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Totò Riina mandante della strage del Rapido 904

Il boss corleonese indagato dai giudici della Dda di Napoli per l'attentato avvenuto il 23 dicembre 1984

28 aprile 2011

23 dicembre 1984. E' mezzogiorno in punto all'orologio della stazione di Napoli. La voce dell'altoparlante annuncia: il treno Rapido 904 è in partenza dal binario 11. La folla si accalca alle porte dei vagoni. Le carrozze sono stracolme di gente. Tutti occupati i sedili. Gli scompartimenti invasi, i corridoi sommersi dalle valigie, fin quasi dentro i bagni. Non si riescono neppure a contare. Ci sono i sacchetti dei regali impacchettati. Ci sono i bambini. Ci sono grandi scatole di cartone, salumi e pane buono del Sud. Quello fatto in casa...
Il Rapido 904 era diretto a Milano. Nei pressi della galleria di San Benedetto Val di Sambro, nel Bolognese, a causa di una bomba posizionata sul portabagagli, ci fu un'esplosione nella carrozza 9 di seconda classe. Erano le 19.08. Nel tunnel la bomba esplose, non fu un fatto casuale ma studiato a tavolino per provocare un effetto violento. Morirono 16 persone.

"La strage del rapido 904 si inserì nella cosiddetta strategia stragista dell'organizzazione mafiosa siciliana, ideata e perseguita dall'ala corleonese facente capo a Riina, allo scopo di condizionare gli esiti del maxiprocesso, esercitando ogni possibile forma di pressione sugli apparati dello Stato. Tali pressioni, nelle intenzioni di Riina, e secondo quanto dichiarato dai collaboratori di giustizia, erano peraltro destinate ai (veri o presunti che fossero) referenti politici del mafioso, quale sostanziale forma di ricatto, al fine di indurre tali soggetti ad intervenire efficacemente per condizionare, a livello giudiziario, ed a beneficio dell'organizzazione, l'andamento del maxiprocesso".
Ecco cosa hanno scritto gli inquirenti nell'ordinanza di custodia cautelare, consegnata ieri dai carabinieri del Ros di Napoli nel carcere di Opera, all'ex capo di Cosa nostra Totò Riina per la strage del Rapido 904.
L'inchiesta che ha portato all'arresto di Riina è stata coordinata dai pm della Direzione distrettuale antimafia di Napoli che accusano l'ex numero uno di Cosa nostra come il mandante della strage. Per questa vicenda vi sono già stati degli altri condannati in via definitiva tra i quali l'ex boss della mafia Pippo Calò.
L'ordinanza di custodia cautelare è stata firmata dal giudice delle indagini preliminari presso il Tribunale di Napoli Carlo Modestino su richiesta dei pm della Direzione distrettuale antimafia Sergio Amato e Paolo Itri coordinati dal procuratore aggiunto Alessandro Pennasilico.
Tra gli elementi nuovi dell'inchiesta sul Rapido 904 vi sarebbe la certezza che l'esplosivo utilizzato per la strage del treno di Natale è lo stesso di quello utilizzato per l'eccidio di via D'Amelio a Palermo avvenuto sette anni e mezzo più tardi dove furono uccisi il giudice Paolo Borsellino e cinque tra uomini e donne della sua scorta.
La stessa combinazione di esplosivi, costituita dal Setex H e da candelotti di dinamite pulverulenta nitroglicerinata, di impiego civile, denominata Brixia B5. Il Brixia 5, a sua volta, è lo stesso tipo di esplosivo che componeva l'ordigno piazzato nella zona antistante la villa dell'Addaura dove avvenne l'attentato al giudice Giovanni Falcone, nel giugno del 1989.
Un ulteriore collegamento tra la strage del rapido 904 Napoli-Milano e quella di via D'Amelio, ha sottolineato in una nota il procuratore aggiunto Pennasilico, "è emerso da pregresse attività investigative, da cui risultava che i circuiti integrati dei radiocomandi utilizzati nella strage di via D'Amelio avevano la medesima provenienza di analoghi congegni rinvenuti nel 1996 nell'arsenale di San Giuseppe Jato". "Le predette schede digitali furono in entrambi i casi assemblate presso la stessa società produttrice di componenti elettroniche, con sede a Treviso, per poi essere commercializzate (quelle ritrovate nell'arsenale), nel gennaio del 1992, da una ditta romana - ha spiegato ancora il procuratore - il cui titolare si identifica nella stessa persona che, nel 1984, fornì a Schaudinn (Friedrich Schaudinn, tecnico tedesco di origine croata, al soldo di Pippo Calò, ndr) il materiale elettrico ed elettronico impiegato per la predisposizione dei diversi congegni utilizzati nell'attentato al treno rapido 904". Dalle dichiarazioni di vari collaboratori di giustizia è emerso che almeno una parte dell'esplosivo utilizzato sul treno sarebbe stato trasportato presso la stazione centrale di Napoli e introdotto a bordo da camorristi attivi nelle zone della Sanità e di Forcella.
Per gli inquirenti insomma vi fu un coinvolgimento della malavita organizzata napoletana, e in particolare del gruppo che fa capo a Giuseppe Misso, anche se le sentenze definitive hanno scagionato tali imputati, i quali pertanto non sono più processabili. Una considerazione che si basa sulle recenti dichiarazioni di quattro pentiti: Luigi, Salvatore e Guglielmo Giuliano, della nota famiglia di Forcella nonché Salvatore Stolder. Tutti hanno chiamato in causa il gruppo di Misso.

Dunque, la strage, secondo quanto emerge dagli sviluppi dell'inchiesta, sarebbe stata la prima risposta ai mandati di cattura relativi al maxi processo a Cosa nostra emessi nel settembre 1984 dai giudici Falcone e Borsellino. L'obiettivo dell'attentato, ritengono i magistrati, fu quello di distogliere l'impegno dello Stato dalla lotta alla mafia verso la diversa finalità del terrorismo eversivo.
Il pentito di mafia Giovanni Brusca, interrogato dai pm di Napoli l'8 giugno dello scorso anno spiega il contesto in cui avvenne l'eccidio: "Fin da subito fu a noi di Cosa Nostra ben chiaro che si trattava della risposta dell'organizzazione ai mandati di cattura di Falcone e Borsellino del settembre del 1984". "L'organizzazione, che in seguito all'omicidio di Stefano Bontade era ormai saldamente nelle mani dei Corleonesi - racconta Brusca -, seguiva una precisa strategia che avveniva su più piani. Vi era il piano giudiziario, ovvero il sistematico tentativo di aggiustamento dei processi, e poi vi era il piano puramente militare, ovvero la volontà ed il disegno di eliminazione fisica di tutti coloro, magistrati o forze dell' ordine, che erano impegnati nella lotta alla mafia".

Il pentito ha ricordato l'omicidio Chinnici ("l'esplosivo lo portammo noi da San Giuseppe Jato"), l'attentato al giudice Carlo Palermo e quello all'Addaura contro Giovanni Falcone. "Un'ulteriore strategia tipica di Cosa Nostra - ha evidenziato Brusca - è sempre stata inoltre quella dell'inquinamento probatorio, nel senso che Riina in tutte tali vicende ha sempre cercato di coinvolgere in qualche maniera entità estranee, tipo i servizi segreti o comunque gli apparati dello Stato, allo scopo di sviare strumentalmente l'attenzione degli apparati dello Stato dal vero problema, ossia la ricerca e l'identificazione dei mandanti delle stragi". "In tale contesto - ha aggiunto - come ho già dichiarato davanti ad altra autorità giudiziaria sono stato in parte testimone diretto di tutta la vicenda del cosiddetto 'papello', ovvero, per essere più precisi, di una vicenda parallela avvenuta subito dopo la strage di Capaci, allorquando Cosa Nostra intavolò una sorta di trattativa con esponenti dello Stato, diretta in buona sostanza, ad ottenere benefici penitenziari ed in particolare gli arresti domiciliari per quattro affiliati di spicco dell'organizzazione all'epoca già condannati o sottoposti a giudizio, e cioè Giuseppe Giacomo Gambino, Giovanbattista Pullarà, mio padre Bernardo Brusca e lo stesso Pippo Calò". "Nell'ambito di tale trattativa noi avevamo proposto la restituzione allo Stato di alcuni quadri di grande valore di provenienza furtiva che erano custoditi in territorio del mandamento di Porta Nuova, il cui capo era proprio Calò, ed anche di una scultura di bronzo raffigurante un cane privo di testa, sempre di provenienza furtiva, che era nella disponibilità, invece, di Matteo Messina Denaro".
Comunque, a incastrare Totò Riina sarebbero state le dichiarazioni di numerosi collaboratori di giustizia siciliani, e non solo quelle di Giovanni Brusca.

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, Ansa, Lasiciliaweb.it, Repubblica.it, Corriere.it]

- Strage di Natale, 23 dicembre 1984: alle 19.08 l'eccidio sul rapido 904

 

 

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28 aprile 2011
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