Toy Story 3 - La grande fuga
Un film fatto per piacere in uguale misura ad adulti e bambini perché... perché troppo forte!
Noi vi consigliamo...
TOY STORY 3 - LA GRANDE FUGA
di Lee Unkrich
Andy sta per andare al college mentre i suoi fedeli amici giocattoli verranno portati in un asilo, dove saranno costretti a giocare con bambini indomabili dalle piccole dita appiccicose. Spinti dal motto tutti per uno-uno per tutti, l'eterogeneo gruppo deciderà di pianificare 'la grande fuga'...
Anno 2010
Origine USA
Produzione Walt Disney Pictures, Pixar Animation Studios
Distribuzione Walt Disney Studios Motion Pictures, Italia
Durata 109'
Regia Lee Unkrich
Soggetto John Lasseter, Andrew Stanton e Lee Unkrich
Sceneggiatura Michael Arndt
Fotografia Jeremy Lasky
Musiche Randy Newman
Genere Animazione
In collaborazione con Filmtrailer.com
La critica
"Secondo l'infallibile formula della Pixar e della sua 'mente', John Lasseter (al debutto americano, il film ha incassato 110 milioni di dollari), Toy Story 3 - La grande fuga è fatto per piacere in uguale misura ad adulti e bambini. Che vi ritrovano un motivo d'identificazione in comune. Quale? Fin dalla prima puntata la serie è traversata da un'idea, un'ossessione che prima o poi riguarda tutti, dai bimbi di fronte alla nascita del fratellino all'adulto in ambasce per amore o per il posto di lavoro: l'angoscia di essere rifiutati, dimenticati, di venire "smaltiti". Nel prototipo del '95, il cowboy Woody paventava di essere soppiantato nel cuore di Andy, il "suo" bambino, dall'avveniristico pupazzo spaziale Buzz Lightyear; in questo terzo episodio tutti i giocattoli – la cowgirl Jessie, il tirannosauro Rex, Mr. e Mrs. Potato, il cane a molla Slinky – condividono la stessa paura: Andy ha compiuto diciassette anni ed è in partenza per il college; ai più fortunati è destinata la soffitta, gli altri rischiano la spazzatura. Una serie di circostanze porta il gruppo in un asilo, che all'inizio sembra il paradiso: tanti bambini nuovi con cui giocare, una seconda giovinezza garantita. In realtà, i pupi sono mostriciattoli bavosi che maltrattano e disarticolano i poveri balocchi; non solo, sull'asilo spadroneggia un vecchio orso di pelouche al profumo di fragola, Lotso Grandi Abbracci, che regola tutto con metodi mafiosi.
A questo punto Toy Story 3 diventa la parodia di un film di carcere: da cui i giocattoli tentano la fuga sotto la guida di Woody; tra mille pericoli, culminanti nella discesa a precipizio verso un inceneritore. Scritto da Michael Arndt (lo sceneggiatore di Little Miss Sunshine) e diretto da Lee Unkrich, il terzo episodio della saga si piega alla moda del 3D, ma senza abusarne: la tecnica tridimensionale è messa al servizio della storia, piuttosto che diventarne la ragione; a volte, quasi la dimentichi. Il fatto è che Unkrich realizza le scene secondo l'estetica dei cartoon classici: di quella Disney, insomma, con la quale ora la Pixar è consociata. Divertente e commovente dall'inizio alla fine, Toy Story 3 è particolarmente spassoso nelle scene con Barbie e Ken. Lei era la bambola della sorella di Andy; lui fa parte della banda dell'asilo, anche se gli altri lo sfottono ("non sei un giocattolo, sei un accessorio… una borsetta con le gambe"). Sulla rivista "Mr. Magazine" un gruppo di femministe americane ha creduto bene di stigmatizzare il film come sessista e omofobo, proprio a causa delle scene con la coppia new entry. La bionda Barbie sarebbe troppo sottomessa; Ken, un modaiolo criptogay. Si direbbe la crociata di gente che, da piccola, non ha mai avuto giocattoli."
Roberto Nepoti, 'la Repubblica'
Il viaggio dei giocattoli-eroi ora si avvicina al capolavoro
di Paolo Mereghetti (Corriere.it)
Se c’è un genere che dà l’impressione non soffrire la crisi generalizzata - di idee e di risultati - che sembra aver attanagliato Hollywood (nonostante l’exploit di Avatar i primi sei mesi del 2010 non promettono molto di buono oltreatlantico e la stagione estiva, solitamente ricca di successi, si sta rivelando un sonoro flop: 11 per cento in meno di ricavi, 20 per cento in meno di pubblico. Finora), se ci sono dei film che dimostrano come creatività e fantasia possono essere ancora di casa al cinema, nonostante la marea di remake e riadattamenti che invade gli schermi, quelli sono i film d’animazione. Digitali, tradizionali o 3D non fa molta differenza, perché non è la tecnica che conta ma piuttosto la carica creativa, la forza delle invenzioni, il piacere del raccontare. Ed è proprio la grande tradizione degli sceneggiatori che hanno fatto grande il cinema americano che sembra finalmente rinascere grazie alla libertà ma anche al coraggio dei produttori e dei registi di «cartoon», gli unici si direbbe che non si fanno problemi ad infrangere tutte le regole di qualsiasi vademecum-del-successo per scatenare la fantasia. La propria e soprattutto quella dello spettatore.
Chi avrebbe il coraggio di iniziare un film senza che si pronuncia una sola battuta per mezz’ora? L’ha fatto 'Wall e' nessuno se n’è lamentato. Chi poteva avere il coraggio di far morire dopo dieci minuti uno dei due coprotagonisti del film? Succede in 'Up', ed è stato quel successo planetario che tutti conoscono. Nessun produttore sensato avrebbe accettato sceneggiature così fuori dagli schemi (un robot fuori uso che abita una Terra abbandonata da tutti; un vecchio iroso e scorbutico che vuole comportarsi come un ragazzino). Per fortuna che alla Pixar non la pensano così, altrimenti avremmo avuto qualche capolavoro e qualche ora di piacevole divertimento in meno. L’ultima conferma viene da questo Toy Story 3 - La grande fuga che se non è un capolavoro poco ci manca e che riprende i personaggi del film di Lasseter di quindici anni fa (e del sequel del ’99: Woody Buzz alla riscossa) per aggiornarne le avventure senza tradirne lo spirito. Ma soprattutto senza dare assolutamente l’impressione di riciclare in qualche modo vecchie idee o spunti abusati.
Lo si capisce subito dal rispetto per lo scorrere del tempo. Se lo sceriffo, l’astronauta, l’occhiuta patata e C. sono immutabili, lo stesso non si può dire di Andy, il loro padroncino, che infatti è cresciuto e sta per partire per il college: che ne sarà dei suoi cari giocattoli? Messi in soffitta? Regalati? O peggio: gettati nel bidone delle immondizie?
Parte da qui la terza avventura, affidata alla regia di Lee Unrick (già co-responsabile di Toy Story 2 e Alla ricerca di Nemo) e scritta da Michael Arndt (premio Oscar per la sceneggiatura di Little Miss Sunshine ma in forza alla Pixar già dal 2005: a riconferma che da lì vengono le vere forze nuove per il cinema e non viceversa): un viaggio avventuroso tra la stanza di Andy, la scuola materna Sunnyside, la casa della piccola Bonnie e una minacciosa discarica-inceneritore dove l’avventura dei «nostri eroi» sembra destinata finire.
In mezzo, un fuoco d’artificio di trovate e di colpi di scena che passano dalla commedia al dramma fino al melodramma, capaci di bruciare in pochi sequenze materiali per almeno un’altra dozzina di film. C’è il senso di responsabilità che anima Woody e che lo spinge a lasciare un futuro sicuro (lui solo viene messo nello scatolone che accompagnerà Andy al college) per seguire il destino dei suoi amici; c’è l’inaspettata dittatura dei giocattoli che comandano al Sunnyside, guidati dal pacioso ma vendicativo Lotso Grandi Abbracci (sarebbe L’orso Grandi Abbracci, ma la pronuncia infantile della sua prima padroncina l’ha marchiato per sempre); c’è la parentesi «sentimentale» tra la Barbie della sorellina di Andy (anche lei destinata ai rifiuti) e il Ken che vive all’asilo (che ha scatenato un’inutile e gratuita alzata di scudi da parte di alcune sedicenti femministe americane); c’è la rocambolesca fuga notturna dal Sunnyside e l’agghiacciante esperienza del forno di smaltimento dei rifiuti; c’è la scoperta che lo spirito di gruppo può essere più importante della libertà; c’è la speranza che se un bambino cresce ce ne possa essere un altro disposto a riutilizzare i suoi «vecchi» giocattoli... C’è insomma la capacità di passare da un cinema d’invenzione a uno di emozione a un’altro ancora di riflessione senza perdere mai di vista il piacere dell’avventura e della sorpresa (e del gusto della parodia, come nell’introduzione in puro stile blockbuster o nei divertenti rimandi alla Grande fuga di Sturges).
In nome di un cinema che non vuole mai abdicare all’intelligenza e alla fantasia, forse perché si rivolge al pubblico più esigente e sofistico che esista: quello dei bambini.
Voci nella versione originale: Tom Hanks (WOODY), Joan Cusack (JESSIE), Tim Allen (BUZZ LIGHTYEAR), Michael Keaton (KEN), John Ratzenberger (HAMM), Wallace Shawn (REX), Don Rickles (MR. POTATO HEAD), Estelle Harris (MRS. POTATO HEAD). - Voci nella versione italiana: Fabrizio Frizzi (WOODY), Massimo Dapporto (BUZZ LIGHTYEAR), Claudia Gerini (BARBIE), Fabio De Luigi (KEN), Riccardo Garrone (LOTSO GRANDI ABBRACCI), Gerry Scotti (TELEFONO CHIACCHIERONE), Giorgio Faletti (CHUCKLES), Matteo Leoni (ANDY).