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E' stato arrestato Mimmo Raccuglia, boss latitante da 15 anni: era l'anello di congiunzione di Cosa nostra tra Palermo e Trapani

16 novembre 2009

"Non ho niente da dire". E' questa l'unica cosa che ha risposto il boss Domenico Raccuglia, subito dopo l'arresto, al procuratore aggiunto Antonio Ingroia e ai sostituti Roberta Buzzolani e Francesco Del Bene. Quando i magistrati sono entrati nell'ufficio della squadra mobile di Palermo dove il capomafia era in manette, lui si è subito alzato, ha fatto un cenno rispettoso di saluto, ma ha precisato che non intendeva rispondere ad alcuna domanda. Poi, qualcuno ha riferito, ha sussurrato fra i denti: "Avete visto in che condizioni vivevo?".
E' questo il provvisorio finale del clamoroso arresto di Mimmo Raccuglia, 45 anni, boss latitante da quindici anni, preso ieri alla periferia di Calatafimi nel trapanese dalla Sezione 'Catturandi' della Squadra Mobile di Palermo guidata da Mario Bignone. Soprannominato il 'veterinario' e originario di Altofonte, era ricercato per associazione mafiosa e altri reati. Raccuglia era tra i trenta latitanti più pericolosi d’Italia e il braccio destro di Giovanni Brusca. Tra le diverse condanne all’ergastolo da scontare anche quella per l’efferato omicidio del tredicenne Giuseppe Di Matteo. Il ragazzino, sequestrato, ucciso e poi sciolto nell’acido perché figlio di un collaboratore di giustizia.

Raccuglia è stato preso nel pomeriggio, dopo un indagine all'antica, con pedinamenti e intercettazioni, dai poliziotti della sezione Catturandi della squadra mobile palermitana. Dal '96 era ricercato per omicidi, estorsioni, rapine, mafia e poi per le varie condanne che andava collezionando: tre ergastoli tra cui quello per l'uccisione del piccolo Giuseppe Di Matteo, e tanti altri anni di carcere.
'U dutturi' di Cosa nostra ha tentato di fuggire attraverso un terrazzo dell'appartamento-covo in via Cabasino a Calatafimi Segesta, comune ricco di storia e noto per la battaglia vittoriosa dei Mille di Garibaldi sull'esercito borbonico, ma non ce l'ha fatta. L'operazione era ben congegnata, l'edificio era circondato e i poliziotti non potevano farsi sfuggire un'occasione "così ghiotta": ammanettare quello che lo stesso ministro dell'Interno Roberto Maroni ha definito "il numero due di Cosa nostra". "L'arresto di Raccuglia è uno dei colpi più duri - ha detto Maroni - inferti alle organizzazioni mafiose negli ultimi anni". Il responsabile del Viminale ha telefonato al Capo della Polizia, il prefetto Antonio Manganelli, per congratularsi dell'operazione. Ma al di là delle classifiche, che nella mafia spesso cambiano velocemente, è certo che Raccuglia era, insieme a Matteo Messina Denaro e a Giovanni Nicchi, uno dei mafiosi più ricercati d'Italia.
Al momento dell'irruzione degli agenti nel suo covo era solo. Il capomafia ha tentato di fuggire dal terrazzo, ma è stato bloccato. Nell'abitazione, che sarebbe stato il suo nascondiglio da qualche giorno, sono state trovate due pistole e una mitraglietta, un marsupio con 120 mila euro in contanti, documenti e pizzini, adesso al vaglio del pool coordinato dal procuratore aggiunto Ingroia. Ammanettato Raccuglia è stato fatto salire su una delle auto della "Catturandi" che è poi partita col corteo delle altre macchine della polizia verso la questura di Palermo.

Uomo vicino al clan Brusca di San Giuseppe Jato, Raccuglia ha scalato in vent'anni i vertici di Cosa nostra soprattutto per la sua ferocia nonostante il soprannome di "veterinario" dovuto, a quanto pare, alla sua passione per gli animali, gatti e cavalli soprattutto. E' considerato il boss che controlla il territorio che unisce la provincia di Palermo con quella di Trapani. Al suo nome sono legati gli omicidi interni a Cosa nostra nella provincia di Palermo, soprattutto a Partinico, degli ultimi anni dove sono caduti uomini considerati vicini all'ex latitante o suoi nemici. Ricercatissimo da polizia e carabinieri che seguivano anche i suoi familiari (un fratello, Salvatore, è stato condannato per mafia) Raccuglia era finora riuscito a sfuggire alla cattura nonostante, ad esempio, i magistrati sapessero che da oltre dieci anni, agli inizi di giugno, in genere tre giorni dopo la chiusura delle scuole, la moglie partisse da Altofonte per andare a trascorrere le vacanze estive col marito latitante.


L'arresto di Giovanni Brusca

Il sostituto procuratore palermitano Francesco Del Bene che col pm Roberta Buzzolani ha coordinato le indagini sull'arresto del latitante parla di "un grandissimo risultato conseguito in un periodo difficile. La polizia lavora con pochi uomini e poche risorse. Ciò accresce ulteriormente il valore di un'indagine svolta esclusivamente con metodi tradizionali: pedinamenti, videoriprese e intercettazioni". "Abbiamo fermato un capomafia in piena operatività", ha detto il pm Buzzolani. "Raccuglia, che ha 45 anni, era cresciuto all’ombra di padrini di rilievo come Giovanni Brusca, con loro aveva compiuto efferati crimini, come l’assassinio del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Mario Santo. Oggi, forte di quella esperienza, Raccuglia era uno dei protagonisti della riorganizzazione mafiosa". Probabilmente, non era un caso che Raccuglia si nascondesse in provincia di Trapani. I magistrati sospettato un’alleanza forte con il superlatitante Matteo Messina Denaro, ritenuto ormai al vertice di Cosa nostra siciliana.
Anche il procuratore aggiunto di Palermo Antonio Ingroia parla di un arresto di straordinaria importanza. "Abbiamo preso uno dei capi assoluti di Cosa Nostra ancora in circolazione in un momento di ascesa all'interno delle gerarchie mafiose - ha spiegato -. È stata un'indagine molto difficile perché Raccuglia si è dimostrato attento e accorto nella gestione della sua latitanza e lo dimostra il fatto che l’arresto è avvenuto fuori dalla sua zona, in un'area più tranquilla". Secondo Ingroia, all'interno di Cosa Nostra "si crea adesso un ulteriore vuoto dove i latitanti di spicco sono sempre meno. Adesso assumono maggiore importanza Nicchi a Palermo e Messina Denaro a Trapani. Raccuglia era l'uomo cuscinetto che controllava i territori fra Palermo città e la provincia di Trapani".
Per il procuratore nazionale antimafia Piero Grasso si tratta di un "successo investigativo importantissimo". "Ho fatto le mie congratulazioni al ministro Maroni, al questore di Palermo e ai ragazzi della sezione catturandi della mobile - ha detto -. Quando ho sentito il questore era insieme ad alcuni degli agenti della sezione catturandi, ragazzi che conosco bene e con cui ho lavorato quando ero procuratore a Palermo. Ho potuto complimentarmi anche con loro". "Raccuglia - ha spiegato Grasso - è considerato il numero due, per peso criminale, nella lista dei ricercati di Cosa Nostra dopo Matteo Messina Denaro. In questi anni ha esteso il suo dominio da Altofonte fino al confine con la provincia di Trapani, come conferma il fatto che si nascondeva proprio nel Trapanese".
Francesco Gratteri, direttore della direzione anticrimine centrale (Dac) della polizia di Stato dice: "Con l'arresto di Domenico Raccuglia è stata decapitata l'ala corleonese di Cosa nostra". "L'altissimo profilo criminale di Raccuglia, latitante da oltre 15 anni - ha aggiunto Gratteri - lo aveva portato ad essere considerato tra le più autorevoli personalità di Cosa nostra. Portatore strategico dell'aggressività militare tipica della mafia, nella sua lunga militanza si è reso responsabili di numerosi omicidi, tra i quali quello del figlio di Santino Di Matteo".
Il procuratore di Palermo Francesco Messineo durante la conferenza stampa dopo la cattura del boss ha detto: "Siamo particolarmente soddisfatti perchè la cattura dei latitanti nel loro territorio d’appartenenza è resa ancora più difficile da un contesto ostile alla polizia. Siamo riusciti a vincere le difficoltà grazie all’abnegazione di uomini che hanno fatto sacrifici indicibili e grazie alle sofisticate attrezzature tecniche utilizzate". "I prossimi obiettivi - ha aggiunto Messineo - sono Giovanni Nicchi e Matteo Messina Denaro. La cattura dei latitanti è fondamentale per sconfiggere la mafia perchè i boss continuano a comandare e a gestire gli affari criminali".
Il questore di Palermo, Alessandro Marangoni, sempre durante la conferenza stampa per spiegare i particolari della cattura del boss, ha detto: "È un grande successo, non solo della polizia ma di tutte le istituzioni". Il questore ha definito "chirurgica" l'indagine che ha portato all'arresto del latitante e che è durata due anni.

La polizia ha arrestato per favoreggiamento Benedetto Calamusa, 44 anni, e la moglie Antonia Soresi, di 38, entrambi senza precedenti penali, proprietari dell'abitazione dove si nascondeva il boss. I poliziotti indagano per scoprire quali fossero i rapporti tra il mafioso e i due coniugi.
Raccuglia verrà trasferito oggi in carcere. Deve scontare tre ergastoli, fra cui quello per l'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito Mario Santo, che Giovanni Brusca voleva ricattare per indurlo alla ritrattazione. Raccuglia fu uno dei carcerieri del bambino.

Il boss, dopo aver trascorso la notte negli uffici della Questura palermitana, sarà trasferito al carcere 'Pagliarelli'. Dovrebbe essere il gip del Tribunale di Trapani a convalidare il fermo del boss. Sono intanto in corso perquisizioni nella palazzina di Calatafimi dove è stato fermato: gli esperti della Polizia scientifica eseguiranno rilievi nelle stanze dell'edificio nel centro storico del piccolo comune.
''Non appena mi arriverà il carteggio, firmerò subito il carcere duro per il capomafia Domenico Raccuglia". Lo ha detto il ministro della giustizia Angelino Alfano da Palermo. "La cattura di Raccuglia - ha aggiunto - è un successo straordinario di cui già mi sono complimentato col capo della polizia".

Chi è Domenico Raccuglia - Domenico Raccuglia è nato il 27 ottobre 1964 ed è ricercato dal 1996 per omicidi, mafia, rapina, estorsione. È stato condannato a tre ergastoli, uno per l'omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino, rapito per far ritrattare il padre e poi strangolato e sciolto nell'acido. Il nome di Raccuglia e la sua foto sbiadita, scattata parecchi anni fa, sono inseriti nell'elenco dei 30 latitanti di "massima pericolosità" che fanno parte del "Programma speciale di ricerca del Ministero dell'Interno".
In meno di 20 anni il mafioso è riuscito a salire i gradini della scala gerarchica di Cosa nostra allargando il suo potere da Altofonte fino a Partinico passando per San Giuseppe Jato, il feudo del suo padrino Giovani Brusca. Soprannominato il "veterinario", per la sua passione per gli animali, o il "dottore" Raccuglia potrebbe essere la cerniera di collegamento per Cosa nostra di quel vasto territorio che da Palermo arriva a Trapani.
Il suo arresto a Calatafimi, territorio del latitante numero uno di Cosa nostra, Matteo Messina Denaro, darà certamente il via a nuove ipotesi investigative sulle spartizioni territoriali della mafia. Ricercatissimo da polizia e carabinieri che seguivano anche i suoi familiari, Raccuglia è riuscito a sfuggire alla cattura nonostante, ad esempio, i magistrati sapessero che da oltre dieci anni, agli inizi di giugno, in genere tre giorni dopo la chiusura delle scuole, la moglie partisse da Altofonte per andare a trascorrere le vacanze estive col marito latitante. Nonostante i servizi di osservazione potenziati la donna è riuscita sempre a sfuggire agli investigatori: tornava nel suo paese a settembre, poco prima che i figli, una ragazza e un bambino, tornassero a scuola.
Poco più di un mese fa il pm della Dda Francesco Del Bene ha emesso l'avviso di conclusione delle indagini nei confronti di Raccuglia che sarebbe, secondo gli inquirenti, il mandante dell'uccisione del mafioso di Altofonte Pietro Romeo, eliminato col metodo della lupara bianca il 13 marzo '97. Le accuse e i processi per il mafioso arrestato ieri pomeriggio non sono quindi terminati.

E in questura si scatenò quel bel tifo della gente per la polizia - Già verso le otto di sera, davanti la Questura di Palermo, i ragazzi di AddioPizzo e tanti altre persone aspettavano l’arrivo del boss Domenico Raccuglia. A Palermo era già successo altre volte in occasione dell’arresto di boss di rango come Giovanni Brusca o Bernardo Provenzano, ma questa volta è stata anche la gente di Calatafimi, il paese del trapanese dove è stato catturato Raccuglia, a scendere subito in strada. Non appena si è sparsa la voce dell’arresto del capomafia una piccola folla si è infatti radunata davanti al covo dove è stato bloccato il latitante. La gente ha applaudito i poliziotti con il volto coperto da passamontagna che avevano partecipato all’operazione e ha cominciato a scandire un insulto bruciante per un mafioso del calibro di Raccuglia: "Scemo, scemo…". Una scena analoga si è ripetuta poco dopo davanti agli uffici della Questura di Palermo, al momento dell’arrivo del corteo di auto blindate che scortavano il boss. I ragazzi di Addiopizzo, oltre ad applaudire, hanno cominciato a scandire in coro: "Chi non salta è mafioso", e gli agenti della sezione catturandi affacciati dalle finestre hanno accolto l’invito, saltando ritmicamente e salutando con le mani la folla che si era radunata nella piazza.

[Informazioni tratte da Adnkronos/Ing, Ansa, Repubblica.it, Corriere.it, LiveSicilia.it]

 

 

 

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16 novembre 2009
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