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Totò Riina e la cassaforte del generale Dalla Chiesa

Nel giorno dell'anniversario dell'omicidio del prefetto, i commenti odiosi del boss impenitente

03 settembre 2014

Nel giorno dell’anniversario dell’assassinio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, i mezzi di informazione pubblicano le intercettazioni di Totò Riina che, passeggiando nel cortiletto del carcere di Opera insieme al compagno d’ora d’aria Alberto Lorusso, racconta di quando venne svuotata la cassaforte di villa Pajno, la residenza palermitana del generale dei carabinieri, trucidato insieme alla moglie il 3 settembre 1982.
In molte delle migliaia di pagine di intercettazioni, depositate dai magistrati agli atti del processo sulla trattativa Stato-mafia, spunta il nome del generale Dalla Chiesa. Nelle parole di Riina ci sono pesanti invettive sul prefetto: "Lui gli sembrava che veniva a trovare qua i terroristi. Gli ho detto: qua il culo glielo facciamo a cappello di prete", dice il capomafia.

Ma anche più di un riferimento al mistero della cassaforte. "Questo Dalla Chiesa ci sono andati a trovarlo e gli hanno aperto la cassaforte e gli hanno tolto la chiave. I documenti dalla cassaforte e glieli hanno fottuti", dice Riina a Lorusso. "Minchia il figlio faceva ... il folle. Perché dice c'erano cose scritte", spiega il capomafia alludendo alle numerose denunce che Nando Dalla Chiesa, figlio del prefetto, fece proprio sulla scomparsa di documenti dall'abitazione del padre.
Il capomafia però non scende in particolari e nonostante le domande del co-detenuto, che, come in altre conversazioni, lo incalza su argomenti specifici mostrando una conoscenza curiosamente approfondita di indagini e fatti, non indica chi avrebbe ripulito il forziere. Al contrario di un anonimo che, mesi fa, ha inviato ai pm uno scritto, da lui stesso definito Protocollo Fantasma, in cui tra l'altro parla dei documenti fatti sparire dalla valigetta del generale. A differenza di Riina, che non si sofferma sugli autori del furto, l'anonimo indica in un sottufficiale dell'Arma il responsabile della scomparsa delle carte.

"Ma pure a Dalla Chiesa gli hanno portato i documenti dalla cassaforte?", chiede Lorusso. "Sì, sì", risponde il boss che poi accenna alla cassaforte del suo ultimo covo, quello di via Bernini. Anche in quel caso, dopo la cattura del padrino, gli inquirenti non trovarono traccia di scritti. Una cosa non casuale secondo i magistrati che ipotizzano che ai picciotti fu dato il tempo di ripulire il covo in virtù del patto stretto tra chi, in Cosa nostra, aveva consegnato Riina allo Stato e i carabinieri.
Ma Riina smentisce. "Li tenevo in testa", dice alludendo ai segreti da lui custoditi. "Loro - continua, tornando a Dalla Chiesa - quando fu di questo ... di Dalla Chiesa ... gliel'hanno fatta, minchia, gliel'hanno aperta, gliel'hanno aperta la cassaforte ... tutte cose gli hanno preso".

"Riina sostiene che la cassaforte di mio padre è stata svuotata dopo il suo omicidio? Beh, non abbiamo bisogno della conferma del boss. Noi lo diciamo da 32 anni..." ha detto all'Adnkronos Nando Dalla Chiesa commentando le nuove intercettazioni.
"Lo abbiamo detto pure nel processo - dice ancora il figlio del generale - E' una cosa plateale". "La mattina dopo l'omicidio andammo a casa di mio padre e la cassaforte era chiusa. Chiedemmo ai collaboratori domestici e poi guardammo nel mobiletto. Ma c'erano solo cassetti vuoti....". "La settimana dopo tornammo e nel cassetto spuntò una chiave su cui c'era scritto 'cassaforte'. L'abbiamo aperta ma c'era solo una scatola vuota".

Tornando alle intercettazioni di Riina, tra le ultime pubblicate dai giornali quelle in cui "il capo dei capi" commenta il coinvolgimento dell'ex ministro dell'Interno Nicola Mancino nel processo sulla trattativa. "Ma che vogliono sperimentare che questo Mancino trattò con me?... loro vorrebbero così, ma se questo non è avvenuto mai!". Queste le frasi che Riina rivolge a Lorusso. La conversazione, che risale al 12 agosto 2013, è stata depositata a fine luglio dalla Procura.
"Vogliono confermare che c'è stato questo collegamento", gli dice Lorusso, pregiudicato pugliese in cella per omicidio. "Sì, sì - risponde Riina - Ma se non c'è stato".

Quanto a Massimo Ciancimino, testimone e imputato al processo sulla trattativa, Riina crede che parli per interesse. "Penso di sì - spiega - Penso che vuole i soldi".
Il boss in un passaggio smentisce la tesi di Ciancimino jr sul ruolo del boss Bernardo Provenzano e del padre Vito Ciancimino nel suo arresto. "Io, mio padre, il colonnello Mori convincemmo Provenzano a fare arrestare Riina - dice Riina riportando le dichiarazioni del teste - Ma santo cielo, tu Ciancimino sei un folle di catene". "C'è un pentito - spiega il boss riferendosi al ruolo del collaboratore Balduccio Di Maggio nella sua cattura - c'è uno che è andato con gli sbirri là con il furgone".

[Informazioni tratte da ANSA, Lasiciliaweb.it, Adnkronos/Ign]

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03 settembre 2014
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