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Tra richieste di revoca e conferme di pena

Mentre il Tribunale di Milano studia la richiesta di revoca di 41 bis presentata dai Lo Piccolo...

17 luglio 2008

Nei giorni scorsi i boss Salvatore e Sandro lo Piccolo, considerati gli eredi di Bernardo Provenzano, arrestati lo scorso 5 novembre e condannati all'ergastolo con le accuse di omicidio e associazione per delinquere di stampo mafioso (LEGGI), hanno chiesto al giudice di sorveglianza di Milano, dove sono detenuti nel carcere di Opera, la revoca del 41 bis che è stato applicato loro dal ministro di Giustizia su richiesta dei pm di Palermo.
I due boss, che nel periodo della loro lunga latitanza e dopo l'arresto di Provenzano stavano cercando di ridisegnare la mappa mafiosa di Palermo nonché pianificare le sorti della futura Cosa nostra siciliana, hanno chiesto di essere ammessi a "vita comune nel carcere come detenuti normali o, in subordine, di potere accedere a un regime meno severo" (LEGGI).

Nel ricorso presentato al tribunale l'avvocato milanese Maria Teresa Zampogna, uno dei difensori dei Lo Piccolo, ha definito il trattamento previsto dal '41 bis' disumano ed incostituzionale soprattutto inutile ai fini rieducativi, trattandosi di "uno strumento di tortura finalizzato alla collaborazione giudiziaria". Il legale, inoltre, si è lamentato del fatto che in particolare Salvatore Lo Piccolo "subisce un maggior inasprimento e compressione del regime speciale del 41bis a causa di un ignoto provvedimento 'interno' dell'amministrazione penitenziaria che lo assegna nella cosidetta area riservata".
I giudici del Tribunale di sorveglianza di Milano hanno esaminato ieri la richiesta dei due boss e si sono riservati di depositare la decisone nei prossimi giorni. 

La richiesta dei Lo Piccolo, eclatante e sconvolgente, ha scatenato la subitanea presa di posizione contraria delle forze politiche. Una delle voci che si è alzata più in alto delle altre è stata quella del presidente dei senatori del Pdl Maurizio Gasparri. "Non sia revocato il regime carcerario del 41 bis ai boss mafiosi Salvatore e Sandro Lo Piccolo", è stato l'appello di Gasparri, "incoraggiati dalle sconcertanti decisioni pro mafia prese da troppi giudici di sorveglianza, questi due capi cosca confidano in una decisione a loro favore". "Mi auguro che la magistratura sia consapevole della pericolosa ferocia di questi criminali e non cancelli il 41 bis. In ogni caso - ha aggiunto Gasparri - per porre fine a queste situazioni ambigue che favoriscono solo i boss, promuoverò iniziative legislative per ridurre il margine discrezionale così male usato dai giudici di sorveglianza".

"Ogni critica alle decisioni giudiziarie è legittima, a condizione che non si trasformi nell'insulto gratuito e nell'accento esplicitamente intimidatorio". Contro i toni e i contenuti, definiti "sconcertanti", utilizzati qualche giorno fa da Gasparri, proprio in riferimento alle decisioni sulle diverse revoche di 41 bis concesse negli ultimi tempi, si è posta l'Associazione nazionale magistrati.
Gasparri non è stato espressamente menzionato dal sindacato delle toghe, che ha fatto però riferimento a quanto detto da un "esponente delle istituzioni, commentando un provvedimento giurisdizionale che ha revocato l'applicazione del regime carcerario di cui all'art 41 bis ordinamento penitenziario ad alcuni condannati per fatti di mafia". "In quelle dichiarazioni polemiche - ha lamentato la giunta dell'Anm - non vengono neppure indicati i motivi della presunta inaccettabilità del provvedimento sotto il profilo della correttezza giuridica o dell'errata considerazione degli interessi in gioco. Il rispetto sempre doveroso della sensibilità delle vittime di gravi fatti di mafia non può trascurare la delicatezza dei compiti della magistratura di sorveglianza e la complessità di certe decisioni, sempre in bilico tra esigenze di tutela della collettività e garanzie minime di rispetto della dignità del detenuto".
L'Anm  ha quindi colto l'occasione per auspicare un "dialogo costruttivo sulle problematiche di fondo del regime carcerario per soggetti riconducibili al crimine organizzato, anche al fine di un aggiornamento della legislazione". Aggiornamento legislativo annunciato nelle scorse settimane dal ministro della Giustizia Angelino Alfano (LEGGI).

Intanto, se da un lato risulta sinceramente inquietante che le richieste di alleggerimento delle pene poste da svariati boss siano state accordate dai giudici, dall'altro lato la conferma di alcune condanne in appello ad altrettanti svariati mafiosi rincuora e scaccia i dubbi sulla bontà dell'azione giudiziaria contro Cosa nostra.
Ieri, infatti, al processo d'appello al "Grande Madamento", ossia il procedimento contro i fiancheggiatori di Bernardo Provenzano che hanno curato le ultime fasi della sua latitanza e delle sue corrispondenze, è stato confermato l'impianto accusatorio e le 39 condanne già comminate in primo grado.
Condanna confermata, anche se con riduzioni di pena, per il gruppo che accompagnò Provenzano fino a Marsiglia per l'operazione alla prostata. Si tratta di Nicola Mandalà, 9 anni e 8 mesi (contro i 13 anni e 4 mesi inflitti in primo grado), Ezio Fontana 10 anni (confermati) e Salvatore Troia che fornì il documento falso a Provenzano, 5 anni e 8 mesi. Resteranno in carcere Benedetto Spera (2 anni e 2 mesi che, aggiunti ad altre condanne, fanno 27 anni in totale), Onofrio Morreale (boss di Bagheria, 14 anni, erano 18 in primo grado), Giuseppe Di Fiore (il custode del libro del racket, 8 anni e 4 mesi, erano 14 in primo grado), Francesco Eucaliptus (1 anno e 4 mesi).
Pene confermate anche per i commercianti che hanno negato i fatti estorsivi. Rosario Miosi e Cosimo Galioto, 4 mesi di reclusione, mentre sono stati assolti altri due commercianti - Francesco Orlando e Salvatore Mineo -assolti per non aver commesso il fatto. Altre due assoluzioni per Vincenzo Di Salvo - scarcerato dopo tre anni di carcere preventivo - e Antonino Ignazio La Barbera. Cambiato il capo d'imputazione per Giuseppe Virruso, da concorso esterno a favoreggiamento, con una riduzione di pena a 3 anni che gli ha consentito di lasciare il carcere perché già scontati.

Il blitz che portò in carcere il "Grande Mandamento", nel 2005 (LEGGI), fece dire all'allora procuratore capo di Palermo, Pietro Grasso, che era stato "scompaginato il ministero delle poste e comunicazioni di Bernardo Provenzano". Quella operazione consentì di fare terra bruciata attorno al boss corleonese, favorendone la cattura che avverrà giusto l'anno dopo (LEGGI).

Tutte le condanne e le assoluzione per gli imputati del processo "Grande Mandamento":
Pena ridotta - Benedetto Spera pena ridotta a 2 anni e 2 mesi; Salvatore Sciarabba, ridotta a 13 anni e 4 mesi; Onofrio Morreale ridotta a 14 anni; Giuseppe Di Fiore 8 anni e 4 mesi; Angelo Tolentino, ridotta a 7 anni; Nicola Mandalà, ridotta a 9 anni e 8 mesi; Giuseppe Pinello, ridotta a 10 anni; Roberto D'Ippolito, ridotta a 3 anni e 3 mesi e scarcerazione immediata perché già scontati; Giuseppe La Mantia, ridotta a 4 anni e 4 mesi, Salvatore Troia, ridotta a 5 ani e 8 mesi; ridotta a 4 anni e 8 mesi per Francesco Episcopo, Giuseppe Giglia, Salvatore e Ciro Badami, Luigi e Ignazio Spera, Guglielmo Musso, Emanuele Lentini, Giuseppe Comparetto, Stefano Lo Verso; ridotta a 7 anni per Pasquale Badami; ridotta a 5 anni e 8 mesi per Michele Rubino, Damiano e Nicola Rizzo, Giovanni Spera; ridotta a 3 anni e 4 mesi per Giuseppe Rocco (scarcerato); a 2 anni e 4 mesi per Francesco Lo Gelfo; a 3 anni per Giuseppe Virruso (del '48), scarcerato, a 7 anni e 8 mesi per Giuseppe Virruso (del '38) e Salvatore Vazzano.
Pena confermata - Per Ignazio Fontana, 10 anni; per i commercianti Rosario Miosi e Cosimo Galioto; 4 mesi di reclusione; 1 anno e 4 mesi per Francesco Eucaliptus; per Provvidenza Francaviglia (unica donna in questo processo) 1 anno e 9 mesi; Vito Signorelli, 4 anni e 4 mesi, Mariano La Duca, 2 anni e Carmelo Bartolone, 7 anni e 6 mesi.
Assoluzione - Per Antonio Ignazio La Barbera, Vincenzo Di Salvo, Pietro Mineo e Francesco Orlando.

[Informazioni tratte da La Siciliaweb.it, I Love Sicilia.it, 90011.it]

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17 luglio 2008
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