Tradito dai suoi ''pizzini''
Bernardo Provenzano, oramai con le spalle al muro è stato catturato grazie alle sue esigue esigenze del quotidiano
Hanno trovato Bernardo Provenzano mentre stava cucinando della cicoria. Sul tavolo un vasetto di miele. Sopra ad un altro tavolinetto una vecchia macchina per scrivere elettrica, roba da antiquariato, di quelle che le Brigate rosse trent'anni fa per i loro comunicati. E' stato trovato anche un libro di medicina, il boss dei boss lo stava leggendo. Sì, perché la sua vita da ricercato la passava leggendo e scrivendo ''pizzini'', gli ormai famosi messaggi scritti a macchina, fitti fitti, e nei quali venivano impressi, in un italiano sgrammaticato e in codice, i passi che la mafia siciliana avrebbe dovuto fare. Messaggi che parlavano di affari importanti, di lavori, di milioni e di politica. Messaggi che finivano tutti con una benedizione.
Una vita ''nutuli'', inutile, vissuta nel totale isolamento, senza agi né comodità. Una vita... come dire, monastica, dedita solamente alla guida del potere, un potere occulto e immenso, con il quale ''non si muoveva foglia che zio Binnu non voglia''.
Una vita che alla fine si è dovuta nascondere vicino a ''casa sua'', la sua Corleone da dove 43 anni fa Provenzano scomparve, e dove è dovuto ritornare per cercare protezione, perché attorno a lui la Giustizia aveva fatto terra bruciata, e solo dentro la sua terra ormai poteva trovare rifugio. Ma non sarebbe durare ancora per molto la sua latitanza. La sua metodologia era stata capita dalla polizia, e alla stessa maniera è stata combattuta, ''all'antica'', con la pazienza, con le intercettazioni, coi pedinamenti, con gli appostamenti e una grandiosa organizzazione.
L'introvabile ''Binnu u tratturi'', che da sempre aveva rifiutato l'utilizzo di telefoni cellulari o dei computer per colloquiare con in suoi adepti e i suoi familiari, è stato tradito proprio dai suoi messaggi di carta e dalle esigenze del quotidiano. Con le spalle al muro, vecchio e malato, è stato scoperto grazie ad un pacco con la biancheria che partito da Corleone si è fermato a circa due km dal paese, in un casolare diroccato in località ''Montagna dei cavalli''.
Seguendo quel pacco la polizia giunge alla masseria che ospita Provenzano. Gli agenti, già appostati, intorno alle 10.00 vedono aprirsi la porta, scorgono un braccio e decidono di intervenire.
Provenzano in un primo momento cerca di negare la sua identità, poi però ammette: ''Sono io''. Le uniche altre parole pronunciate sono queste: ''Voglio un infermiere. Tra un po' avrei dovuto farmi l'iniezione...''.
Vicino al casolare, la polizia ferma anche il proprietario dell'immobile, il pastore Giovanni Marino, che da poco aveva fatto la ricotta. Anche lui viene preso e portato alla Questura di Palermo. Qui, subito dopo la notizia dell'arresto, decine di persone sono accorse ad aspettare l'arrivo del ''fantasma di Corleone''. Di li a poco alla questura arriva la gazzella delle forze dell'ordine, e dentro non c'è un ectoplasma ma un uomo in carne e ossa: un uomo basso di statura, 73 anni portati bene, con giacca blu, sciarpa di seta chiara, jeans, occhiali chiari, sacchetto di medicine al seguito.
La gente tutt'intorno urla ''bastardo'', ''assassino''. Finisce così la latitanza del ricercato numero uno.
Nella notte l'ex boss dei boss è stato trasferito dal carcere palermitano dell'Ucciardone a quello di Terni. Guardato a vista e videosorvegliato 24 ore su 24, Provenzano si troverebbe - secondo quanto si è appreso - in un'area riservata del carcere e sottoposto a un regime di isolamento diurno e notturno. ''Bernardo Provenzano non ha dato alcun segnale di voler parlare, ha mostrato un'estrema compostezza''. Gilberto Calderozzi, direttore del Servizio centrale operativo (Sco) della Direzione anticrimine centrale (Dac) della Polizia di Stato, ha descritto così l'atteggiamento del boss a 24 ore dalla clamorosa cattura.
Ma Provenzano non collaborerà con la giustizia
''Cosa Nostra perde il suo capo indiscusso e lo Stato ottiene una vittoria di decisiva importanza''. Sono state queste le parole del ministro dell'Interno Giuseppe Pisanu, nella sua dichiarazione di ieri alla stampa sulla cattura del "boss dei boss" Bernardo Provenzano. Pisanu ha detto che ''il merito va alla Squadra mobile di Palermo e allo Sco ma anche ai carabinieri e alla Guardia di finanza che in momenti diversi hanno contribuito all'impresa''. Il ministro ha ricordato che il cerchio attorno a ''Binnu'' si è stretto nel giro dell'ultimo anno, anche grazie all'operazione antimafia ''Grande Mandamento'' e alle indagini sull'intervento subito dal superboss in Francia.
Il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso ha poi aggiunto: ''Escludo che Provenzano possa collaborare con la giustizia''. Poi ha dedicato questo risultato a ''Giovanni Falcone e Paolo Borsellino''. Grasso ha rivelato che ''Imprenditori, tecnici e politici hanno favorito la latitanza di Bernardo Provenzano'' e ha concluso: ''Con questa cattura cade il mito dell'invincibilità''.
Intanto nel casolare che è stato l'ultimo covo di Provenzano continuano le indagini tecnico-scientifiche da parte della Polizia di Stato. Un pool di investigatori composto da sei membri dell'Ert (Esperti ricerca tracce) della Polizia Scientifica della Direzione Centrale Anticrimine è appositamente giunto a Palermo da Roma.
Nella masseria gli investigatori, in un barattolo di vetro con penne e altri fogli, hanno trovato dei
fac simile elettorali del candidato al Senato Totò Cuffaro, presidente della Regione, e della lista ''Patto per la Sicilia'', del sindaco di Corleone, Nicolò Nicolosi, candidato al Senato.
Il materiale propagandistico - che è stato ripreso da alcuni fotografi e troupe radiotelevisive - non è stato trovato all'interno del casolare dove dormiva Provenzano ma nel locale utilizzato da Giovanni Marino, il pastore proprietario del casolare arrestato con Provenzano, per la preparazione di formaggi e ricotta.
''Non so come quel facsimile sia finito lì. - ha commentato il presidente della Regione Siciliana Salvatore Cuffaro - Ne ho fatti stampare oltre tre milioni da distribuire in tutta la Sicilia. Non so se il pastore l'abbia mai dato a Provenzano, ma se ne hanno tenuto conto hanno fatto il peggiore investimento della loro vita''.
E la procura di Palermo ha fermato tre persone accusate di favoreggiamento nei confronti di Bernardo Provenzano. Si tratta di Calogero e Giuseppe Lo Bue (padre e figlio) e Bernardo Riina, tutti di Corleone. Secondo l'accusa avevano il compito di portare al capo di Cosa nostra i messaggi che arrivavano da tutta la Sicilia. Si tratta degli uomini che nell'ultimo anno avrebbero aiutato il vecchio padrino a restare ancora nell'ombra.
Uno degli arrestati, Giuseppe Lo Bue, 36 anni, è un nipote acquisito di Provenzano. L'uomo, rappresentante di aspirapolveri, è sposato con la figlia di Carmelo Gariffo, matrimonio che suggella la parentela con il boss Provenzano. Giuseppe Lo Bue era il primo nella particolare staffetta dei pizzini e del materiale da consegnare al boss. Lui andava infatti a trovare la zia, Saveria Palazzolo, moglie di Provenzano, che gli consegnava i pacchi con la biancheria per il superboss. L'ultimo passaggio, quella della consegna era effettuato dal 70enne Bernardo Riina, vecchio amico del capo dei capi di Cosa Nostra.
- ''I foglietti del comando'' di Giovanni Bianconi (Corriere.it)