denunciato i suoi estorsori, a margine del convegno. ''Cuffaro - ha aggiunto Piazzese, riferendosi alle polemiche sorte dopo la puntata di Report su mafia e racket - ha detto che parlando di pizzo si lede l'immagine della Sicilia. Le cose non stanno così: noi vogliamo e riteniamo fondamentale raccontare una realtà drammatica''.
Bruno Piazzese adesso, fa il presidente dell'associazione antiracket e chiede ai politici: "Per denunciare ci vuole fiducia nelle istituzioni, aiutatemi a rispondere ai tanti miei colleghi che mi dicono: "Se denunciamo facciamo la tua stessa fine".
Per Tano Grasso, ex commerciante di scarpe ed ex commissario antiracket e leader della prima associazione di commercianti nata 15 anni fa: "Il pizzo è qualcosa che scopre il nervo, è qualcosa che ad ognuno fa fare i conti con la propria coscienza, non è come subire un reato qualunque". "Non sono d'accordo a modifiche normative. L'errore più grande che possiamo fare oggi è credere che l'imprenditore qui non ha alternativa: o paga o è costretto ad andare via o a vivere sotto scorta. Non è così: c'è il modello Capo d'Orlando che lo dimostra. Venite a vedere come vivono oggi quei commercianti che, soli in Italia ma tutti uniti, fecero arrestare gli emissari del racket: sono a casa loro e vivono e lavorano in assoluta serenità. Quell'esperienza ha vinto".