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Troppo grasso per il carcere

Presunto sodale dei boss Lo Piccolo, sconta la sua pena a casa perché non c'è una cella della sua misura

13 marzo 2008

Indagato con l'accusa di associazione mafiosa come appartenente ad uno dei clan fedeli ai boss Salvatore e Sandro Lo Piccolo, quella della famiglia mafiosa di Torretta. Salvatore Ferranti, 36 anni, il 9 agosto scorso è stato arrestato e portato nel carcere palermitano di Pagliarelli.
Oggi Ferranti è ai dimiciliari. Sconterà a casa propria la sua pena.
L'ennesimo caso di giustiza che in maniera assurda favorisce i colpevoli? Non proprio...
Salvatore Ferranti pesa infatti duecentodieci chili e in Italia non esiste nessuna cella abbastanza capiente per lui, affetto da una forma patologica di obesità.
La scarcerazione è stata decisa dal tribunale del riesame di Palermo, che ha accolto la richiesta degli avvocati Raffaele Bonsignore e Giuseppe Giambanco. La procura, che aveva espresso parere contrario, non ha però fatto appello e la decisione non è più impugnabile in Cassazione.

Nel carcere di Pagliarelli, il primo in cui l'uomo era stato rinchiuso, non c'era una bilancia dalla portata adeguata al peso di Ferranti. Quindi il trasferimento nel carcere di Pesaro, dove la direzione è stata obbligata ad assegnare a Ferranti un piantone, un agente di polizia penitenziaria che doveva occuparsi, notte e giorno, di aiutarlo nelle sue necessità giornaliere, fisiologiche e di movimento.
Dunque, un nuovo trasferimento nella casa circodariale di Monza, ma anche qui i problemi non sono stati risolti. La direzione scrisse al Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (Dap): "Il detenuto non può dormire, non avendo un letto adatto al proprio peso, non può andare in bagno perché non passa dalla porta. Il sanitario fa notare che Ferranti è stato più volte soccorso dai medici di guardia, ma se fosse sopraggiunta la necessità di ricoverarlo non sarebbe stato possibile il trasporto".

Come fare? Una proposta l'ha fatta il Dap: costruiamo una cella adatta alle misure di Ferranti! Macché! ci vogliono "importanti e strutturali lavori di adeguamento", ha risposto il provveditorato regionale per la Lombardia dello stesso Dipartimento penitenziario. Inutile anche l'ultimo trasferimento nel carcere milanese di Opera.
"Le condizioni di salute di Ferranti - ha quindi concluso il collegio del riesame - non hanno trovato una degna sistemazione che abbia reso compatibile con la detenzione la grave obesità da cui è affetto l'indagato".

Comunque, che l'obesità, spesso, non è una patologia compatibile con la vita in carcere non è una novità. L'ultimo caso balzato agli onori della cronaca risale a due anni fa ed è quello del detenuto napoletano Aristide Angelillo, 42enne, carecerato nella penitenzirio Don Bosco di Pisa dove stava scontando una pena per droga, e dopo otto mesi messo agli arresti domiciliari perché affetto da patologie cardiache e respiratorie dovute ai suoi circa 270 chili di peso: il suo stato di salute non si conciliava con i pochi metri quadrati in cui era costretto. La decisione in quel caso era stata affrettata da un clamoroso precedente: nove mesi prima nel carcere di Parma era morto un detenuto 32enne pesante 260 chili.
Certo, la vicenda di Salvatore Ferranti è diversa. Infatti il reato di associazione mafiosa prevede sempre la custodia in un istituto penitenziario, a meno di gravissimi motivi di salute, e Ferranti malgrado la sua grossa mole non era considerato "ammalato" oppure a rischio. I giudici hanno deciso però di concedergli i domiciliari perché nessuna delle quattro "case circondariali" che ha girato è stata della... sua misura e quindi non in grado di assicurargli un trattamento che tutelasse e rispettasse la sua dignità umana.
Insomma, per la vicenda Ferranti, più che i magistrati, ad alzare bandiera bianca è stato il sistema carcerario.

[Informazioni tratte da Repubblica.it, AGI, La Sicilia.it]

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13 marzo 2008
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