Totò Riina è ancora pericoloso, resti al 41 bis
La Cassazione ha rigettato il ricorso presentato dal boss per le sue precarie condizioni di salute
Il capo della cupola di Cosa nostra, l'uomo soprannominato il ''capo dei capi'', Totò Riina, deve rimanere nel penitenziario di Opera in regime di carcere duro. Lo ha deciso la Cassazione che ha negato al capo dei Corleonesi l'istanza del differimento pena, quella di detenzione domiciliare e quella per contestare la proroga del 41/bis decisa con decreto ministeriale del 12 dicembre 2006. In particolare, la Prima sezione penale della Suprema Corte - con la sentenza 18398 depositata ieri mercoledì 7 maggio - ha dichiarato "inammissibili" tutte le richieste avanzate da Riina e ha confermato il "no" all'attenuazione del regime detentivo così come stabilito dal Tribunale di sorveglianza di Milano il 12 ottobre 2007.
I giudici di Piazza Cavour hanno motivato la loro decisione rilevando che Riina "condannato per reati di gravità rilevantissima" riveste ancora "una posizione di vertice assoluto della stessa organizzazione mafiosa" e che è "potenzialmente in grado", se scarcerato, di riprendere i contatti con la Mafia. Il tribunale di sorveglianza di Milano, si spiega nella sentenza, "ha congruamente e specificatamente motivato sia in ordine alla perdurante operatività del sodalizio di appartenenza, sia con riferimento all'impressionante biografia penale del ricorrente, sia ancora in relazione all'attualità del pericolo interno ed esterno". In proposito gli "ermellini" ricordano che le più recenti informative degli organi di polizia hanno evidenziato "la perdurante operatività del sodalizio di appartenenza del Riina (la Mafia siciliana nel suo complesso), tuttora oggetto di indagini diffuse per reati di gravissima rilevanza, sodalizio nel quale il Riina rivestiva un ruolo di vertice assoluto".
Riina, dunque, aveva presentato ricorso in Cassazione: per il suo difensore era mancata un'indicazione specifica degli elementi in base ai quali ritenere la persistenza dei contatti con l'associazione mafiosa. In tal senso, secondo la difesa, "non potevano ritenersi idonei i pizzini trovati nel covo di Provenzano, perché riferiti a direttive date da Riina in precedenza, mentre doveva essere considerata l'età avanzata (78 anni) come indice di cessata pericolosità". Inoltre, l'infarto che aveva colpito Riina nel 2003, si esponeva ancora nel ricorso, era "di natura tale da indurre grave rischio di recidiva" e vi erano esami clinici "indicativi di un probabile tumore alla prostata". Ma la Cassazione gli ha risposto che le più recenti relazioni mediche sul suo stato di salute "non solo illustravano un quadro stabile e sotto controllo ma, soprattutto, negavano qualsiasi incompatibilità con il regime carcerario in atto".
[Informazioni tratte da Corriere.it, il Giornale.it, La Sicilia.it]